Nella sfida dell’innovazione il mondo accelera e l’Italia resta indietro

I dati più recenti del Global Startup Ecosystem Report 2025 (Start-up Genome) e del Global Innovation Index (Start-up Blink), redatti da due organizzazioni americane che da diversi anni mappano, studiano e comparano gli ecosistemi start-up nazionali a livello globale, mostrano come Paesi un tempo marginali stiano oggi emergendo.
Parallelamente, emerge con chiarezza che pochi ecosistemi dispongono di tutti gli elementi necessari affinché nascano scale-up rafforzate e potenziali unicorni.
Si conferma inoltre come una chiara e ben sostenuta strategia-Paese possa fare la differenza. Grazie al digitale e alla diffusione di infrastrutture ICT, cloud e workspace virtuali, le barriere geografiche si affievoliscono.
Paesi che fino a pochi anni fa erano considerati periferici in termini di innovazione ora mostrano crescite impressionanti.
Come ad esempio l’Uzbekistan, che per la prima volta da quest’anno entra nella Top 100 del Global Startup Ecosystem Index con la novantottesima posizione, registrando un tasso di crescita record del suo ecosistema (oltre il centotrentadue per cento).
Con la sua strategia “Uzbekistan digitale 2030” e attraverso il virtuoso sforzo messo in campo da IT Park Uzbekistan, accompagnato da misure governative relative a forti incentivi fiscali (Fez) e ad agevolazioni per i talenti che intendono lì stabilirsi, l’Uzbekistan sta creando infrastrutture di livello mondiale, profonde partnership internazionali e un percorso veloce per le start-up che cercano di scalare a livello globale. Non è quindi un caso l’ascesa di Uzum, fintech e primo unicorno del Paese.
Se questa direzione verrà sostenuta e implementata, le prospettive per l’ecosistema delle start-up dell’Uzbekistan saranno sempre più promettenti, ponendolo come centro tecnologico di riferimento in Asia centrale. «Con riforme coerenti, un approccio aperto al business internazionale e un solido sostegno governativo, stiamo posizionando l’Uzbekistan come un attore chiave nell’economia digitale globale», ha detto lo scorso settembre Sherzod Shermatov, ministro delle Tecnologie Digitali dell’Uzbekistan, su UzDaily.
Interessante anche il caso dell’Arabia Saudita, che mostra la più impressionante performance-Paese.
La crescita di ventisette posizioni in un solo anno non è solo frutto di ingenti capitali disponibili, ma anche di una chiara visione (Vision 2030) e di strumenti governativi di regia operativa come il National Technology Development Program (Ntdp), oltre che di collaborazioni multilivello con altri Paesi, in particolare gli Stati Uniti.
Diversi ministeri e agenzie governative vanno nella stessa direzione: sostenere la nascita e lo sviluppo di start-up, con un focus nei settori dell’Intelligenza Artificiale e dell’Internet delle Cose (IoT), considerati cruciali per l’economia futura del Regno.
I risultati sono già visibili, tra cui l’ascesa di due unicorni, Tamara e stc Pay. Secondo un rapporto del Ministero saudita delle Comunicazioni e dell’Information Technology (Mcit), in collaborazione con la King Abdullah University of Science and Technology (Kaust), circa la metà delle start-up “deep tech” del Paese si concentra su tecnologie con intelligenza artificiale e Internet delle Cose.
L’Arabia Saudita sta costruendo un ecosistema di innovazione che punta a diventare un faro per tutta la regione Mena. «Costruire un ecosistema solido e di supporto è fondamentale per promuovere l’innovazione e attrarre i migliori talenti. L’Arabia Saudita si impegna a fornire un ambiente ideale che consenta alle start-up e alle aziende tecnologiche di crescere ed espandersi sia a livello regionale che globale», ha dichiarato Ibrahim Niaz, Ceo del National Technology Development Program (Ntdp).
Gli ecosistemi completi, però, restano ancora rari, salvo gli Stati Uniti (e pochi altri). Negli Stati Uniti esistono ecosistemi multipli (Silicon Valley, New York, Boston, Austin, ecc.), che combinano ricerca avanzata, venture capital, cultura imprenditoriale, mercato facilmente scalabile, ricchezza di talenti e università di eccellenza. Inoltre, in questo scenario, le mega-aziende statunitensi agiscono da potenti poli di attrazione.
Uno studio pubblicato nel luglio 2023 dal National Bureau of Economic Research (Nber) e recentemente aggiornato, “Mega Firms and New Technological Trajectories in the U.S.”, ha rilevato che le grandi aziende americane hanno svolto un ruolo sempre più importante nella creazione di nuove tecnologie negli ultimi due decenni.
«Le mega-aziende hanno prodotto una quota elevata e crescente di nuovi brevetti… La quota di queste aziende nei nuovi brevetti depositati è aumentata notevolmente dal 2003», si legge in un articolo pubblicato nel novembre 2023 dalla fondazione di Washington Information Technology & Innovation Foundation (Itif), a commento dello studio.
Se poi guardiamo ai volumi di spesa, mettendo insieme solo quattro mega-aziende americane – Alphabet, Meta, Apple e Microsoft – nel 2024, con circa centocinquantaquattro miliardi di dollari di spesa in ricerca e sviluppo, hanno ampiamente surclassato il budget federale civile/non militare, pari a circa cento–centodieci miliardi di dollari.
L’unica risposta di tale portata arriva dalla Cina: nella lista Global 500 di Fortune Magazine del 1995, gli Stati Uniti erano leader indiscussi, con centocinquantuno aziende, seguiti dal Giappone con centoquarantanove.
Tre decenni dopo, la Cina è emersa come principale contendente, con centoventotto società presenti nella lista Global 500 del 2024, rispetto alle centotrentanove degli Stati Uniti. Diverse società cinesi ora si collocano tra le prime trenta della lista. Con circa otto milioni di laureati ogni anno, governo e grandi imprese allineati, e capacità industriali uniche, la Cina viaggia in costante accelerazione sul fronte innovazione.
In Europa, la frammentazione dei mercati e una regolamentazione complessa frenano la scalabilità. L’European Innovation Scoreboard 2025 mostra progressi, ma ancora scarsa capacità di competere con i giganti americani e cinesi.
L’Italia si trova in una posizione paradossale. Il Paese vanta un ecosistema di ricerca di prim’ordine, con università e centri di ricerca di eccellenza riconosciuti a livello internazionale.
Ma i dati dell’European Innovation Scoreboard 2025 collocano l’Italia tra gli “innovatori moderati”: in miglioramento rispetto al passato, ma lontana dai “leader” europei. Questa ricchezza di talenti e conoscenza non si traduce in innovazione diffusa e competitiva a livello globale, nonostante i dati dell’Ufficio Brevetti Europeo (Epo) relativi al 2024 – pubblicati all’inizio del 2025 – e il Patent Index 2024 (fine marzo 2025), che collocano l’Italia all’undicesima posizione mondiale per numero di domande di brevetto e al quinto posto in Europa (dopo Germania, Francia, Paesi Bassi e Svezia).
L’Europa deve darsi una sveglia. Questa la sintesi del Rapporto Draghi, richiamato a gran voce lo scorso 16 settembre in occasione di “One year after the Draghi report – What has been achieved, what has changed”, voluto dalla presidente Ursula von der Leyen.
Il rapporto indicava al primo posto tra le dieci priorità il problema della scarsa innovazione, o meglio la necessità di colmare il “gap innovativo” (Closing the Innovation Gap).
«Questo (l’Innovation Gap) è costantemente evidenziato come una preoccupazione primaria… L’Europa deve riorientare profondamente i propri sforzi per recuperare terreno rispetto a Stati Uniti e Cina, soprattutto nelle tecnologie avanzate. Ciò include un aumento significativo degli investimenti in ricerca e sviluppo, la riforma dell’ecosistema dell’innovazione e la promozione della crescita delle aziende innovative», si legge nel Rapporto.
Nel suo discorso in occasione dell’evento del 16 settembre, Draghi ha ulteriormente rimarcato: «Un percorso diverso richiede nuova velocità, scala e intensità. Significa agire insieme, non frammentando gli sforzi. E significa concentrare le risorse dove l’impatto è più grande. E significa ottenere risultati entro mesi, non anni. Cominciamo con la tecnologia». Ho il timore che, salvo alcune eccezioni, rimarremo spettatori e produttori di dati. Vorrei essere smentito. Non ci resta che aspettare che passi un altro anno.
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