La nuova resistenza non si ferma tra guerra e autoritarismo

Dicembre 4, 2025 - 05:00
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La nuova resistenza non si ferma tra guerra e autoritarismo

Torna in piazza un’ampia galassia di realtà sociali e politiche, composta soprattutto da movimenti, reti, sindacati e associazioni, che continuano a mobilitarsi per la Palestina e contro l’economia di guerra; per la liberazione di Marwan Barghouti, leader palestinese e degli altri prigionieri nelle carceri d’Israele; per la giustizia climatica e sociale e contro l’autoritarismo, che prende corpo nelle misure repressive del decreto Sicurezza, del ddl Gasparri e nel Piano sulla guerra ibrida del ministro Crosetto, che annuncia il ritorno alla leva militare.

Una due giorni iniziata con lo sciopero generale di venerdì 28, indetto dai sindacati di base, e proseguita sabato 29 in tutta Italia per la Giornata Internazionale di solidarietà con il popolo palestinese, che solo a Roma, per la manifestazione nazionale, ha riempito la Capitale con decine di migliaia di persone. Non saranno state le piazze oceaniche di settembre e ottobre ma c’è un cuore pulsante che non si è mai arrestato e che tiene in vita un movimento che, mentre macina chilometri nelle piazze dopo aver solcato i mari per forzare il blocco navale d’Israele, ora volge lo sguardo al futuro: dal Global Movement to Gaza, che annuncia per l’inverno una nuova missione umanitaria in Palestina, stavolta via terra, allo spezzone delle convergenze sociali “Contro i re e le loro guerre”, che, dopo l’assemblea nazionale del 15 novembre alla Sapienza Università di Roma, entra nel vivo della fase programmatica con l’assemblea nazionale del 24-25 gennaio, che si terrà probabilmente a Bologna.

Genocidio in Palestina ed economia di guerra sono i due temi legati da un filo indissolubile: la logica bellicista di Italia e Ue, rafforzata dall’aumento delle spese militari al 5% del Pil indicato nel vertice Nato, è la stessa che fa profitti sul genocidio in Palestina. L’Italia importa il 20% di armi e tecnologia militare da Israele, che si attesta così come il primo partner italiano per acquisti bellici dopo gli Stati Uniti, con il 26% di rifornimenti. La stessa complicità vale, viceversa, per le armi che l’Italia vende a Israele (circa l’1%): così un gruppo di associazioni (AssoPacePalestina, A Buon Diritto, Attac, Arci, Acli, Pax Christi, Un Ponte Per), insieme alla cittadina palestinese Hala Abulebdeh, ha depositato un ricorso al Tribunale civile di Roma contro Leonardo Spa e lo Stato italiano, chiedendo di annullare i contratti di fornitura di armi a Israele. Un business che bypassa le norme italiane che vietano il commercio di armi con Paesi che violano i diritti umani.

E in questo intreccio tra industria bellica e politiche economiche s’inserisce anche il conflitto in Ucraina, perché è da qui che è iniziata la narrazione della necessità di riarmarsi con cui l’Europa ha abdicato alla possibilità di farsi valere ai tavoli diplomatici escludendo la Russia quale interlocutore per la risoluzione dei conflitti. Una narrazione che prosegue spedita e continua a spostare risorse: il Parlamento europeo nel frattempo ha votato favorevolmente il bilancio 2026, che aumenta le spese militari, e ha adottato l’Edip, il programma europeo per l’industria della difesa.

“Ma la corsa agli armamenti si annida anche in altri voti e negoziati in programma o in corso, tra cui: il bilancio a lungo termine dell’Ue (QFP 2028-2034), che aumenta di cinque volte le risorse destinate alle politiche di difesa e spaziali, e una serie di ‘pacchetti omnibus’, ovvero processi di deregolamentazione, che, togliendo norme e tutele ad esempio su ambiente e lavoro, sdoganeranno l’economia di guerra in Italia e in Europa almeno per i prossimi 10 anni”, spiegano i promotori di Stop Rearm Italia, che hanno scritto una lettera aperta ai parlamentari europei per chiedere di opporsi a questi provvedimenti. “Mentre in Ue la società civile viene estromessa dai processi decisionali, cresce invece la capacità d’influenza delle lobby delle armi: ad ottobre 2025, la Commissione ha incontrato 89 volte i lobbisti per discutere di riarmo e geopolitica, e solo 15 volte i sindacati, ONG o scienziati sugli stessi argomenti. Un’ingerenza che mina la credibilità delle Istituzioni europee”.

Insomma, se la guerra e l’autoritarismo hanno una dimensione sistemica, che trasforma in modo strutturale la nostra società, dall’industria al lavoro fino alla formazione, sistemica, trasversale e convergente, dev’essere la nuova Resistenza, su più livelli: dalle piazze ai tribunali e nelle Istituzioni, tenendo insieme, in un’ottica internazionalista, dinamiche globali e relative ricadute, a livello locale, sui territori.

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