Tanta economia circolare nella storia delle donne italiane: lo dicono anche i brevetti

Novembre 22, 2025 - 01:30
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Tanta economia circolare nella storia delle donne italiane: lo dicono anche i brevetti

Una puntata “storica” questa di Pink&Green nella quale ci concentriamo su alcuni brevetti depositati da donne italiane già a fine ‘800. Il che dimostra come il recupero, riuso, riciclo sia sempre stato una priorità per le quote rosa

Sono tantissime le donne che hanno da sempre creduto e fatto economia circolare nella loro quotidianità: in cucina (sono tante le ricette fantastiche che usano come ingredienti base il recupero di avanzi), ma anche con oggetti che passano dall’essere usati in un modo all’altro (penso agli stracci che diventavano carta).

Alcune donne nei secoli scorsi (ovvero sin dall’Ottocento) sono state anche firmatarie di brevetti. Così, questa nuova puntata di Pink&Green non ha video (altrimenti sarebbe stata una seduta spiritica), ma si concentra sulla storia di quelle donne il cui brevetto di oggetti “circolari” porta il loro nome.

Ci accompagna un esperto di storia dei brevetti: Marco Martinez, docente di Storia economica all’Università di Pisa. Che ammette, “di spunti ce ne sono ancora a iosa“.

Donne, economia circolare e brevetti

Noi vogliamo concentrarci su alcuni esempi. Come quello di Anna Sidoli Maffei, che a Ferrara nel 1899 si specializzava sulla gestione del latte arrivando a depositare ben due brevetti.

Uno sul “processo e apparecchio per tirare il latte di vacca a composizione simile a quello di donna – ci spiega il docente – per arrivare poi nel 1900 (con il  brevetto numero 53753) a depositare il processo di apparecchio per la produzione di caseina insolubile, solubile, in pasta, in polvere in fibre tessili”.

Qualche decennio prima Agnese Maltass (all’anagrafe figlia di Edoardo) a Brescia portava a compimento la registrazione del brevetto numero 20709 del 1886, anticipando il recupero e riciclo del ferro.

Martines spiega che si trattava del “processo per la separazione dello zinco o stagno nei rottami o ritagli di ferro zincato o stagnato senza che sia corroso il ferro, e simultanea utilizzazione dello zinco o stagno ricuperato”.

Solo due esempi tra tanti che mostrano però come l’idea dell’upcycling sia sempre esistita nel cervello delle donne. Che, con grande coraggio, l’hanno portata anche a termine cercando di industrializzare il processo e tutelandosi con un brevetto.

Facile brevettare allora? Più o meno come oggi

Strada non semplice oggi, figurarsi allora. Tanto più che si dovevano investire dei soldi. Martinez spiega bene che era “abbastanza costoso brevettare per lunga durata“.

Facciamo qualche calcolo, seguendo il docente di Pisa: “il costo era di 50 lire per un brevetto della durata di un anno (circa 400-500 euro a prezzi correnti), mentre un brevetto della durata di 10 anni costava circa 800 lire (circa 6.400-8.000 euro).

Il motivo è che oltre a una tassa di iniziale (da 10 a 150 lire, a seconda della durata prevista), c’era anche una tassa che aumentava più che proporzionalmente con la durata. Con la R.D. 23 Luglio 1923 no. 1970 (periodo fascista) la durata è stata fissata per legge a 15 anni, quindi più costosa, ma con una tassa di rinnovo fissa“.

Il procedimento non era particolarmente complesso: “come in Francia e in Svezia e a differenza che in Germania, era un sistema che non prevedeva l’esame tecnico del brevetto, ma un controllo amministrativo-formale portato avanti dalla Prefettura di riferimento“.

Il brevetto infatti andava depositato alla prefettura o sottoprefettura di riferimento (più di 100 in tutta Italia), anziché a Roma. Questo facilitava molto la procedura e non necessitava l’uso di agenti brevettuali specializzati, che infatti sono molto poco presenti in Italia (a differenza che, per esempio, in Francia).

Vero è che non era un’impresa alla portata di tutte le donne. Martinez a questo proposito spiega che è era però più o meno come oggi. Gli stessi gap insomma: “c’è a proposito molta letteratura – afferma – ma ancora non c’è una risposta univoca.

Per esempio, Hunt et al. (2012 *) hanno evidenziato la sottorappresentazione delle donne nei settori ad alta intensità di brevetti e spiegano che il divario di genere nel campo dei brevetti riflette un più ampio divario di genere esistente nella scienza e nell’ingegneria.

Allo stesso modo, Sugimoto et al. (2015 **) hanno analizzato i dati globali sui brevetti, rivelando che il divario di genere nel campo dei brevetti non è limitato a regioni specifiche, suggerendo l’esistenza di barriere strutturali e sociali diffuse“.

(*) Hunt, J., Garant, J. P., Herman, H., Munroe, D. J. (2012). Why don’t women patent?, National Bureau of Economic Research, No. w17888.

(**) Sugimoto, C. R., Ni, C., West, J. D., Larivière, V. (2015). The academic advantage: Gender disparities in patenting. PloS one, 10(5), e0128000.

Crediti immagine: Depositphotos

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