Quale è la causa della stanchezza eccessiva?

Una stanchezza eccessiva che non passa (accade a 1 italiano su 10) anche per le persone sane, non solo per quelle che soffrono di malattie neurologiche: perché?
È il cervello ad amplificare gli sforzi e a determinare quella stanchezza, poiché incapace di interpretare con la giusta intensità le informazioni motorie che gli arrivano. Così, quando si deve compiere un’azione qualsiasi, il cervello sovrastima l’energia necessaria al movimento e fa sentire più spossati del dovuto, ancora prima di muoversi, determinando appunto quella grande stanchezza, nonostante ci sia stato un riposo. Insomma, una sorta di cortocircuito che non valuterebbe quanto sforzo servirà a una determinata azione.
A rivelarlo ci sono alcuni studi dell’Università di Verona, nell’ambito del progetto MNESYS sulle neuroscienze, il più ampio mai realizzato in Italia e in Europa, con circa 800 scienziati a lavoro in oltre 90 centri in tutto il Paese, all’interno del gruppo di ricerca dedicato all’analisi delle interazioni fra corpo e cervello coordinato da Patrizia Fattori dell’Università di Bologna. Tra i lavori di maggiore rilievo, una ricerca pioneristica, pubblicata di recente su Quarterly Journal of Experimental Psychology e un’altra in corso di pubblicazione.
Mirta Fiorio e Angela Marotta, del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, lo hanno dimostrato in persone con patologie neurologiche in cui la stanchezza è molto comune, come la malattia di Parkinson, e in persone sane che si sentono più affaticate del normale nella vita di tutti i giorni.
Cervello & stanchezza
“La fatica è utile, serve a proteggerci da uno stress eccessivo che potrebbe essere dannoso per il benessere fisico e mentale”, spiega Mirta Fiorio, professore ordinario di neuropsicologia dell’Università di Verona. “Può però diventare un problema, se è così pervasiva da non risolversi neanche con il riposo o se è un tratto di personalità, una tendenza a sentirci stanchi ancora prima di agire. I nostri dati mostrano che esiste una stretta relazione fra la stanchezza e un ‘difetto’ nel processo che integra le informazioni sensoriali e motorie che arrivano al cervello e che è fondamentale per il controllo volontario delle azioni. Quando vogliamo compiere un gesto, infatti, il cervello ‘prevede’ sulla base dell’esperienza le sensazioni che proverà affrontandolo e ne regola l’intensità percepita”.
Aggiunge Angela Marotta, ricercatrice del Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona: “Studiando 77 persone con Parkinson o disturbi neurologici funzionali in cui la fatica è un sintomo frequente e invalidante, utilizzando un test di forza target (cioè la pressione esercitata su un dito da un braccio robotizzato) abbiamo osservato che nei pazienti con stanchezza patologica, e non in quelli senza, le sensazioni motorie vengono percepite più intense del dovuto: ciò porta il cervello a commettere errori di previsione, ad attribuire un livello di sforzo maggiore alle proprie azioni e ritenerle perciò più faticose di quanto siano in realtà. La fatica patologica sembra derivare dal ripetersi di queste previsioni errate associate al movimento”.
I ricercatori Mnesys hanno quindi studiato lo stesso fenomeno nella popolazione generale, analizzando 50 persone in cui la fatica non è un sintomo di malattia ma una compagna assidua di tutte le giornate. Rileva ancora Fiorio: “Le prime osservazioni rivelano che anche in chi ha la tendenza più marcata a sentirsi affaticato nella vita di tutti i giorni il cervello ha una minore capacità di ridurre l’intensità delle sensazioni che provengono dai propri movimenti. Questo fa ritenere le azioni più faticose del dovuto, amplificando la stanchezza, e porta anche ad avere una percezione di minor controllo sulle proprie azioni. Ciò spiega perché sentirsi affaticati spesso si accompagna alla sensazione di non essere pienamente in grado di portare a termine i compiti che ci prefiggiamo, come se qualcosa ci impedisse appunto di avere il pieno controllo delle nostre azioni. Sulla base di questi primi risultati potremmo perciò ipotizzare nuove strategie di intervento, preventive e di trattamento per migliorare la qualità di vita di chi convive con la fatica patologica e anche di chi ha una predisposizione a sentirsi privo di energie. In tal senso”, conclude, “una strada da esplorare in studi futuri potrebbe essere, per esempio, quella di sfruttare tipi di attività fisica, come lo yoga e il pilates, che aiutano a rafforzare la consapevolezza del proprio corpo e potrebbero rappresentare un utile allenamento per il nostro cervello a prevedere in modo corretto le sensazioni legate al movimento, prevenendo così il senso di stanchezza”. (foto by Freepik)
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