Maltrattamenti in famiglia e prove digitali: Cassazione riconosce valore probatorio ai file audio WhatsApp

lentepubblica.it
Con la sentenza n. 33707 del 14 ottobre 2025, la Corte di Cassazione è intervenuta sul tema della rilevanza probatoria dei file audio provenienti da applicazioni di messaggistica istantanea, come WhatsApp, nei processi per maltrattamenti contro familiari o conviventi ex art. 572 c.p.
Gli Ermellini hanno confermato la condanna di un uomo per condotte violente e vessatorie nei confronti della moglie, qualificando come centrali per il giudizio colpevolezza dell’imputato proprio i messaggi vocali e le registrazioni acquisiti nel corso delle indagini.
Violenze domestiche documentate da messaggi e registrazioni
Il caso trae origine dalla denuncia presentata nel 2023 dalla moglie dell’imputato, cittadino romeno, la quale riferiva di essere stata per lungo tempo vittima di maltrattamenti fisici e psicologici, avvenuti anche durante la gravidanza, nonché in presenza dei figli minori.
Nel corso delle indagini, la donna aveva consegnato ai carabinieri una serie di file audio e messaggi WhatsApp in cui l’uomo le rivolgeva insulti, minacce e frasi denigratorie. Tali condotte si traducevano in un clima di sopraffazione e aggressività costante.
In primo grado, l’uomo veniva condannato e veniva altresì disposta la sospensione della responsabilità genitoriale.
La Corte d’Appello di Milano, pur riducendo la pena per il riconoscimento delle attenuanti generiche, confermava la condanna, ritenendo pienamente attendibile la testimonianza della vittima e rilevando come le prove digitali prodotte costituissero un solido riscontro oggettivo alle sue dichiarazioni.
L’imputato proponeva ricorso in Cassazione, contestando la mancanza di riscontri esterni alle affermazioni della donna e sostenendo che quanto da lei asserito fosse generico e contraddittorio e che i file audio non potessero costituire una prova autonoma attendibile.
I messaggi vocali come riscontro oggettivo e prova ammissibile
La Corte di Cassazione ha posto fine alla vicenda, affermando che i file audio e i messaggi provenienti da WhatsApp possono costituire mezzi di prova pienamente utilizzabili nel processo penale, purché raccolti legittimamente e riferibili con certezza alle parti coinvolte.
Richiamando un orientamento già consolidato (tra le altre, Cass. S.U., n. 41461/2012, Bell’Arte), la Corte ha ribadito che le dichiarazioni della persona offesa possono fondare da sole la condanna, se ritenute attendibili e coerenti. Tuttavia, nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva valorizzato ulteriori riscontri esterni, tra cui appunto le registrazioni vocali e i messaggi digitali, che confermavano il carattere intimidatorio e aggressivo dei comportamenti dell’imputato.
I giudici hanno dunque riconosciuto ai file audio una funzione, innanzitutto, documentale, in quanto rappresentano una riproduzione fedele di conversazioni realmente intercorse tra le parti, idonea a integrare una prova diretta del fatto, nonché corroborativa, fungendo da riscontro esterno alle dichiarazioni della vittima e rafforzandone la credibilità complessiva.
Inoltre, la Cassazione ha sottolineato che, nell’ambito delle condotte tipizzate dall’art. 572 c.p., le prove digitali hanno un valore decisivo, costituendo spesso l’unico strumento con cui la vittima riesce a dimostrare l’abitualità delle condotte vessatorie e la loro intensità emotiva. I messaggi vocali offrono una fotografia immediata e incontestabile del clima all’interno del nucleo domestico.
Ulteriori rilievi dei giudici
Sotto il profilo giuridico, la Corte ha ritenuto pienamente integrato il delitto di cui all’art. 572 c.p., qualificando i comportamenti dell’imputato come atti abituali di sopraffazione, idonei a ledere la dignità e l’integrità morale della vittima. Risulta altresì confermata l’aggravante per i fatti commessi durante la gravidanza e in presenza dei figli minori, uno dei quali affetto da disabilità.
Tuttavia, va detto che, in conclusione, la Cassazione ha anche accolto il motivo relativo alla pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale, ritenendo fosse stato violato l’art. 34 c.p., che ne limita la durata al doppio della pena principale inflitta. La sospensione, originariamente fissata in 4 anni e 8 mesi, risulta quindi ridotta a 2 anni, in proporzione alla pena detentiva.
The post Maltrattamenti in famiglia e prove digitali: Cassazione riconosce valore probatorio ai file audio WhatsApp appeared first on lentepubblica.it.
Qual è la tua reazione?






