È ora di fare i conti con l’asse Trump-Putin-Netanyahu

La scena, alla Casa Bianca, si ripete sempre pressoché identica, ormai da mesi: ogni volta che un giornalista chiede conto a Donald Trump dell’ultimo bombardamento russo o dell’ultima offensiva israeliana, e di come si concilino con le sue fantomatiche trattative di pace, il presidente prima si dice molto contrariato e pronto a intervenire se le cose non cambieranno entro un paio di settimane, la sua scadenza favorita, e due giorni dopo, senza che nel frattempo nulla sia cambiato, lui o i suoi ministri sono già lì a stendere il tappeto rosso sotto i piedi di Vladimir Putin o a gettarsi tra le braccia di Benjamin Netanyahu.
Negli ultimi giorni però il gioco ha perso anche quel minimo di dissimulazione e ipocrisia che finora aveva consentito a tutti gli altri, se non di crederci, almeno di fingere. Quando Putin ha spedito una ventina di droni oltre il confine Polacco per testare la prontezza e soprattutto l’unità della Nato, infatti, Trump non ha esitato a dire che poteva anche trattarsi di un errore, per poi condizionare le famose sanzioni contro la Russia – che avrebbe dovuto mettere almeno tre ultimatum fa – a una serie di richieste rivolte non a Mosca, ma agli alleati.
Non stupisce che il capo del Cremlino, per tutta risposta, ieri abbia spedito un altro drone in Romania. Da parte sua, nel frattempo, Netanyahu non si è fatto scrupolo di bombardare direttamente la delegazione con cui avrebbe dovuto negoziare, il che ieri non ha impedito al segretario di Stato americano Marco Rubio di andare a stringergli la mano di persona, dopo aver detto ai giornalisti – cito dalla sintesi del New York Times – che avrebbe sottolineato l’impazienza di Trump per la fine della guerra a Gaza, così come la sua preoccupazione che l’attacco aereo di Israele contro i leader di Hamas in Qatar la scorsa settimana possa ostacolare gli sforzi per raggiungere un accordo sul cessate il fuoco con il gruppo.
C’è bisogno di altre dimostrazioni? Cos’altro serve per riconoscere l’evidenza dei fatti, e cioè che non c’è – e non c’è mai stata – nessuna iniziativa diplomatica, nessun processo di pace e nessuna mediazione, semplicemente perché Trump non è un mediatore, in nessuno dei due conflitti, ma uno stretto alleato di Netanyahu e un sincero ammiratore di Putin?
Questa è la realtà con cui dobbiamo fare i conti, in Europa e anche in Italia, dove pure molti sembrano prigionieri delle proprie fissazioni, fino ai limiti della dissonanza cognitiva. Dunque, ricapitolando: se pensate di essere antifascisti, ma continuate a ripetere tutte le balle della propaganda putiniana (e trumpiana) sul conflitto in Ucraina, avete sbagliato squadra; se pensate di essere liberali, fieri difensori della democrazia occidentale e dello stato di diritto, e al tempo stesso state dalla parte di Netanyahu, avete sbagliato squadra; se pensate di essere filo-occidentali e trumpiani, o anti-imperialisti e filo-putiniani, o liberaldemocratici e sostenitori di Netanyahu, non avete sbagliato questa o quella valutazione, analisi, interpretazione dei fatti o degli uomini: avete sbagliato squadra.
La difesa della libertà, dello stato di diritto e della civiltà occidentale stanno dall’altra parte del campo. Quanto a quella destra che pretende di stare al tempo stesso con Trump e contro Putin, c’è poco da dire: non ha sbagliato niente. A sbagliare, in questo caso, è chi ancora non ha capito il suo gioco.
Questo è un estratto di “La Linea” la newsletter de Linkiesta curata da Francesco Cundari per orientarsi nel gran guazzabuglio della politica e della vita, tutte le mattine – dal lunedì al venerdì – alle sette. Più o meno. Qui per iscriversi.
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