Unabomber resta un mistero, l’ultima perizia sul Dna sui reperti scagiona gli 11 indagati

Ottobre 8, 2025 - 00:30
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Unabomber resta un mistero, l’ultima perizia sul Dna sui reperti scagiona gli 11 indagati

Quello dell’”Unabomber italiano” resterà ancora un mistero irrisolto. La perizia commissionata nel 2024 dalla Procura di Trieste su alcuni reperti attribuiti all’attentatore che tra il 1994 e il 2006 piazzò oltre 30 ordigni esplosivi tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, ferendo numerose persone, non ha rilevato nessuna corrispondenza con il Dna delle undici persone indagate finora.

L’inchiesta era stata riaperta nel gennaio 2023 a seguito di un esposto presentato dal giornalista Marco Maisano, autore del podcast Fantasma – Il caso Unabomber, e da due delle vittime delle bombe, Francesca Girardi e Greta Momesso. Delle undici persone nuovamente indagate a 30 anni dagli attentati attribuiti a Unabomber, dieci erano già finite in altre inchieste negli anni corsi per finire poi archiviate.

Maisano aveva spiegato che nella realizzazione del podcast era riuscito a entrare nel luogo dove sono conservati i reperti delle indagini a Trieste e di aver trovato vari elementi, tra cui capelli e peli, che all’epoca non erano stati sottoposti a esami genetici. Sugli attentati di Unabomber nel corso degli anni hanno indagato numerose Procure, da Trieste a Venezia, passando per Treviso e Pordenone (solo nel 2003 venne formato un pool unico, smantellato cinque anni più tardi senza aver raggiunto risultati), senza mai arrivare all’individuazione del colpevole.

Una storia, quella di Unabomber, inizia il 21 agosto del 1994 a Sacile, in provincia di Pordenone: era durante la sagra degli osei che l’attentatore fece esplodere la sua prima bomba, della polvere da sparo in un tubo Innocenti, che ferì leggermente alcune persone presenti. Un attacco che all’epoca passò quasi in secondo piano, fino a quando si capì il nesso tra quell’attacco e gli altri compiuti nei successivi 12 anni tra Veneto e Friuli Venezia Giulia, con ordigni sempre più sofisticati: le bombe erano delle vere e proprie trappole inseriti in oggetti comuni, dalle candele ai tubetti di maionese, fino ai barattoli di Nutella. Attacchi che provocarono una certa psicosi tra le persone comuni, spaventate anche dal semplice fare la spesa in un supermercato.

Per anni il principale sospettato è stato Elvio Zornitta, un ingegnere che abitava ad Azzano Decimo, in provincia di Pordenone. Il suo nome venne fatto durante le indagini da una persona sentita dagli investigatori: secondo quest’ultimi il suo profilo poteva corrispondere a quello dell’attentatore. Ma soprattutto contro Zornitta venne costruita una prova falsa, un lamierino manomesso per incastrarlo: un poliziotto è stato processato e condannato per quella manomissione. A Zornitta sono stati riconosciuti 300mila euro di risarcimento per il danno subito dalla lunga inchiesta che ha gravemente compromesso la sua reputazione.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia