Salario minimo: il Senato approva la delega al Governo, il decreto è legge

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Con il voto favorevole del Senato, il decreto dedicato al salario minimo è diventato legge: ecco tutti i dettagli e tutte le novità previste.
Il testo, già passato alla Camera, ha ottenuto 78 consensi contro 52 voti contrari a Palazzo Madama e introduce una delega al Governo per intervenire sulla materia salariale. Si tratta, in origine, di una proposta unitaria delle opposizioni sul salario minimo, trasformata poi – tramite un emendamento della maggioranza – in un provvedimento che attribuisce al Governo sei mesi di tempo per legiferare su retribuzioni, contrattazione collettiva e vigilanza sulle cooperative.
La nuova normativa non stabilisce direttamente una paga minima oraria, come chiedevano le opposizioni, ma indica un percorso legislativo che punta a rafforzare i diritti dei lavoratori attraverso criteri uniformi e strumenti di controllo più stringenti.
I principi ispiratori: la Costituzione come riferimento
La legge richiama esplicitamente l’articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire un’esistenza dignitosa. In assenza di un salario minimo legale, finora è stata la giurisprudenza, sulla base di questo principio costituzionale e del codice civile, a intervenire per stabilire se una paga fosse adeguata o meno. Alcune sentenze della Cassazione hanno già dichiarato inapplicabili contratti collettivi che fissavano compensi ritenuti troppo bassi.
L’obiettivo del nuovo impianto normativo è quindi duplice: tutelare i dipendenti da trattamenti sottostimati e contrastare fenomeni di concorrenza sleale tra imprese, come il cosiddetto “dumping contrattuale”, che utilizza contratti di comodo per ridurre salari e garanzie.
Cosa prevede la delega al Governo
Il cuore della legge è contenuto negli articoli 1 e 2, che definiscono i principi e i criteri cui il Governo dovrà attenersi nella stesura dei decreti legislativi.
Tra le misure principali rientrano:
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Contratti collettivi di riferimento: per ogni settore, sarà individuato il contratto nazionale più applicato. Le retribuzioni fissate da tali contratti costituiranno il minimo da garantire ai lavoratori.
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Tutela negli appalti: le aziende che ottengono commesse, comprese le subappaltatrici, saranno obbligate a riconoscere ai dipendenti condizioni economiche non inferiori a quelle previste dai contratti nazionali prevalenti. Le stazioni appaltanti avranno il compito di vigilare con maggiore efficacia sul rispetto di queste regole.
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Copertura per chi non ha contratti collettivi: i lavoratori non direttamente tutelati da una contrattazione avranno diritto ad applicare il contratto della categoria più vicina, per evitare zone grigie senza protezione salariale.
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Spinta alla contrattazione di secondo livello: il legislatore punta a favorire accordi territoriali o aziendali, capaci di rispondere meglio alle differenze di costo della vita nelle varie aree del Paese.
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Trasparenza dei contratti: nei rapporti di lavoro, dovrà essere sempre indicato il codice identificativo del contratto collettivo applicato, nelle comunicazioni all’INPS e nelle buste paga.
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Sostegno al rinnovo dei contratti: per evitare ritardi, la legge prevede incentivi e, nei casi di stallo prolungato, un intervento diretto del Ministero del Lavoro, limitato alla definizione dei minimi retributivi.
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Controllo sulle cooperative: il Governo dovrà riformare le verifiche periodiche sugli enti cooperativi, per garantire che mantengano la natura mutualistica ed evitare abusi fiscali e contributivi.
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Partecipazione dei lavoratori: tra le deleghe figura anche la possibilità di introdurre modelli che favoriscano la partecipazione dei dipendenti alla gestione e agli utili delle imprese.
Restano esclusi dal campo di applicazione i dipendenti della Pubblica Amministrazione, che continuano a seguire un percorso contrattuale separato.
Maggiore trasparenza e controlli
Un altro pilastro del provvedimento è rappresentato dall’articolo 2, che affida al Governo il compito di migliorare le procedure di monitoraggio e di rendere pubblici i dati relativi a retribuzioni e contratti. L’obiettivo è creare banche dati integrate, ridurre le aree di lavoro sommerso e rendere più efficaci le ispezioni, anche attraverso strumenti tecnologici avanzati.
Il Ministero dovrà inoltre istituire sistemi di rendicontazione semestrale per valutare l’impatto delle misure di contrasto al lavoro nero, al caporalato e agli abusi nel settore cooperativo. Questi rapporti dovranno basarsi non solo sull’attività dell’Ispettorato nazionale del lavoro, ma anche sulle informazioni raccolte da altri enti di vigilanza.
Aspetti finanziari
La legge stabilisce che le nuove misure dovranno essere finanziariamente neutre. Nel caso in cui emergano costi aggiuntivi per la finanza pubblica, sarà necessario individuare in anticipo le coperture.
Ogni decreto delegato dovrà essere accompagnato da una relazione tecnica che certifichi l’assenza di spese non previste o indichi i mezzi per farvi fronte.
Il percorso parlamentare e i prossimi passi
Il disegno di legge ha seguito un iter articolato. Nato come proposta di legge delle opposizioni per introdurre il salario minimo, è stato modificato in Commissione trasformandosi in una delega. Questa scelta ha suscitato tensioni politiche: da un lato, chi sosteneva la necessità di fissare subito una soglia minima; dall’altro, la maggioranza che ha preferito lasciare al Governo margini di intervento più flessibili.
Ora l’esecutivo ha sei mesi per emanare i decreti legislativi, con la possibilità di una proroga di tre mesi qualora i tempi parlamentari per i pareri si sovrapponessero con la scadenza. Successivamente, entro un anno dall’entrata in vigore, potranno essere adottati decreti correttivi o integrativi.
Un equilibrio tra salario minimo e contrattazione collettiva
Il compromesso raggiunto cerca di coniugare due esigenze: da un lato, quella di garantire a tutti i lavoratori condizioni dignitose; dall’altro, il rispetto del ruolo della contrattazione collettiva come principale strumento di regolazione dei rapporti di lavoro in Italia.
La legge, infatti, non introduce una cifra unica valida per tutti, ma punta a rafforzare i contratti esistenti e a renderli il riferimento minimo inderogabile. Una scelta che potrebbe limitare le retribuzioni troppo basse senza stravolgere l’assetto tradizionale delle relazioni industriali nel Paese.
Il testo del decreto
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