Meloni, Schlein e la fine di un mondo che non è il loro

Ottobre 18, 2025 - 16:00
 0
Meloni, Schlein e la fine di un mondo che non è il loro

Mentre il mondo dà segni di follia – gli americani si sono alleati con i russi e sulle posizioni russe – la politica italiana adatta al nuovo schema internazionale i propri canoni tradizionali, riuscendo a conservarne, in negativo, tutto l’inconciliabile essenziale: la retorica patriottarda e lo spirito del “tutti a casa”, l’orgoglio impettito della Nazione e una disponibilità sconfinata a galleggiare nell’equivoco e nell’incoerenza, il virtue signalling e un affarismo spregiudicato. 

Del resto, l’Italia populista, lungi dal rottamare alcunché, è quella che ha universalizzato il connubio tra immobilismo e trasformismo ed esaltato il gattopardismo di natura dell’intera storia unitaria, nobilitato nella tragedia dalle rappresentazioni letterarie e degradato nella farsa da una pratica di potere normalmente mediocre e arraffona. 

Se ciò ha improntato i rapporti dell’Italia con sé stessa e con i propri problemi, a maggior ragione questa inclinazione da «buoni a nulla capaci di tutto» (secondo l’impietosa definizione di Marco Pannella) ha dispiegato i propri effetti nei rapporti con il resto del mondo e i suoi travagli, con gli alleati e gli avversari, gli amici e i nemici, tutti suscettibili di affetti double face. 

Anche limitando lo sguardo alla lunga stagione di pace che è seguita alla Seconda Guerra Mondiale, la caratteristica di fondo della politica internazionale dell’Italia repubblicana, dopo un primo periodo ancora segnato dalle ferite della guerra e da un senso acuto di responsabilità per i disastri compiuti (si pensi al discorso di Alcide De Gasperi alla Conferenza di Pace di Parigi del 1946) è stata quella di una reiterata senseria strategica, con spiccata sensibilità alle rendite di posizione e suprema noncuranza per l’etica delle conseguenze.

Questo ha consentito all’Italia di presentarsi sempre amica di tutti e nemica di nessuno, impegnata nelle componenti più nominalmente atlantiste in una Ostpolitik ruffiana verso Mosca o in un’amicizia levantina col mondo arabo e in quelle ufficialmente para-sovietiche in un accomodante compromesso col nemico yankee e il suo ombrello Nato: comunque desiderosa, in entrambi i casi, di sedere al tavolo dei grandi o nei suoi paraggi, per trarre qualche vantaggio da portare a casa, con millantata arguzia fiorentina. Non certo di intestarsi il costo o il peso di una qualche responsabilità di pace e di guerra, non certo di mettere una firma su qualcosa che non fosse un arabesco diplomatico o uno svolazzo umanitario. 

Oggi mentre molti sembrano usciti pazzi, gli italiani continuano a uscire tutto sommato al naturale, senza vere distinzioni tra gli opposti schieramenti del sistema bipopulista, malgrado gli apparenti e opposti avantindrè ideologici di una destra sovranista ora all’apparenza istituzionalizzata nell’instabile e fittizio new deal euro-atlantico trumpiano e di una sinistra liberale nuovamente rifluita nella demagogia social-pacifista. 

La destra e la sinistra italiana oggi non hanno e forse non hanno mai avuto altra ambizione che di attraversare indenni le crisi internazionali in corso, come quelle passate e che verranno. Di uscirne, diciamo così, vive, al netto dei morti che queste mieteranno – parce sepulto – e magari rafforzate, a prescindere dall’indebolimento o dal vero e proprio sovvertimento che procureranno all’assetto delle relazioni internazionali e a quel precario ordine di pace e di prosperità che gli ottant’anni che abbiamo alle spalle hanno assicurato alle democrazie del mondo libero. 

Però di quell’ordine internazionale terremotato dalle convulsioni di una storia sfuggita di mano – la storia che dopo il crollo del Muro di Berlino si sarebbe dovuta definitivamente compiere, come prometteva la fiducia dogmatica dei vincitori – nella politica italiana che conta nessuno si sente responsabile e partecipe e può dirsi erede e custode: né la destra post-fascista e i suoi annessi e connessi post-leghisti e post-berlusconiani, da sempre diffidenti verso l’imperialismo globalista euro-americano e sensibili alle recriminazioni e alle lusinghe di Vladimir Putin, né la sinistra retrograda, impegnata in primo luogo nel rinnegamento del suo breve e volenteroso apprendistato atlantista e incalzata da alleati – rossoverdi e pentastellati – direttamente agganciati all’orbita moscovita e alle sue propaggini globali.

Senza mancare di rispetto personale a nessuno, ritengo difficile che quello che sta succedendo appaia davvero come una dolorosissima fine del mondo a gente che è stata educata proprio alla speranza che quel mondo finisse e se ne inaugurasse uno a misura delle loro debolezze e furbizie, paranoie e ambizioni nostalgiche o rivoluzionarie. Ora che quel mondo dà l’impressione di finire – la rielezione di Donald Trump, il pianeta sull’ottovolante, tutte le canaglie dell’orbe terracqueo impegnate ad alzare la testa e a presentare il conto, d’intesa tra loro e col capomandamento della Casa Bianca – l’unico e comune obiettivo degli opposti schieramenti è che, se proprio deve crollare, non gli rovini sulla testa, ma un po’ più in là e li lasci alla soddisfazione del «ve l’avevo detto, che così non durava» da figli di un dio minore, ciascuno secondo la misura delle idiosincrasie ideologiche ed estetiche che l’Occidente europeo e americano old style loro suscitava.

Se si prendono le due cape degli schieramenti italiani – Giorgia Meloni ed Elly Schlein – e si rileggono le cose che dicevano e si riguardano le cose che facevano prima del turning point della storia occidentale del 24 febbraio 2022 si capisce perfettamente che per entrambe questa fine del mondo che minaccia di realizzarsi, grazie al tradimento del presidente americano, era magari non in modo così cruento una speranza apertamente coltivata in decenni di marginalità antagonistica alle forme e ai contenuti dell’Occidente culturale, sociale e politico. 

Che fosse la ridotta di Colle Oppio per Meloni o quel centro sociale collettivo e diffuso dei cosiddetti Movimenti per Schlein, le leader della politica italiana hanno frequentato luoghi, persone, pensieri e parole che per l’Occidente che rischia di andare a gambe all’aria esprimevano solo distanza, disgusto e disprezzo. 

Entrambe sono state, in modo diverso, contro quell’America e quell’Europa che oggi rischiano di capitolare – in primo luogo, sulla frontiera ucraina dell’Occidente – e che loro non saprebbero sostituire né come nemico né come modello. Quindi oggi si ingegnano in tutto questo disastro, che non le interroga e in cuor loro nemmeno le riguarda, a trovare una via per salvare le rispettive ditte, quella sovranista e quella social-populista, e a tenerle a distanza di sicurezza da quel vecchio mainstream euro-atlantico destinato a cadere sotto i colpi incrociati della destra e della sinistra anti-liberale. Entrambe provano a salire sul carro dei vincitori – Schlein su quello improvvisato di Pedro Sanchez, Meloni su quello marziale di Donald Trump – persuase e in fondo contente che dell’Occidente come l’abbiamo conosciuto non resterà più nulla. 

Se ci si chiede perché entrambe siano così disinteressate, prive di trasporto, psicologicamente aliene a quella tragedia d’Occidente che è l’aggressione all’Ucraina, e alle quotidiane prove generali dell’invasione dell’Europa che si compiono nelle trincee del Donbas e nei cieli di Sumy, Kyjiv e Odesa, bisogna onestamente rispondere: perché quell’Europa non è la loro Europa, perché quell’Occidente non è il loro Occidente.

Che cosa vogliono davvero la leader della maggioranza e quella dell’opposizione? L’una, Giorgia, che la guerra di Trump all’Occidente le consenta un allineamento recitativo con la Casa Bianca e cerchiobottista con l’Europa matrigna, ma necessaria a impedire che l’Italia rimanga sola in balia dei flutti nella tempesta globale. L’altra, Elly, che tutti i venti di guerra gonfino le vele del consenso all’irenismo paraculo della sua compagnia. Entrambe, nei fatti, vogliono la stessa cosa: cavarsela.

Questo è un articolo del numero di Linkiesta Magazine ordinabile qui.

L'articolo Meloni, Schlein e la fine di un mondo che non è il loro proviene da Linkiesta.it.

Qual è la tua reazione?

Mi piace Mi piace 0
Antipatico Antipatico 0
Lo amo Lo amo 0
Comico Comico 0
Furioso Furioso 0
Triste Triste 0
Wow Wow 0
Redazione Redazione Eventi e News