Internazionalizzazione delle imprese italiane: il ruolo strategico della finanza pubblica

Novembre 25, 2025 - 23:30
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Internazionalizzazione delle imprese italiane: il ruolo strategico della finanza pubblica

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Internazionalizzazione delle imprese italiane: il ruolo strategico della finanza pubblica



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In una fase in cui la crescita interna rallenta e i mercati esteri diventano sempre più selettivi, l’internazionalizzazione delle imprese italiane si conferma una delle leve più solide per la competitività del Paese. Guglielmo Picchi, presidente di Sace, delinea il ruolo della finanza pubblica come supporto alle aziende impegnate a esportare e investire fuori dai confini nazionali

Pubblicato il 25 nov 2025



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In una fase in cui la crescita interna rallenta e i mercati esteri diventano sempre più selettivi, l’internazionalizzazione delle imprese italiane si conferma una delle leve più solide per la competitività del Paese. Il tema è stato al centro del Made in Italy Summit 2025, dove Guglielmo Picchi, presidente di SACE, ha delineato il ruolo della finanza pubblica come supporto alle aziende impegnate a esportare e investire fuori dai confini nazionali.

L’export come motore della crescita italiana

L’Italia resta un’economia fortemente orientata all’export. Come ha ricordato Picchi, su un PIL di 2,2 trilioni di euro, il portafoglio di garanzie pubbliche a sostegno dell’export raggiunge i 270 miliardi, un dato che testimonia l’importanza del credito garantito dallo Stato nel sostenere le imprese in un contesto globale sempre più instabile.

Questa struttura di sostegno, ha spiegato il presidente di SACE, rappresenta una leva macroeconomica: compensa le debolezze della domanda interna e consente di mantenere attivo un motore di crescita reale anche in fasi di incertezza geopolitica.

«La crescita italiana ha un driver preciso: l’export», ha affermato Picchi, aggiungendo che «la capacità di sostenere le imprese nel loro percorso di internazionalizzazione è oggi una funzione essenziale della politica economica del Paese».

L’idea di fondo è che l’espansione internazionale non sia un obiettivo riservato alle grandi aziende, ma un processo collettivo, in cui lo Stato fornisce garanzie e conoscenze, e le imprese mettono in campo innovazione e adattamento.

La leva pubblica come stabilizzatore economico

Nel modello italiano di internazionalizzazione delle imprese, la leva finanziaria pubblica assume il ruolo di stabilizzatore del sistema produttivo. La possibilità di accedere a garanzie statali sul credito all’esportazione riduce il rischio per le imprese e crea le condizioni per pianificare investimenti a lungo termine, anche nei mercati più volatili.

Come ha spiegato Picchi, questa funzione di sostegno non è solo economica ma anche culturale: aiuta le aziende, in particolare le PMI, a maturare una visione più strategica del proprio sviluppo. L’intervento pubblico diventa così un meccanismo di partenariato tra Stato e impresa, fondato sull’idea che la competitività estera dipenda anche dalla solidità del mercato domestico.

A fianco della componente finanziaria, si sta consolidando una rete di programmi di accompagnamento e formazione per le imprese che muovono i primi passi nei mercati internazionali. Questi percorsi — spesso sviluppati insieme a ministeri, associazioni di categoria e istituti di credito — mirano a ridurre le asimmetrie informative e a diffondere competenze operative. In prospettiva, questo approccio può essere considerato una politica industriale applicata all’export, più che un insieme di strumenti tecnici.

I mercati strategici: tra consolidamento e nuove rotte

Il confronto al Summit ha messo in luce anche le direttrici geografiche della crescita italiana. L’Europa e il Nord America restano le aree più solide, ma le nuove opportunità emergono altrove.

Picchi ha citato tra i mercati prioritari gli Stati Uniti, la Germania, la Francia e la Svizzera, che continuano a rappresentare sbocchi cruciali per la manifattura italiana. Tuttavia, i margini più interessanti si trovano oggi nei Paesi emergenti, dove domanda e urbanizzazione crescono rapidamente.

L’America Latina è tra i casi più promettenti, anche in vista dell’accordo commerciale tra Mercosur e Unione Europea. Accanto a essa, il Sud-Est Asiatico — in particolare Singapore, Filippine e Indonesia — sta attirando attenzione per l’espansione industriale e per la crescente domanda di tecnologie.

Un passaggio significativo riguarda l’Africa, che secondo Picchi rappresenta «una sfida strategica» per l’Italia. Attualmente solo il 3,2% dell’export nazionale è destinato al continente africano, ma il Piano Mattei punta a rafforzare la presenza italiana attraverso partenariati nei settori infrastrutturali e produttivi. L’obiettivo non è solo esportare, ma favorire la nascita di una nuova imprenditoria locale integrata con le filiere italiane.

La gestione del rischio e il valore della fiducia

Dietro ogni politica di internazionalizzazione si cela il tema della gestione del rischio. Picchi ha descritto gli imprenditori italiani come «eroi capaci di affrontare ogni tipo di crisi», ma ha anche sottolineato l’importanza di fornire loro strumenti per rendere quel coraggio sostenibile.

Le garanzie pubbliche, in questo senso, rappresentano un ponte di fiducia tra imprese e sistema finanziario, soprattutto nei momenti di maggiore instabilità dei mercati.

Il presidente di SACE ha ricordato come la scala delle garanzie oggi in essere renda l’Italia un caso interessante anche nel confronto internazionale: «Siamo un Paese con un’economia dieci volte più piccola degli Stati Uniti, ma la nostra agenzia di export opera con un volume di attività sei volte superiore rispetto alla Exim Bank americana».

Più che un dato di primato, questa osservazione sottolinea il peso crescente che la finanza pubblica ha assunto nel sostenere la competitività industriale, un modello che altri Paesi europei guardano con attenzione.

Dal credito alla diplomazia economica

La visione proposta da Picchi si inserisce in un quadro più ampio, in cui la diplomazia economica diventa una componente strutturale della politica estera. Il coordinamento tra SACE, SIMEST, ICE e Ministero degli Esteri forma un sistema integrato che accompagna le imprese lungo tutto il ciclo dell’internazionalizzazione: dall’identificazione dei mercati all’assistenza finanziaria e alla promozione commerciale.

Questo approccio di filiera istituzionale consente di distribuire competenze e strumenti in modo più capillare, riducendo le distanze tra grandi gruppi e PMI. In prospettiva, il modello può essere interpretato come una forma di governance condivisa della competitività, in cui la crescita all’estero diventa il risultato di una collaborazione strutturata tra pubblico e privato.

Oltre il sostegno, una visione di sistema

Dall’intervento di Picchi emerge una linea di continuità che va oltre la singola azienda o l’agenzia pubblica. L’internazionalizzazione delle imprese italiane è oggi un processo collettivo, in cui si intrecciano tre fattori: la garanzia pubblica, la conoscenza dei mercati e la capacità delle imprese di innovare.

La vera sfida non è solo espandere la presenza all’estero, ma costruire un ecosistema di fiducia e competenze che renda questa presenza stabile e sostenibile.

In questo senso, la finanza per l’export non è un comparto tecnico, ma una politica industriale attiva, che utilizza il credito come strumento di crescita e la conoscenza come infrastruttura strategica. È da questa convergenza di finanza, politica e impresa che nasce il nuovo volto della competitività italiana sui mercati globali.

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