L’ennesima giravolta di Trump sull’Ucraina, sperando che sia l’ultima

C’è un momento, durante l’incontro di martedì tra Donald Trump e Volodymyr Zelenksy a New York, in cui una giornalista fa una domanda scivolosa al presidente americano. Gli chiede se secondo lui i Paesi della Nato debbano abbattere aerei e droni russi che violano il loro spazio aereo. Trump non ha nemmeno un attimo di esitazione. Risponde come se fosse una domanda preparata a tavolino: «Sì, dovrebbero». Neanche Zelensky sembra credere alle sue orecchie. Davvero Trump ha risposto con questa disinvoltura a una domanda così puntuale? Non ha provato a svicolare, non ha aggiunto altre spiegazioni.
Durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, poi di nuovo in conferenza stampa e infine sui suoi canali social, Trump ha usato parole che nessuno si aspettava: la Russia è una «tigre di carta», economicamente a pezzi e militarmente fragile, incapace di chiudere in tre anni e mezzo una guerra che «una vera potenza avrebbe dovuto vincere in meno di una settimana». L’Ucraina, sempre nella versione di Trump, non solo può difendersi, ma «può riconquistare tutta la sua forma originale, e forse anche andare oltre». Chissà cosa intendeva davvero, se il suo riferimento temporale è l’inizio dell’invasione russa del 2022 o il 2014, quando la Russia ha invaso la Crimea. Ma qui si va nei tecnicismi, l’antitesi esatta di Donald Trump.
Da quando è tornato alla Casa Bianca, il presidente americano è sempre stato deferente nei confronti di Vladimir Putin, arrivando persino a trovare delle giustificazioni per l’invasione russa dell’Ucraina. Ora invece sembra voler sminuire in tutti i modi l’autocrate al Cremlino. Il Trump di questa settimana sferza la Russia senza remore e dipinge scenari ideali per gli ucraini. Chi l’avrebbe mai detto.
È l’ennesimo cambio di rotta in otto mesi. Sembra passata un’era geologica da quell’agguato camorristico alla Casa Bianca: all’epoca, Trump e J.D. Vance volevano che l’Ucraina si arrendesse perché non poteva evitare la sconfitta sul campo. Ancora poco più di un mese fa, dopo il vertice in Alaska con Putin, Trump aveva di nuovo criticato Zelensky – aveva insistito sul fatto che Kyjiv avrebbe dovuto accettare un accordo al ribasso, cedendo parti del suo territorio per mettere fine alla guerra. In quel momento era il più indulgente degli avvocati difensori del Cremlino.
Come ha scritto Francesco Cundari nella sua newsletter La Linea, la svolta è talmente radicale che si fatica a credere si tratti della stessa persona. Questa è la cifra politica del trumpismo: vale tutto e si può dire qualsiasi cosa, anche il contrario di ciò che si è detto ieri. Di solito fa l’amicone con l’ultimo leader incontrato. E in questo caso l’ultimo leader era proprio Zelensky.
È difficile capire cosa ci sia di concreto, o di più concreto rispetto alle prese di posizione dei mesi precedenti. Trump è un bugiardo patologico, con un ego spropositato e la tendenza a cambiare idea con facilità irrisoria. Ma mai si era spinto a tanto, andando virtualmente allo scontro con Putin. Da uomo che blandiva il regime di Mosca a strenuo difensore dell’atlantismo e della Nato. Quanto durerà?
Forse è presto per esultare. In fondo, alle parole di Trump non ha fatto seguito nessun annuncio concreto: non si è parlato di nuovi fondi destinati all’Ucraina, né di nuove armi, né un rafforzamento dell’intelligence. Nemmeno la promessa di ripristinare gli aiuti congelati nei mesi scorsi.
Una chiave di lettura lineare l’ha trovata Tom Nichols sull’Atlantic, suggerendo che a Trump semplicemente non piace essere umiliato e in questi mesi troppe volte Putin ha approfittato di lui: «Forse Trump sta inviando un messaggio, finalmente, che ci sono limiti alla quantità di abusi e imbarazzi che il presidente degli Stati Uniti è disposto a subire dal Cremlino».
In ogni caso, il messaggio del presidente americano non è piaciuto a molti dalle parti di Mosca. Dopo le dichiarazioni di Trump, il Cremlino ha detto di non avere «alcuna alternativa» se non quella di continuare a combattere la guerra. Non che ci fossero molti dubbi in merito. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha fatto sapere che la Russia continuerà la sua offensiva contro l’Ucraina «per tutelare i nostri interessi e raggiungere gli obiettivi». Questa, a differenza di quella di Trump, non è una novità.
Per l’Ucraina è comunque una buona notizia. Ieri Zelensky ha potuto sfruttare l’onda lunga di quelle dichiarazioni per chiedere a gran voce all’Assemblea Generale dell’Onu nuovi aiuti agli alleati dell’Ucraina. Ricordando le incursioni dei droni russi in Polonia ed Estonia delle ultime settimane, il presidente ucraino ha potuto soffiare sulla necessità di fare fronte comune, di rafforzare la difesa dell’Europa e della Nato per rispondere alla minaccia russa.
Fino a quando non arriveranno armi, soldi e impegni concreti, quella di Trump resta uno dei suoi colpi di teatro: indubbiamente, il colpo di teatro più apprezzabile.
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