Per una Venezia a misura di persona: la mappa dell’attivismo civico

Amata e odiata, affollata di turisti e svuotata dei suoi abitanti, Venezia attrae e splende nelle sue contraddizioni. Chi la sceglie per viverci, perché qui ha le sue radici o perché se ne è innamorato, si organizza per rendere migliore e più sostenibile la qualità della vita. Sul numero di VITA di settembre (se hai un abbonamento leggi subito Venezia, non più Serenissima e grazie per il tuo sostegno. Se vuoi abbonarti puoi farlo a questo link), abbiamo ricostruito il cortocircuito sociale della città più bella al mondo. A partire da una ricerca di prossima pubblicazione, a cura di Alessia Zabatino ed Elena Ostanel dell’università Iuav, abbiamo messo in luce i tratti che rendono Venezia sempre più simile a un’area interna: spopolamento, scuole e servizi sanitari a rischio.
Eppure c’è chi rimane e la sceglie. Oltre le criticità e i nodi da sciogliere, abbiamo raccolto 75 storie di attivismo e partecipazione: sono 75 luoghi in cui i cittadini si incontrano e cuciono relazioni in nome di un’idea di bene comune. La mappa, in un’infografica realizzata da Matteo Riva (clicca qui sotto per conoscere e visualizzare sulla cartina le realtà che abbiamo raccontato) illumina associazioni e comitati, persone e collettivi nelle isole della laguna, in centro storico, a Mestre e Marghera. Non è e non può essere un censimento esaustivo della “Venezia sociale”, ma una traccia degli incontri che abbiamo fatto lungo la strada.
Sette macro aree raccontano i temi che stanno più a cuore ai veneziani: i giovani, la coesione sociale, il diritto alla casa, la salute, la cultura, la sanità e la partecipazione. Una resistenza che ha il sapore della restanza, il fenomeno con cui lo scrittore e antropologo Vito Teti rilegge le aree interne e che riguarda la necessità, il desiderio, la volontà di generare un nuovo senso dei luoghi.
Attiviste per i ragazzi, la casa, l’inclusione
Maura Orlandini, Valentina Giannini ed Eleonora Gallo sono tre mamme impegnate nel Comitato Genitori Montessori, uno spazio informale di partecipazione, nato sette anni fa per portare il metodo a Venezia nella scuola pubblica. Abitano tutte e tre alla Giudecca, lo definiscono «uno dei posti più belli in cui vivere. C’è ancora contatto umano con le persone per strada». Impegnarsi per la scuola? «Non avremmo potuto fare altrimenti», dicono. «Lo abbiamo toccato con mano: senza un gruppo di genitori attivo, la sezione Montessori a Venezia non ci sarebbe più».
Eleonora Sodini e Giulia Cacopardo sono approdate in laguna da studentesse fuori sede. Un anno e mezzo fa hanno inaugurato uno spazio ibrido che è già entrato nel cuore dei veneziani, la palestra popolare Zenobia, «per offrire un modello di partecipazione sostenibile e accessibile». Malika Mouj è un’educatrice, lavora in un centro d’accoglienza. Un anno fa è entrata in una casa occupata: «Avevo un contratto d’affitto transitorio, una formula agevolata per studenti, poi mi sono laureata e, pur avendo un lavoro, mi sono ritrovata a non avere il budget per un contratto d’affitto standard». Non è semplice: «Si impara a convivere con le ingiunzioni di sfratto, sono almeno due all’anno. L’Assemblea sociale per la casa organizza colazioni collettive per scongiurare la smobilitazione. Sono occasioni per compiere gesti di solidarietà attiva, costruiamo momenti di incontro e condivisione, ci prendiamo cura degli spazi comuni». Occupare per lei è un messaggio rivolto al mondo: «Io qui ci voglio vivere, e mi batto per una città a misura di persona»
Valentina Paulon, presidente dell’associazione Red Carpet for all, ha un sogno: «Un condominio solidale in cui possano co-abitare famiglie che si confrontano ogni giorno con la disabilità e famiglie che non vivono la stessa condizione. Gruppi di persone che vogliano condividere spazi e momenti della propria vita in un ambiente di supporto e sostegno reciproco, una comunità accogliente che ci permetta di pensare con più serenità al dopo di noi». Realizzare un co-housing in una realtà in cui la casa è uno dei nodi più difficili da sciogliere, è una sfida nella sfida. Ma non rinuncia.
Ma anche per la cultura, l’ambiente e la salute
Curare, imparare e riparare. Sono i tre verbi chiave che guidano Opera Aperta, il progetto del Padiglione della Santa Sede alla 19ª Mostra internazionale di architettura di Venezia. Un titolo che racchiude la vocazione profonda del padiglione: aprirsi alla città e alle sue persone, accogliere la trasformazione e farsi luogo di incontro reale.
Sostenibilità fa rima con trasversalità: è questo approccio assolutamente integrato a caratterizzare l’azione di Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, nata tre anni fa con l’obiettivo, spiega il direttore generale Alessandro Costa, «di dare risposte alle evidenti necessità di garantire uno sviluppo sostenibile al territorio veneziano».
Claudia Simpa vive a Burano, è la mamma di due bellissime bambine ed è una delle anime del Gruppo Emergenza dell’isola: «Siamo un’associazione non profit di volontari del soccorso. È nata più di 40 anni fa, quando il cantiere Amadi ha donato due idroambulanze a un gruppo di cittadini che si erano associati per garantire un servizio di trasporto sanitario per le visite mediche. Poi la cosa si è evoluta e i volontari hanno iniziato a formarsi per il primo soccorso». Nel 2020 il Gruppo ha rischiato di chiudere. A un certo punto il direttivo ha organizzato un’assemblea pubblica: “Se non si fa avanti nessuno, smantelliamo l’associazione”. È stato quello il momento in cui Claudia si è fatta avanti: «La teniamo aperta noi».
Sono soltanto alcune delle storie di partecipazione attiva racchiuse in un numero che si propone di raccontare Venezia nella sua complessità.
Presenteremo il numero mercoledì 24 settembre alle 18,30 alla Bocciofila San Sebastiano nel sestiere Dorsoduro a Venezia.
La mappa interattiva (nel testo) e l’infografica (in apertura) sono di Matteo Riva
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