Amt, Bucci scettico: “Forse non serve ricapitalizzare”. Le nuove tariffe e il rebus dei soldi pubblici


Genova. “Anzitutto bisogna vedere come sono i conti, non appena vediamo i conti vediamo quanto è la capitalizzazione e magari non c’è nemmeno bisogno di ricapitalizzazione, è solo questione di passaggio di proprietà”. Lo chiarisce oggi il presidente della Regione Liguria Marco Bucci a due giorni dalla commissione consiliare su Amt in cui il presidente Federico Berruti ha ribadito la necessità di ricapitalizzare l’azienda con un’iniezione nell’ordine dei 100 milioni di euro per garantirle un futuro a lungo termine.
È ormai noto che proprio la Regione Liguria potrebbe avere un ruolo centrale nel salvataggio di Amt con l’obiettivo di allontanare lo spettro del fallimento e quello della privatizzazione. Il vicesindaco Alessandro Terrile ha annunciato mercoledì in sala rossa che “è iniziato il confronto” sia con l’ente di piazza De Ferrari sia con la sua finanziaria Filse che potrebbe rilevare una quota maggioritaria del pacchetto azionario della società.
Bucci conferma che l’intenzione è quella: “Noi siamo assolutamente interessati, ma ancora non ho ricevuto la tempistica, quindi non lo so, dipenderà dal Comune di Genova. Ma appena il Comune di Genova ci dà l’ok entriamo immediatamente. Si potrebbe fare anche domani. I soldi li abbiamo, siamo pronti ad arrivare. Se domani mi dicono che si può comprare, noi compriamo”.
D’altro canto il governatore insiste: “Io i numeri non li ho visti, abbiate pazienza, ma penso che nessuno abbia visto i numeri per adesso. Fatemeli vedere, poi vi dico cosa penso. I documenti devono essere registrati e certificati. Quindi, quando avremo un bilancio certificato, poi parleremo dei numeri”.
Secondo l’analisi di Pwc in base ai numeri forniti dall’azienda (bisogna ricordare che il bilancio 2024 non è ancora stato approvato) allo stato attuale Amt si trova in deficit patrimoniale di circa 90 milioni di euro, condizione che ha obbligato il nuovo consiglio d’amministrazione ad avviare la composizione negoziata della crisi sospendendo gli obblighi di ricapitalizzazione per almeno sei mesi. Ma a questo punto sembra scontato che la cura debba passare per l’ingresso di un nuovo socio che, secondo tutte le promesse fin qui dichiarate, sarà pubblico e non sarà Trenitalia.
Intanto nei prossimi giorni si attende che venga svelato il piano triennale messo a punto dal nuovo management insieme a Pwc e alcuni consulenti ingaggiati ad hoc. Le linee guida sono state anticipate dallo stesso Berruti in aula rossa: per risanare Amt servono circa 60 milioni all’anno, di cui 10 milioni dalla tariffazione e i restanti 50 milioni da contributi di enti pubblici. Il piano verrà condiviso con l’assemblea dei soci la prossima settimana, dopodiché dovrebbe essere condiviso anche con sindacati e associazioni degli utenti.
Anzitutto c’è attesa sul nuovo piano tariffario che dovrà superare la politica sperimentale messa in campo da Bucci e Piciocchi con l’ex presidente Gavuglio, responsabile – secondo l’attuale giunta e gli attuali amministratori – di un calo dei ricavi pari a 35 milioni in due anni. Parola d’ordine: tornare al livello di entrate raggiunto nel periodo post-Covid, poco più di 60 milioni all’anno. Si sa che le modifiche scatteranno probabilmente a partire da novembre in tre fasi successive, per dare modo ai cittadini di recepire i cambiamenti. È pressoché certo che le gratuità verranno rimodellate secondo il principio dell’Isee, quindi in base al reddito e non più solo in base all’età o alla residenza. Anche la sperimentazione su metropolitana e impianti verticali potrebbe essere cancellata o almeno ridimensionata. E poi gli abbonamenti: difficile che quello annuale possa restare tale e quale (295 euro per tutto il bacino metropolitano) mentre il biglietto singolo, già aumentato a 2 euro, dovrebbe restare invariato.
Ma la leva principale è quella pubblica. Dove si trovano 50 milioni di euro all’anno senza mettere a rischio l’affidamento in house (che deve essere più economico rispetto a una gara, come ha ricordato di recente l’Anac bocciando le scelte del centrodestra)? La risposta per ora non c’è, ma sembra chiaro il principio di fondo. Negli ultimi anni, complici le crisi internazionali, il costo del servizio è aumentato di circa 80 milioni di euro all’anno, senza però trovare una pari compensazione nei finanziamenti statali. Dunque il veicolo principale è il contratto di servizio, che oggi vale 128 milioni di euro per entrambi i bacini, urbano ed extraurbano. Ma si potranno valutare anche nuovi contributi ministeriali, tenendo presente che i soldi da Roma non arrivano subito, come insegna la vicenda dei 12,5 milioni inseriti a bilancio nel 2023 e arrivati solo a settembre.
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