Brutte notizie per l'ambiente dalla Cop30 di Belém?
lentepubblica.it
La Cop30 di Belém, attesa da molti come l’appuntamento in cui la comunità internazionale avrebbe finalmente imboccato una strada condivisa e ambiziosa contro la crisi climatica, si è chiusa lasciando un retrogusto amaro.
Nelle promesse della vigilia, questo vertice sarebbe dovuto diventare “la Cop della verità”, il momento in cui i governi avrebbero riconosciuto apertamente la portata dell’emergenza ambientale e assunto impegni vincolanti per contenere l’aumento delle temperature globali.
La realtà è apparsa però assai più complessa e, per molti osservatori, deludente.
Brutte notizie per l’ambiente dal documento conclusivo della Cop30 di Belém?
Il documento conclusivo, battezzato Global Mutirão, non è riuscito a soddisfare le aspettative né ad allinearsi alle richieste pressanti della società civile. La mancanza forse più evidente è l’assenza di qualsiasi riferimento ai combustibili fossili, riconosciuti dalla comunità scientifica come i principali responsabili dell’accumulo di gas serra nell’atmosfera. Una lacuna particolarmente rilevante se si considera che alla Cop28 si era arrivati, seppure in maniera vaga, a evocare un percorso di abbandono delle fonti energetiche più inquinanti. Il nuovo testo non riprende quell’impegno e non ne propone uno alternativo, lasciando un vuoto che molte organizzazioni non governative hanno definito “ingiustificabile”.
Il compromesso trovato per ottenere l’assenso di tutti gli stati partecipanti non ha incluso neppure un calendario chiaro per la graduale eliminazione di petrolio, carbone e gas, né indicazioni concrete per arrestare la deforestazione, uno dei fattori che contribuiscono all’erosione della biodiversità e alla destabilizzazione dei sistemi climatici. Anche il tema dei finanziamenti dedicati ai Paesi più vulnerabili è rimasto in sospeso: secondo varie analisi, sarebbero necessari almeno 300 miliardi di dollari all’anno per sostenere gli stati con meno risorse nell’adattamento agli impatti già in corso, ma nessuna cifra vincolante è stata inserita nel documento finale.
La gestione della conferenza
A rendere ancora più evidente la distanza tra dichiarazioni e realtà è stata la gestione della conferenza. Il Brasile, che ha ospitato l’evento, aveva più volte ribadito che la Cop30 sarebbe stata inclusiva e che tutte le voci, in particolare quelle dei popoli indigeni, avrebbero trovato spazio nei confronti e nei processi deliberativi. Se da un lato è indubbio che siano stati compiuti sforzi per ampliare la partecipazione, dall’altro molte rappresentanze native hanno denunciato di essere rimaste ai margini dei negoziati, esclusi dalle fasi decisive che si sono svolte a porte chiuse.
In netto contrasto, la presenza record di lobbisti legati alle industrie fossili ha sollevato preoccupazioni e critiche. La loro influenza, sottolineano diversi osservatori, avrebbe contribuito a smorzare qualsiasi proposta più incisiva sull’abbandono delle fonti inquinanti, confermando che gli interessi economici continuano a esercitare un peso determinante nelle scelte politiche internazionali.
Ci sono anche segnali positivi?
Nonostante queste ombre, alcune aperture positive non sono mancate. La determinazione delle comunità indigene e dei movimenti giovanili presenti a Belém ha permesso di ottenere almeno un impegno formale: lo sviluppo di un meccanismo dedicato a garantire una transizione equa, capace di tutelare i diritti delle lavoratrici, dei lavoratori e delle comunità maggiormente coinvolte nei cambiamenti che deriverebbero da una futura uscita dal fossile. Un passo ancora preliminare, ma ritenuto comunque significativo da attivisti e organizzazioni dei diritti umani.
Proprio una giovane ambientalista, Leonela Moncayo, che ha preso parte agli incontri insieme alla delegazione di Amnesty International, ha riassunto in modo incisivo lo spirito di chi è arrivato a Belém non per chiedere concessioni ma per ricordare agli stati le loro responsabilità. Moncayo ha sottolineato come la tutela dell’ambiente non vada intesa come un costo, bensì come un investimento sociale e culturale indispensabile per il futuro. Permettere che l’inquinamento e le violazioni dei diritti umani proseguano, ha affermato, non rappresenta forza politica, ma un grave segnale di disattenzione.
Prossima Conferenza internazionale in Colombia per la fuoriuscita dai combustibili fossili
Tra le notizie più rilevanti emerse durante il vertice vi è l’annuncio della Colombia, che insieme ai Paesi Bassi ospiterà nell’aprile 2026 la prima Conferenza internazionale dedicata a una fuoriuscita equa dai combustibili fossili.
L’iniziativa punta a riunire i governi determinati a fare progressi concreti su questo fronte, con l’obiettivo dichiarato di conciliare la necessità di ridurre le emissioni con la salvaguardia dei diritti delle comunità interessate.
Cosa emerge in conclusione da questo appuntamento?
Se la Cop30 non ha segnato la svolta attesa, ha comunque messo in luce due elementi centrali:
- da un lato la persistente difficoltà dei leader mondiali nel superare gli interessi economici più radicati;
- dall’altro la crescente pressione di società civile, movimenti indigeni e giovani attivisti, che continuano a chiedere coerenza, responsabilità e coraggio.
La distanza tra questi due poli resta ampia, ma il dibattito apertosi a Belém potrebbe rappresentare, almeno in parte, un punto di partenza per i prossimi appuntamenti internazionali.
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