Cosa farà, e cosa dovrebbe fare, Milano per rendere gli affitti più accessibili

Diecimila nuovi appartamenti a prezzi (davvero) accessibili nei prossimi dieci anni, a Milano (6.500) e nell’hinterland (3.500). È questo l’obiettivo del Piano casa straordinario del Comune, da poco entrato nel vivo con le prime manifestazioni di interesse dei privati che vogliono costruire sulle aree messe a disposizione – trecentomila metri quadrati nella prima fase – dalla giunta di Beppe Sala.
Il sindaco ha ribadito che per attuare il Piano – approvato nell’ottobre 2024 – servirebbero investimenti da un paio di miliardi, risorse che il Comune non ha assolutamente a disposizione. Nasce da qui l’apertura ai soggetti del settore immobiliare, che lavoreranno in teoria sotto una «forte regia pubblica». Sarà infatti Palazzo Marino a stabilire le linee guida e le regole alla base dei progetti che punteranno a riequilibrare la domanda e l’offerta di alloggi in affitto a Milano.
L’emergenza abitativa è il principale neo di un modello di sviluppo finito sotto la lente d’ingrandimento durante le inchieste sull’urbanistica milanese. Il primo membro della giunta Sala a dimettersi in seguito alle intercettazioni della procura è stato Guido Bardelli, che – dopo aver sostituito Pierfrancesco Maran – ha elaborato e lanciato il Piano straordinario per la casa. A riceverlo in eredità è stato Emmanuel Conte, assessore al Bilancio e al Demanio, che fino alle elezioni della primavera 2027 avrà il compito di gettare le basi per implementarlo, spianando la strada alla giunta successiva.
Il Piano casa del Comune risponde alla scarsa attenzione del governo nazionale verso il tema dell’abitare. Il progetto è stato immaginato soprattutto per i lavoratori con stipendi compresi tra i millecinquecento e i duemilacinquecento euro al mese, ossia la classe media, che a Milano ha subìto pesantemente i processi di gentrificazione e privatizzazione successivi all’Expo del 2015.
Oggi un affitto nel capoluogo lombardo costa mediamente il quaranta per cento in più rispetto a una decina d’anni fa. I rincari, anche a causa di una contrazione della domanda, si stanno stabilizzando, ma trovare un piccolo bilocale a meno di milleduecento euro al mese resta un’impresa. E la soglia del trenta per cento dello stipendio mensile assorbito dal costo dell’affitto viene sistematicamente superata. Secondo l’Ufficio Studi del Gruppo Tecnocasa, Milano è la città con i canoni di locazione più alti d’Italia: 820 euro al mese in media per un monolocale, 1.140 euro per un bilocale e 1.510 euro per un trilocale. La media al metro quadrato, stando a Immobiliare, è di 22,6 euro.
Seicentocinquanta euro al mese per un trilocale
Per centrare l’obiettivo dei diecimila alloggi a prezzo calmierato in dieci anni, il Piano casa punta a lavorare su due fronti. Il primo riguarda la riqualificazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, anche attraverso la manutenzione di quelli sfitti. A Milano, scrive Repubblica, ci sono almeno 5.900 case popolari vuote e da ristrutturare, trovandosi spesso in pessime condizioni: 2.500 sono in capo a MM (controllata al cento per cento dal Comune) e 3.400 rispondono all’Aler di Regione Lombardia. In totale, le case vuote o sottoutilizzate in città sono circa ottantamila.
Secondo Davide Agazzi, co-fondatore di FROM (agenzia di city making per la trasformazione urbana), «è fisiologico avere un tasso di alloggi sfitti», ma l’importante è cercare di «abbattere questi numeri ed evitare che poi, mentre stai ristrutturando l’appartamento, qualcuno lo occupi». Ogni anno, scrive il Corriere, gli alloggi sfitti costano alle casse pubbliche circa quarantanove milioni di euro che risulterebbero fondamentali per le ristrutturazioni. In più, il numero delle case recuperate non tiene il passo con quello delle abitazioni che, nello stesso periodo, si svuotano.
Il secondo pilastro del Piano casa del Comune è lo «sviluppo prioritario» di abitazioni inserite all’interno del regime di edilizia residenziale sociale calmierata (Ersc). Questo termine include gli alloggi in locazione permanente con canoni massimi di ottanta euro al metro quadrato all’anno. L’obiettivo, dopo la pubblicazione dei primi bandi nel corso dell’autunno, è iniziare i lavori nel 2026. Affittare un appartamento da cento metri quadrati verrebbe quindi a costare non più di seicentosessantasei euro al mese: una cifra nettamente inferiore ai prezzi attuali.
Il Piano casa straordinario «è uno strumento ambizioso e interessante – continua Agazzi –, e l’idea del collegamento con l’hinterland è molto positiva. Sulle costruzioni del nuovo, non c’è nessuno in Italia che abbia annunciato diecimila nuovi appartamenti in housing sociale. È un tipo di soluzione senza precedenti in Italia. L’amministrazione comunale ha agito bene in termini di programmi di investimento di lungo periodo e di reperimento delle risorse».
Rischi e opportunità
Il Piano casa è un progetto decennale: il rischio è che, nel tempo, sorgano dei costi aggiuntivi in grado di impattare negativamente sul prezzo finale degli alloggi. Per non perdere efficacia e credibilità, il modello del “privato sociale” alla base del progetto deve essere accompagnato da un’inflessibile regia pubblica e un monitoraggio stretto.
Un quadro di valutazione più ampio potrà essere elaborato solo quando sarà chiara la natura delle aziende interessate a costruire. Nel frattempo, la città è obbligata a imparare dagli errori del passato: il problema degli studentati convenzionati in teoria ma non in pratica (una singola può arrivare a costare fino a 1.500 euro mese) conferma che la collaborazione tra pubblico e privato può essere fonte di disuguaglianze.
Un modello di housing sociale adatto a questo contesto potrebbe essere quello delle cooperative di abitazione a proprietà indivisa: «È uno strumento intrinsecamente cooperativo per costruire case che, di fatto, non sono di nessuno, se non della cooperativa. La cooperativa dà quindi la casa in godimento ai propri soci a canone calmierato e solitamente più stabile nel tempo rispetto al mercato. Più i soci permangono nella cooperativa, più il peso economico del canone tende a diminuire. È un sistema che si è consolidato a inizio Novecento tra la classe operaia e artigiana per darsi casa», spiega Jacopo Lareno Faccini, ricercatore presso la cooperativa sociale Codici.
La proprietà indivisa, continua, «è un modello molto contemporaneo perché permette, con costi d’ingresso bassi, di accedere ad abitazioni molto interessanti. Il punto di domanda è: la politica è interessata a riconoscerlo in maniera centrale? Nel caso, bisogna capire come sostenere l’azione di queste organizzazioni di mercato calmierato anche economicamente. Significa poter destinare aree, ma anche ridurre gli impatti finanziari del costo del denaro che le cooperative devono reperire nel sistema bancario. Allo stesso tempo non bisogna rischiare di confondere questo sistema con l’edilizia residenziale pubblica, che merita e richiede un rilancio pubblico in città ad alta tensione abitativa come Milano».
Un altro potenziale nodo del Piano Casa riguarda l’hinterland meneghino. Il Comune di Milano, come anticipavamo all’inizio, ha l’obiettivo di mettere a disposizione 3.500 appartamenti a canone calmierato fuori dall’area urbana, valutando i Comuni di Cologno Monzese, Gessate, Garbagnate Milanese e Senago. Si tratta di un punto di contatto rispetto alle iniziative di housing sociale parigine, criticate dal Financial Times anche per il tema della sicurezza nelle periferie estreme della capitale francese. La vera urgenza, però, interessa i trasporti, che sono la chiave per allargare i confini virtuali di una piccola metropoli come Milano.
Cologno e Gessate sono servite dalla linea M2 (verde) della metropolitana, mentre Garbagnate e Senago dal non sempre affidabile passante ferroviario gestito da Trenord. Secondo Agazzi, indipendentemente dai Comuni scelti da Palazzo Marino, «deve avvenire un’intensificazione del servizio di trasporto pubblico che sia contestuale alle nuove costruzioni nella Città Metropolitana. Il rischio, altrimenti, è quello di “spostare fuori” delle persone che già fanno fatica a vivere in città, dando loro l’aggravio di avere poche opzioni per spostarsi col trasporto pubblico».
Cosa fare nel breve periodo
Il Piano casa straordinario è necessario, ma ha un orizzonte temporale molto ampio. Oggi servono interventi al contempo rapidi e strutturali, che vadano al di là del recente contributo una tantum (fino a 2.400 euro) per i giovani lavoratori under trentacinque (Isee inferiore ai 26mila euro) che cercano una casa in affitto a Milano.
«Il Piano casa può funzionare, ma è un progetto di lungo periodo. Va dunque completato con iniziative più immediate. Non può essere l’unica freccia nell’arco», prosegue Davide Agazzi, che ritiene la promozione del canone concordato una delle strategie più efficaci per mitigare – nel breve periodo – l’emergenza abitativa a Milano.
Il canone concordato è una forma di contratto di locazione in cui l’importo è determinato da accordi tra associazioni dei proprietari di casa e sindacati degli inquilini. A fronte di una riduzione della tassazione (per esempio la cedolare secca al dieci per cento anziché al ventuno per cento, oppure il dimezzamento dell’Imu), il canone concordato permette di affittare case a prezzi più bassi rispetto a quelli del mercato: meno quattordici per cento in media.
«Fino a tre anni fa – scrive in una nota Pierfrancesco Maran, europarlamentare del Partito democratico ed ex assessore alla Casa del Comune di Milano – le tabelle per il canone concordato avevano valori così bassi da non poter attrarre proprietari: solo il quattro per cento dei contratti erano a canone concordato. La revisione dell’accordo del 2023 ha attestato i nuovi valori intorno al quindici per cento in meno di quelli di mercato. Il risultato è che a Milano nel primo semestre 2025 il ventidue per cento dei contratti registrati è a canone concordato».
MilanoAbitare è l’agenzia comunale – in co-progettazione con le cooperative sociali Spazio Aperto e Libellula – che organizza attività di informazione e promozione del canone concordato. Secondo Davide Agazzi «sarebbe interessante capire se un soggetto come MilanoAbitare possa intermediare direttamente, cominciando ad avere “in pancia” degli appartamenti che affitta a canone concordato. Certo, significherebbe avere un’agenzia immobiliare pubblica che gestisce direttamente quel tipo di affitti: non è immediato da fare, ma potrebbe incentivare i proprietari a proporre il canone concordato. In quello scenario, MilanoAbitare offrirebbe direttamente la garanzia e gestirebbe tutte le pratiche». Insomma, potrebbe essere utile immaginare un ruolo più proattivo dell’agenzia.
Un altro livello su cui lavorare nel breve periodo riguarda la limitazione degli affitti brevi tramite piattaforme come Booking o AirBnb. A livello nazionale, il think tank Tortuga ha stimato che a un aumento dell’uno per cento degli annunci sui AirBnb corrisponde un incremento medio del 5,7 per cento del prezzo degli affitti. Nella sua versione “pre-Expo”, Milano era una città attrattiva soprattutto per i viaggi business, ma negli ultimi anni – sulla scia di un fenomeno di natura globale – si è rapidamente trasformata in un polo turistico (8,5 milioni di arrivi nel 2023, record storico). L’altra faccia della medaglia di questo fenomeno è la proliferazione degli affitti brevi, che disincentivano i proprietari di casa a proporre affitti di lungo periodo.
A Milano, si legge in un report dell’Osservatorio Casa Abbordabile, nel 2023 i contratti di locazione a lungo termine (per esempio con le formule del 4+4 o del 3+2) corrispondevano al sessantaquattro per cento del totale; nel 2015 la quota era al 79,5 per cento. Un altro trend visibile negli ultimi anni è l’incremento degli affitti transitori, pensati per i non residenti che scelgono di trasferirsi in città per un breve periodo. Questi contratti, che a Milano sono raddoppiati tra il 2015 e il 2023, non possono superare i diciotto mesi di durata e possono essere rinnovati solo una volta.
«Bisogna cercare di rendere più fluido il mercato degli affitti, trovando delle formule per disincentivare situazioni dannose per i proprietari che hanno paura di avere inquilini insolventi», spiega Davide Agazzi, che sugli affitti brevi propone di intervenire su due aspetti: «La limitazione del numero di notti annue in cui puoi destinare la tua abitazione alle piattaforme e del numero di proprietà amministrate, con l’obiettivo di ridurre i soggetti che gestiscono in maniera professionale tanti appartamenti».
A livello europeo, Barcellona è la città che sta guidando la lotta al turismo sregolato e dannoso sui residenti. Dal 2028, l’amministrazione comunale non rinnoverà le licenze degli appartamenti (più di diecimila) affittati a breve termine, che nei fatti saranno vietati. In Italia c’è qualche sussulto che arriva da Firenze e Bologna, ma Milano finora non si è ancora mossa per arginare il problema.
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