Le telecamere, il muro picconato per 30 minuti e la fuga su un’auto geolocalizzata: così è stata incastrata la banda del buco

Genova. Un colpo indubbiamente da professionisti, quello messo a segno il 6 novembre, anche grazie ad almeno un basista che sapeva che il locale adiacente alla gioielleria Mango era vuoto da tempo, che gli ha procurato un’auto e che probabilmente li ha aiutati a rivendere parte dei 200mila euro di preziosi rubati. Ma i tre ladri arrestati ieri dai carabinieri su ordinanza di custodia cautelare chiesta dalla pm Francesca Rombolà e firmata dalla gip Elisa Scorza, hanno commesso alcuni errori fatali che hanno consentito dagli investigatori di individuarli nel giro di pochi giorni.
Il primo errore dei ladri (sono Alexandru Cosmin Alpos, 37 anni, Lucian Talpos, 40 anni, Valer Mihai Vasilescu, 47 anni) è stato certamente quello di prendere un’auto in leasing, quindi dotata di un geolocalizzatore: una volta individuata la targa grazie alle telecamere di sorveglianza è stato possibile ricostruirne tutto il percorso, prima e dopo il colpo. E addirittura gli indirizzi dei rapinatori che sono stati perquisiti il 20 novembre.
Le telecamere di sorveglianza appunto sono state la chiave di volta delle indagini, sia quelle interne alla gioielleria, sia quelle sulle strade limitrofe che hanno consentito di scandire temporalmente ogni momento del furto, dal sopralluogo precedenze, al momento dell’azione fino alla fuga dalla scena del crimine. Il furto, come noto, era stato programmato nel momento della pausa pranzo della gioielleria tra le 12.15 e le 15, quando i titolari, come ogni giorno chiudevano la saracinesca e inserivano l’allarme. In base a quanto ricostruito dalle telecamere della via i ladri si sono introdotti nel locale adiacente alle 12.42 e solo alle 13.19 le telecamere della gioielleria ne riprendono due che spostano un armadio e si dirigono verso una vetrina di gioielli, l’unica sprovvista di fotocellula (in caso contrario sarebbe suonato l’allarme) e prelevato tutto quello che c’è dentro, poi si rispostano verso sinistra.
Il che significa che ci hanno messo oltre 30 minuti a fare il buco di circa un metro da cui sono entrati gattonando. Poi sono usciti dallo stesso buco, con un borsone pieno e sono tornati all’auto, una lancia Y in leasing appunto. Hanno girato per Genova fino a sera e poi sono ripartiti per Torino dove tutti e tre abitano.
Al momento delle perquisizioni sono stati trovati i vestiti indossati durante il colpo e soprattutto una piccola parte della refurtiva – sopratutto orologi e bracciali, che avevano deciso di non rivendere e tenere per sé.
I due che hanno risposto alle domande dei militari al momento della perquisizione hanno ammesso i fatti ma hanno raccontato che “il buco c’era già” e sarebbero passati dalla saracinesca principale che hanno solo dovuto alzare senza che fosse inserito alcun allarme. Ma le loro dichiarazioni sono state smentite dalle indagini dei carabinieri. Il tentativo probabilmente era quello di provare a far decadere l’aggravante del furto data dalla ‘violenza sulle cose’, ma la ricostruzione fornita non è apparsa credibile alla giudice, secondo la quale “le modalità del fatto, la preparazione che lo ha con ogni probabilità, preceduto, la trasferta dal Torinese sino a Genova, la tipologia ed il valore della merce sottratta, sono tutti fattori indicativi di una qualificata pericolosità sociale” e visti anche i precedenti dei tre l’unica misura che può prevenire la reiterazione del reato è secondo la gip proprio il carcere.
Uno di loro quando i carabinieri sono arrivati per perquisire la sua abitazione ha detto: “Ah, siete venuti per Genova? Potevate dirlo subito“.
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