TFS/TFR dipendenti pubblici: un’altra beffa dalla Manovra 2026?

Novembre 21, 2025 - 09:00
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TFS/TFR dipendenti pubblici: un’altra beffa dalla Manovra 2026?

lentepubblica.it

La discussione sulla Manovra 2026 sta assumendo toni sempre più accesi, soprattutto dopo la denuncia avanzata da diverse strutture della Cgil in merito al trattamento riservato ai dipendenti pubblici in materia di TFS/TFR.


Al centro della polemica c’è l’articolo 44 della Manovra, presentato dal Governo come un intervento pensato per velocizzare il pagamento delle liquidazioni. Tuttavia, secondo i sindacati, ciò che viene descritto come un miglioramento nasconde in realtà un meccanismo capace di sottrarre nuove risorse a una categoria che negli ultimi anni ha già dovuto fare i conti con ritardi, svalutazioni e continui sacrifici.

La promessa di un “anticipo” che non risolve nulla

L’esecutivo ha annunciato un’anticipazione di tre mesi nel pagamento di TFS e TFR, ma soltanto per chi accede alla pensione di vecchiaia. Una modifica che, a prima vista, potrebbe sembrare un passo avanti. In realtà, raccontano le organizzazioni sindacali, si tratta di un intervento marginale, che non elimina il problema principale: i tempi di erogazione continuano a essere molto più lunghi rispetto a quelli riconosciuti ai lavoratori privati.

Il divario era già stato evidenziato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 130 del 2023, che aveva invitato il legislatore a cancellare un’asimmetria definita “irragionevole”. La risposta del Governo, però, non va nella direzione indicata. Il differimento resta, e rimangono anche le rateizzazioni che in alcuni casi possono protrarsi fino a sette anni. Di fatto, l’anticipo di tre mesi non modifica il quadro generale e non rimuove la disuguaglianza che la Consulta aveva giudicato incompatibile con un sistema equo.

Il nodo nascosto: la perdita della detassazione

Se la mancata soluzione del problema dei tempi di pagamento appare già di per sé una questione delicata, c’è un aspetto ulteriore che ha alimentato l’indignazione dei sindacati. La cosiddetta “relazione tecnica”, allegata alla Manovra, rivela che l’anticipazione di tre mesi fa venire meno automaticamente la possibilità di usufruire della detassazione prevista per le liquidazioni corrisposte almeno dodici mesi dopo la cessazione dal servizio.

Poiché, con la nuova tempistica, la soglia dei dodici mesi non risulterebbe più raggiunta, ogni lavoratore perderebbe un beneficio fiscale pari a circa 750 euro. Considerando i pensionamenti per vecchiaia previsti (poco più di 30 mila persone), l’erario incasserebbe un risparmio di circa 22,6 milioni di euro, una cifra ottenuta – denunciano i sindacati – sottraendo denaro direttamente dalle liquidazioni dei dipendenti pubblici.

Un intervento che dunque, lungi dal rappresentare un “aiuto”, diventa nei fatti un modo per reperire risorse a scapito di chi sta per lasciare il lavoro, dopo anni di servizio e in un contesto già segnato dal progressivo deterioramento delle condizioni economiche legate al TFS/TFR.

Inflazione e perdita di valore: liquidazioni sempre più leggere

Il quadro si fa ancora più preoccupante se si considera l’effetto dell’inflazione e del mancato rendimento sulle liquidazioni. Secondo le elaborazioni sindacali, negli ultimi anni la combinazione di aumento dei prezzi e assenza di rivalutazioni adeguate ha generato una perdita che può superare i 40 mila euro.

Chi percepisce un TFS/TFR di circa 30 mila euro avrebbe perso quasi 18 mila euro di potere d’acquisto; per chi si colloca intorno ai 40 mila euro, la riduzione supererebbe i 25 mila euro; mentre per retribuzioni di 60 mila euro la svalutazione potrebbe oltrepassare i 41 mila euro. Un impoverimento progressivo che si somma ai ritardi nei pagamenti, creando un effetto cumulativo considerato “inaccettabile” dalle organizzazioni dei lavoratori.

Una strategia che penalizza il lavoro pubblico

Secondo la Cgil, quanto accade non può essere considerato un episodio isolato. La Manovra 2026 si inserirebbe, infatti, in una più ampia tendenza alla svalutazione del lavoro pubblico, evidente non solo nella gestione delle liquidazioni, ma anche nella politica sui contratti. Gli ultimi rinnovi del triennio 2022-2024, non firmati dalla Fp Cgil e dalla Flc Cgil, avrebbero comportato una perdita salariale media superiore al 10%. Una percentuale significativa, che riflette l’assenza di investimenti adeguati per riconoscere economicamente e professionalmente chi opera quotidianamente nei servizi pubblici.

A ciò si aggiunge l’assenza, secondo i sindacati, di misure capaci di valorizzare il personale, rilanciare gli organici, garantire continuità amministrativa e assicurare servizi efficienti ai cittadini. Una situazione che appare ancora più critica se letta alla luce delle difficoltà che affliggono la pubblica amministrazione: blocchi del turnover, carichi di lavoro crescenti, stipendi fermi e un’età media dei dipendenti sempre più alta.

Previdenza: tra annunci e realtà

Il Governo continua a rivendicare di voler superare la riforma Monti-Fornero, ma per le sigle sindacali gli annunci non trovano riscontro nei provvedimenti. La flessibilità in uscita continua a ridursi, i requisiti contributivi e anagrafici aumentano, e le pensioni risultano sempre più distanti e più leggere.

Un altro elemento contestato è il taglio retroattivo alle aliquote di rendimento per alcuni fondi pensionistici (Cpdel, Cps, Cpi, Cpug), che colpirebbe chi ha anche una sola annualità di contribuzione antecedente al 1995. Una misura che si descrive ome un ulteriore colpo per migliaia di lavoratrici e lavoratori, e che i sindacati intendono contrastare anche nelle sedi giudiziarie.

Verso lo sciopero del 12 dicembre

In questo clima di tensione crescente, Cgil, Fp, Flc e Spi hanno annunciato una mobilitazione nazionale fissata per il 12 dicembre.

L’obiettivo dichiarato è affermare che il lavoro pubblico non può essere trattato come un costo da ridurre, ma come un patrimonio da tutelare. Le richieste includono:

  • pensioni dignitose;
  • parità nei tempi di erogazione del TFS/TFR tra pubblico e privato;
  • contratti rinnovati con risorse adeguate;
  • una riforma previdenziale che ristabilisca equità e sostenibilità.

Il documento presentato dai sindacati

Qui il testo del volantino in formato PDF.

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