Delpini: «Pregare, educare alla pace, essere profeti»


È la Basilica di San Nicolò a Lecco (Zona III) a ospitare la prima Messa zonale per la pace che l’Arcivescovo celebra nel mese di ottobre accogliendo l’invito di papa Leone XIV e della Cei.
Malgrado l’orario insolito (6.30), la chiesa è affollata di fedeli in ascolto della riflessione di monsignor Delpini nell’omelia, che parte da una constatazione: «Sulla faccia della Terra oggi sono in corso 59 guerre… Alcune vanno avanti da anni e sono stragi incalcolabili, come in alcuni Paesi dell’Africa e dell’Asia. Alcune sono guerriglie striscianti, che fanno vittime di cui nessuno si accorge. Noi abbiamo sotto gli occhi i disastri che si stanno combinando in Terra Santa e in Ucraina. Quindi le guerre non sono solo quelle di cui noi sentiamo parlare o alle quali siamo sensibilizzati».
Poi ricorda l’invito del Papa e richiama la pagina del Vangelo appena pronunciato: «Quando capiteranno queste cose voi alzate lo sguardo, voi continuate a sperare…». Ma come continuare a sperare? Delpini suggerisce tre parole.
La prima è «preghiera». «Non una delega a Dio perché faccia quello che noi non siamo capaci di fare – chiarisce -. La preghiera consiste nell’entrare in dialogo con Dio per lasciarsi condurre dal suo Spirito», senza sapere «cosa opera lo Spirito in ciascuno di noi»: «Se la preghiera è affidarsi allo Spirito di Dio, forse sorgeranno profeti, forse sorgeranno maestri, forse sorgeranno politici, forse sorgeranno tante persone di buona volontà che pregano e perciò quotidianamente si lasciano condurre a compiere le opere di Dio».
La seconda parola è una esigenza: «Dobbiamo cercare di educarci ed educare a essere operatori di pace. Questo vuol dire contribuire per quanto possiamo a diffondere una mentalità». Certamente nella vita umana non può essere tutto pacifico, «però, come dice il Papa, i conflitti fanno parte della storia. Ma il problema è quando, per risolvere i conflitti, si ricorre alle armi, invece che cercare forme di convivenza, custodire la vita, non seminare la morte». Quindi educare non significa «essere ingenui», ma «cogliere il punto in cui il conflitto diventa un elemento che distrugge l’umanità, abituarsi a fare alleanze, a cercare insieme la via della pace».
Poi un riferimento alla prima lettura, «che dice: “Se tu non sei capace di far funzionare bene la tua famiglia, come penserai di far funzionare bene il mondo?”». Educarsi a essere operatori di pace vuol dire allora «orientare l’aggressività in modo che non diventi guerra».
La terza parola è «profezia», con la citazione di un discorso di Leone XIV alle Chiese orientali: «Questa è la profezia che lui vuole compiere: “Perché questa pace si diffonda io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino, si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace. I popoli vogliono la pace e io con il cuore in mano dico ai responsabili dei popoli: incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo. La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere perché non risolvono i problemi, ma li aumentano… Gli altri non sono anzitutto nemici, ma esseri umani, non cattivi da odiare, ma persone con cui parlare”».
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