Giustizia, il futuro incerto dei 12 mila precari PNRR: tra promesse di stabilizzazione e silenzi ministeriali

Ottobre 25, 2025 - 09:00
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Giustizia, il futuro incerto dei 12 mila precari PNRR: tra promesse di stabilizzazione e silenzi ministeriali

lentepubblica.it

A meno di un anno dalla scadenza dei contratti, migliaia di lavoratori della giustizia vivono sospesi in una condizione di incertezza che somiglia sempre più a un limbo amministrativo.


Sono oltre 11.800 i dipendenti assunti a tempo determinato nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), figure che in questi anni hanno garantito il funzionamento di uffici spesso al collasso, contribuendo a smaltire arretrati e ad accelerare i tempi della macchina giudiziaria. Di questi, soltanto 6.000 verranno stabilizzati, mentre per gli altri si profila il ritorno all’instabilità lavorativa.

Un destino che appare paradossale, soprattutto se si considera che il progetto di rafforzamento dell’amministrazione giudiziaria era nato con l’obiettivo di rendere più efficiente e moderna la giustizia italiana. Oggi, però, a beneficiare di quella spinta rischia di essere solo una parte del personale che, dopo anni di precariato, sperava finalmente in una prospettiva stabile.

La promessa della stabilizzazione e il vuoto delle procedure

L’11 agosto 2025, il portale del Ministero della Giustizia Gnewsonline pubblicava un comunicato che annunciava l’imminente avvio, entro ottobre, di una procedura comparativa per la stabilizzazione dei lavoratori precari PNRR. Secondo quanto riportato, i requisiti richiesti erano due: aver prestato servizio per almeno dodici mesi consecutivi nella qualifica di appartenenza e risultare in servizio alla data del 30 giugno 2026.

Da allora, però, tutto tace. A oggi nessuna procedura è stata avviata, né sono stati resi noti i criteri di selezione.  L’annuncio, accolto con entusiasmo dal personale, è stato seguito da un silenzio istituzionale. Non solo: l’articolo che riportava quelle parole sul sito del Ministero è stato rimosso il giorno successivo, alimentando sospetti e perplessità. Un passo indietro che ha lasciato l’amaro in bocca a chi, in quelle parole, aveva intravisto un impegno politico preciso.

Qui di seguito gli screen della notizia, poi rimossa dal portale ministeriale.

 

Migliaia di dipendenti attendono una risposta che non arriva, mentre il tempo scorre e la scadenza dei contratti — fissata per il 30 giugno 2026 — si avvicina inesorabilmente.

L’assenza di informazioni chiare da parte del Ministero alimenta un clima di sfiducia e di smarrimento. Molti lavoratori, in attesa di capire se avranno ancora un posto, si trovano di fronte a scelte difficili: accettare altre opportunità, spesso lontane dalle proprie famiglie, o restare in attesa di una decisione che continua a non arrivare. La questione, insomma, non riguarda solo numeri e procedure, ma la vita concreta di migliaia di persone.

Un limbo amministrativo e la delusione delle promesse politiche

Fin dall’inizio, i contratti PNRR sembravano temporanei, ma con la prospettiva di una possibile stabilizzazione, subordinata alla disponibilità di fondi e al buon esito del percorso di attuazione. Tuttavia, la gestione ministeriale del dossier appare oggi contraddittoria.

Le dichiarazioni del ministro per la Giustizia Carlo Nordio e, successivamente, del ministro senza portafoglio Paolo Foti, avevano fatto sperare in una soluzione definitiva. Proprio Foti, intervenendo in Parlamento, aveva assicurato che tutti i 17.000 precari della giustizia — includendo quindi non solo i lavoratori del PNRR, ma anche altre categorie di contrattisti — avrebbero ricevuto la stabilizzazione entro il 2026.

Il concorso UNEP e l’ombra del “demansionamento”

Un tentativo di mettere una pezza a questa situazione era arrivato con la pubblicazione del bando per il maxi-concorso per 2.700 posti da assistenti e funzionari UNEP, bandito questa estate: la prima data delle prove è stata il 20 ottobre per funzionari UNEP, mentre le prove per il profilo da assistente termineranno il 27 ottobre.

Tuttavia molti hanno interpretato questa scelta come una strategia per assorbire parte del personale PNRR, offrendo però ruoli di livello inferiore rispetto alle funzioni attualmente svolte. Una sorta di “demansionamento indiretto”: chi vincerà il concorso potrà restare nell’amministrazione, ma con un trattamento economico più basso e mansioni diverse.

Il calcolo è semplice: su circa 12 mila lavoratori, se 1.500 dovessero ottenere un posto attraverso il concorso, resterebbero fuori più di 10 mila persone. Di queste, 6.000 risulterebbero stabilizzate secondo le previsioni del Ministero, lasciando comunque un migliaio di dipendenti senza alcuna prospettiva.

Un quadro che, per molti, sa di paradosso: lo Stato forma migliaia di giovani, li impiega per anni in ruoli chiave della macchina giudiziaria, e poi rischia di disperdere competenze preziose con l’ennesimo giro di contratti a termine o, peggio, con l’interruzione del rapporto di lavoro.

Nord e Sud: il nodo delle sedi e del costo della vita

C’è poi un altro aspetto, spesso taciuto ma cruciale: la distribuzione geografica delle stabilizzazioni. Le scoperture più gravi negli organici ministeriali si concentrano nelle regioni del Nord, dove il costo della vita è più alto.

Non è escluso, dunque, che parte del personale oggi impiegato nel Mezzogiorno — dove si era concentrata gran parte delle assunzioni PNRR — possa essere stabilizzato solo a condizione di accettare un trasferimento. Un’eventualità che rischia di creare ulteriori difficoltà economiche e personali, specialmente per chi vive in contesti familiari radicati o in territori privi di alternative occupazionali.

Molti dei contrattisti attuali hanno scelto di partecipare ai bandi PNRR proprio perché si svolgevano in sedi vicine al proprio domicilio. Oggi, la prospettiva di un trasferimento al Nord, a fronte di stipendi pubblici che raramente superano i 1.400 euro netti al mese, appare poco sostenibile.

Sindacati in pressing: “Serve una proroga per tutti”

Le sigle sindacali hanno più volte denunciato la mancanza di chiarezza del Ministero, chiedendo non solo criteri trasparenti ma anche un’estensione del numero di stabilizzazioni. Durante la riunione del tavolo tecnico del 21 ottobre 2025, rappresentanti dell’amministrazione giudiziaria — tra cui la capo dipartimento Lina Di Domenico e la direttrice generale del personale Isabella Gandini — hanno confermato il limite delle 6.000 unità stabilizzabili.

Un numero giudicato “drammaticamente insufficiente” dai sindacati, che hanno chiesto di ampliare la platea anche mediante la proroga dei contratti a tempo determinato per chi resterà escluso. “Non possiamo accettare che dopo anni di servizio migliaia di lavoratori vengano mandati a casa”, hanno dichiarato i rappresentanti della FP CGIL e di altre sigle del comparto Funzioni Centrali.

Nel corso dello stesso incontro, emergeva che la procedura di stabilizzazione assumerà la forma di un vero e proprio concorso riservato, con prove selettive gestite da una società esterna. Una scelta che non ha convinto i sindacati, i quali chiedono invece una graduatoria basata su criteri oggettivi come l’anzianità di servizio e l’esperienza maturata.

Non vogliamo discutere di criteri — ha affermato la FP CGIL in una nota — ma ottenere la garanzia che nessuno venga escluso. Dopo il 30 giugno 2026, nessuno deve essere lasciato senza lavoro”.

Il precedente del 2017 e la questione dei passaggi di profilo

Parallelamente al tema della stabilizzazione, il tavolo tecnico ha affrontato anche l’attuazione del protocollo d’intesa del 2017, che prevede passaggi di profilo per alcune categorie professionali (dagli operatori giudiziari agli assistenti, dai conducenti ai funzionari). La procedura, che interesserà il personale con almeno sette anni di anzianità, garantirà la permanenza nella sede di servizio.

Un precedente importante, che i sindacati vorrebbero estendere anche ai precari del PNRR, utilizzandolo come base per regolarizzare la loro posizione senza dover ricorrere a nuove prove concorsuali.

Tuttavia, l’amministrazione ha frenato, precisando che per i lavoratori a tempo determinato non esistono ancora fondi sufficienti per un’estensione generalizzata del provvedimento. Anche in questo caso, dunque, la partita si gioca sulle risorse della legge di bilancio, la cui bozza — secondo le prime indiscrezioni — non prevede al momento ulteriori stanziamenti.

Una questione di dignità e di fiducia

Oltre i tecnicismi e le cifre, la vicenda dei precari della giustizia pone una questione più profonda: quella del riconoscimento del lavoro pubblico come valore e non come variabile di bilancio. Questi dipendenti, assunti nell’ambito del PNRR per modernizzare la macchina amministrativa, hanno contribuito concretamente al funzionamento quotidiano degli uffici giudiziari.

Vederli oggi abbandonati all’incertezza rappresenta non solo un errore politico, ma anche un segnale preoccupante per la credibilità delle istituzioni. Il rischio è duplice: da un lato, disperdere competenze formate con risorse pubbliche; dall’altro, incrinare il rapporto di fiducia tra lo Stato e i suoi lavoratori.

Il tempo stringe e le promesse, da sole, non bastano più. Mentre si moltiplicano le dichiarazioni e i rinvii, migliaia di persone attendono risposte concrete: sapere se potranno continuare a contribuire al servizio pubblico o se, dopo anni di impegno, dovranno ricominciare da capo.

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