Accantonare le politiche per il clima può costare oltre 500 miliardi di dollari all’anno alle aziende

«I piani Net Zero che escludono le emissioni Scope 3 sono incompleti», per dirla con le parole pronunciate dal segretario generale dell’Onu António Guterres alla Cop29 di Baku. Ma ignorare l’impatto delle emissioni della catena di approvvigionamento comporta anche un danno economico: potrebbe costare alle aziende oltre 500 miliardi di dollari in passività annuali a livello globale entro il 2030. A evidenziarlo è il Carbon Action Report 2025 di EcoVadis e Boston Consulting Group (BCG), intitolato Scope 3: From Unmanaged Risk to Untapped Opportunity.
L’avvertimento giunge tra l’altro in un momento di crescente pressione su due fronti: i rischi fisici, dovuti agli impatti diretti del cambiamento climatico, e i rischi di transizione, derivanti dai cambiamenti nelle politiche, nei mercati e nella tecnologia, mentre l'economia globale si sposta verso un futuro a basse emissioni di carbonio.
Il fatto è che le emissioni Scope 3 sono 21 volte superiori a quelle combinate degli Scope 1 e 2, ma solo il 24% delle aziende le monitora e solo l'8% si prefissa obiettivi di riduzione. Il report ora diffuso, tuttavia, sottolinea che investire oggi in azioni per il clima a livello di catena di approvvigionamento può generare un ritorno sull’investimento (Roi) da tre a sei volte superiore, prevenendo i costi futuri legati alla regolamentazione del prezzo del carbonio.
«I rischi finanziari dell'inazione climatica sono chiari, ma lo sono anche le opportunità», ha dichiarato Pierre-François Thaler, co-fondatore e co-ceo di EcoVadis. «Affrontando le emissioni Scope 3, le aziende possono proteggere la loro redditività e costruire una catena di approvvigionamento più resiliente. È il momento di agire, e il modo più efficace per iniziare è lavorare con i fornitori, dove si trova la maggior parte delle emissioni».
L'analisi principale del report si basa sui dati di EcoVadis derivanti da oltre 133.000 valutazioni del carbonio su 83.000 aziende in tutto il mondo, combinati con l'analisi statistica e basata sui dati di BCG per identificare i fattori più incisivi delle performance dello Scope 3.
Il report indica cinque azioni più incisive che le aziende possono utilizzare per passare dalla consapevolezza all'azione e accelerare la decarbonizzazione della catena di approvvigionamento. La prima riguarda il coinvolgimento dei fornitori: coinvolgere i fornitori sull'ambizione e sulla necessità di un'azione per il clima, e collaborare per lanciare attività congiunte di riduzione delle emissioni. La seconda azione riguarda la misurazione delle emissioni: creare un inventario dei gas serra (GHG), con monitoraggio delle operazioni (inclusi i dati a livello di prodotto come azione successiva). La terza è per il team di gestione allineato al clima: istituire un gruppo dedicato che stabilisca e si faccia carico dell'agenda aziendale a basse emissioni di carbonio. Quarta, piano di transizione climatica: definire una strategia per la transizione verso un modello di business a basse emissioni di carbonio. E, infine, la quinta azione più incisiva riguarda il budget per la riduzione delle emissioni: assegnare un budget dedicato per finanziare le iniziative di decarbonizzazione a livello aziendale.
«Se vogliamo raggiungere 1,5°C, o almeno rimanere entro i 2,0°C, i prossimi cinque anni sono cruciali», ha detto Diana Dimitrova, managing director e partner di BCG. «Le emissioni della catena di approvvigionamento sono 21 volte superiori a quelle Scope 1 e 2, il che le trasforma da un semplice obbligo di conformità a un fattore chiave per i risultati finanziari. Ci sono in gioco oltre 500 miliardi di dollari in passività annuali, ma un'azione decisa può generare resilienza e profitti».
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