Giorgio Armani, si rafforza l’ipotesi EssilorLuxottica: partecipazione di minoranza ma nessun controllo

Novembre 24, 2025 - 21:30
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Giorgio Armani, si rafforza l’ipotesi EssilorLuxottica: partecipazione di minoranza ma nessun controllo
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Continua ad assumere contorni sempre più definiti il futuro della Giorgio Armani, nel cui destino ora sembrerebbe figurare il nome di EssilorLuxottica. A sbilanciarsi è Il Sole 24 Ore, secondo cui il colosso dell’occhialeria sarebbe pronto a investire nel gruppo, rilevando una quota compresa tra il 5 e il 10%, senza tuttavia assumere ruoli attivi né entrare nel consiglio di amministrazione. A rendere plausibile lo scenario contribuisce il legame storico tra i due gruppi: la collaborazione risale al 1988, quando Leonardo Del Vecchio interpretò la creatività dello stilista piacentino per gli occhiali a marchio Armani. Mentre lo stilista deteneva inoltre una quota del 2% di EssilorLuxottica. Secondo quanto appreso l’intenzione del colosso italo-francese sarebbe oggi quella di accompagnare la famiglia Armani nella nuova fase del gruppo, al momento però nessuna delle parti coinvolte a commentato i rumors in circolazione.

Secondo quanto ricostruito dalla testata, il gruppo guidato da Francesco Milleri avrebbe comunicato alla Fondazione Armani – oggi guidata da Pantaleo Dell’Orco nel ruolo di presidente – e agli eredi dello stilista, scomparso lo scorso 4 settembre, la disponibilità a valutare una partecipazione come corner investor. Il piano si inserisce nella più ampia riorganizzazione azionaria prevista dalle volontà di Giorgio Armani, secondo cui la Fondazione dovrà impegnarsi, decorsi 12 mesi ed entro i primi 18 dalla data di apertura della successione, a “cedere in via prioritaria” una quota del 15% del capitale a un grande player del lusso. Tra i nomi indicati figuravano proprio, EssilorLuxottica, Lvmh e L’Oréal, oltre ad altri soggetti individuati con l’accordo di Dell’Orco.

Il dossier Armani resta dunque aperto a diversi scenari. Nel settore si parla, ad esempio, di un possibile ruolo di L’Oréal limitato esclusivamente al comparto beauty, senza un ingresso nel capitale della holding. A garantire, in questo caso, sarebbero proprio le vendite legate al beauty e eyewear: come riportato da Reuters, i profumi e prodotti beauty a marchio Armani, nel portafoglio di L’Oréal, generano circa 1,5 miliardi all’anno (secondo le stime di “fonti interne al settore e analisti”), mentre l’occhialeria contribuirebbe per circa 500 milioni di euro.

Tornando alle possibili strade da percorrere, nelle ultime settimane le indiscrezioni avevano coinvolto anche Prada Group, fresco dell’acquisizione di Versace. A escludere l’ipotesi era stato però Lorenzo Bertelli, futuro presidente della casa della Medusa, che aveva chiarito l’assenza di “contatti di alcun tipo” e ribadito come la priorità del gruppo sia oggi il rilancio di Versace. Tre le tante indiscrezioni, era stato fatto anche il nome di Exor, la holding che fa capo alla famiglia AgnelliElkann.

Più complessa invece la pista Lvmh, che non aveva chiuso la porta a un’eventuale operazione. Bernard Arnault – secondo quanto si legge su Repubblica – aveva infatti dichiarato: “Giorgio Armani ci onora indicandoci come un attore in grado di instaurare una partnership con la maison eccezionale che ha costruito. Sono un grande ammiratore del suo talento. Giorgio Armani, che ho avuto la gioia di conoscere personalmente, era un vero genio; l’unico grande couturier, insieme a Christian Dior, ad aver creato e guidato un marchio mondiale sia sul piano dello stile che su quello industriale. Se in futuro dovessimo lavorare insieme, Lvmh avrebbe a cuore di rafforzarne ulteriormente la presenza e la leadership a livello globale”. Difficile però pensare a un’unione imminente, non tanto per una questione di liquidità quanto perché il gruppo è impegnato a gestire meglio i propri asset (soprattutto la divisione wine & spirits, per la quale da qualche tempo si vocifera uno spin-off).

Non si esclude poi un’operazione che potrebbe coinvolgere congiuntamente alcuni dei gruppi indicati dallo stilista, anche in forma di “cordata” italiana, prima della definizione dell’assetto finale della maison. Una dinamica che darebbe spazio all’ingresso di EssilorLuxottica e L’Oréal con quote paritarie attorno al 20%, mentre la holding Armani sarebbe rimasta al 60%, con un possibile patto di sindacato tra i tre gruppi per la governance.

Guardando al testamento dello stilista, le intenzioni erano cristalline: la cessione della maggioranza a un colosso del lusso oppure lo sbarco in Borsa. Come anticipato, La Fondazione è infatti tenuta, entro 12–18 mesi dall’apertura della successione, a cedere prioritariamente una quota del 15% a uno dei gruppi indicati o a un soggetto individuato insieme a Dell’Orco. Successivamente, “a decorrere dal terzo anno ed entro il quinto”, dovrà essere ceduto allo stesso acquirente un ulteriore 30% del capitale, fino a raggiungere un massimo del 54,9%. Con questa seconda fase, il gruppo selezionato arriverebbe alla maggioranza assoluta della maison, configurando una vera e propria cessione.

Resta comunque prevista un’alternativa: qualora la seconda fase non dovesse andare in porto per l’assenza di un partner in grado di garantire le condizioni necessarie, Armani ha disposto la possibilità di quotare la società su un mercato regolamentato italiano o di pari standing. In questo caso, l’Ipo dovrebbe essere richiesta dalla Fondazione, da Dell’Orco e da uno dei nipoti entro tre anni dall’apertura del testamento, e comunque non oltre cinque, con un limite massimo estendibile fino a otto anni. Già immaginato dal designer anche un eventuale post-Ipo: si dovrà attuare “un ordinato piano di valorizzazione di una parte della partecipazione residua, detenuta dalla Fondazione nella società, di modo che la partecipazione della Fondazione non sia mai inferiore al 30,1 per cento”.

Giorgio Armani era rimasto finora orgogliosamente indipendente, resistendo negli anni alle avances di Lvmh e Gucci, ora parte di Kering, che avevano presentato offerte per l’acquisizione dell’azienda alla fine degli anni ’90, durante un periodo di consolidamento del settore. Negli anni successivi, ha anche rinunciato allo sbarco in Borsa, che avrebbe fornito all’azienda i fondi per espandersi o acquisire concorrenti, significando però anche un controllo meno diretto sull’azienda.

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Redazione Redazione Eventi e News