L’errore di fondo nella riforma della giustizia, e la pretesa di avere processi impeccabili

Novembre 22, 2025 - 02:30
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L’errore di fondo nella riforma della giustizia, e la pretesa di avere processi impeccabili

«Non ho fiducia nella giustizia». Così Massimiliano Fachini, celebre imputato dell’interminabile processo per la strage alla Stazione di Bologna, imputato assolto anche per Piazza Fontana a Milano, detenuto per oltre dieci anni in misura cautelare, ovvero senza alcuna condanna a suo carico, si rivolse al Presidente di Corte d’Assise che nel 1993 a Bologna celebrava il secondo appello – il precedente appello che lo assolveva, ribaltando l’ergastolo inflittogli in primo grado, era stato parzialmente annullato dalla Suprema Corte di Cassazione. Dunque si era al quarto grado di giudizio, l’imputazione era strage, in gioco l’ergastolo o l’assoluzione.

Non aveva fiducia nella giustizia, il poveretto. Dieci anni di galera ingiusta e una persecuzione giudiziaria conclamata da un’unica condanna in primo grado e dall’univoca serie di assoluzioni passate in giudicato, possono fare questo effetto. Colpisce tuttavia una manifestazione così ostentata di sincerità da parte di una persona non responsabile degli infamanti reati attribuitigli da alcuni magistrati, nel momento in cui altri magistrati avrebbero dovuto decidere della sua sorte.

«Ho fiducia nella giustizia» è invece il mantra che ogni malcapitato finito nel mirino delle procure e delle corti di primo grado recita sempre in pubblico, quasi a esorcizzare l’inevitabilità dell’ingiustizia. I magistrati tuttavia sono persone che, pur indossando la toga, non sono immuni dalle miserie umane trasversali a generi e categorie. La giustizia degli uomini non è la Giustizia Divina. Non ci sarà mai una Giustizia Giusta mentre può esserci solo una giustizia meno ingiusta possibile.

Un innocente ha ragione di temere la giustizia molto più di un reo. Un innocente non è preparato a difendersi, non si è precostituito un alibi, non ha usato cautele nelle conversazioni telefoniche e nelle chat. È uno che se entra nella trama accusatoria in cui la più innocente delle battute viene travisata sotto una luce sinistra, ne rimane rimbambito, intrappolato, schiacciato come un moscerino.

In Italia i casi di innocenti rinviati a giudizio e spediti in galera preventiva sono un migliaio l’anno, ma la stima tiene conto solo delle richieste di risarcimento per ingiusta detenzione, dunque non comprende tutte le ingiuste detenzioni, tutte le ingiuste accuse, tutti gli ingiusti rinvii a giudizio.

Una persona innocente, cui un inquirente contesta fatti che ignora, ha ragione di interrogarsi sul grado di fiducia da accordare a quella persona, il magistrato inquirente, che in quello specifico momento riveste un potere così esorbitante nei propri confronti. Ha ragione di interrogarsi sulla fiducia da accordare a quell’altra persona, magistrato giudicante, che valuterà le richieste del collega dell’accusa.

I processi sono pubblici e l’archivio di Radio Radicale consente di seguire senza filtri né commenti quelli attuali nel loro svolgersi, così come i processi del passato, qui evocati in esordio. Un ascolto senza pregiudizi, esteso, puntuale, laico consente a tutti, compresi i meno esperti, di scoprire che in Italia bisogna aver fortuna con la giustizia, più che fiducia nella giustizia.

La riforma costituzionale che introduce la separazione della carriere dei magistrati tra requirenti e giudicanti si pone l’obiettivo di garantire la cosiddetta terzietà del giudice tra le parti, accusa e difesa. Di per sé quasi un’ovvietà.

I contrari alla riforma sostengono l’inessenzialità della nuova norma sulla base dei dati reali che mostrano un’altissima percentuale di sentenze contrarie alle richieste dell’accusa, spesso al secondo grado di giudizio, quindi solo dopo anni e tanti soldi spesi dall’imputato per difendersi da accuse ingiuste.

Si rifletta su questo argomento. Una percentuale elevatissima di rinvii a giudizio e detenzioni preventive viene giudicata sbagliata. Dunque possiamo stare tranquilli che, anche qualora venissimo indagati, detenuti e rinviati a giudizio da innocenti, prima o poi un giudice giusto ci assolverà. L’argomento, insomma, più che certificare la già attuale terzietà del giudice – evviva, evviva – sembra suggerire una propensione di buona parte dei magistrati inquirenti e di parte dei magistrati giudicanti a ritenere la vita, la reputazione, la libertà di una persona, elementi trascurabili rispetto al rischio che il sospettato abbia effettivamente fatto qualcosa di male.

Non si tratta di errori che, pur tragici per gli innocenti, possono sempre accadere, ma di dati sistemici portati a esempio degli stessi che si oppongono alla separazione delle carriere. Un processo stravolge la vita, porta sul lastrico chi non ha i mezzi economici esorbitanti per affrontarlo, talvolta compromette irrimediabilmente la reputazione. Nulla per un innocente tornerà più come prima. Un solo innocente accusato ingiustamente, processato ingiustamente, condannato ingiustamente e solo poi giustamente assolto, è un innocente ingiustamente colpevolizzato di troppo.

La giustizia degli uomini, per essere giusta, dovrebbe porsi questo solo obiettivo: ridurre al minimo il rischio che si incappi nell’orrore etico di infliggere una pena ingiusta a una persona, in nome del popolo italiano.

La riforma si pone un obiettivo, la giustizia giusta, che sa già di non poter conseguire per almeno due motivi. Perché la difesa non sarà mai pari con l’accusa a meno di poter disporre, oltre che di un giudice giusto che dipende dalla sorte, anche di mezzi economici e mediatici pari a quelli dei magistrati. E perché la cultura del “meglio un innocente dentro che un colpevole fuori” è debordante e trasversale – oggi non più di quanto lo fosse ieri e l’altro ieri della nostra storia repubblicana. D’altronde c’è una persona da sedici anni in galera per una condanna definitiva di omicidio mentre si riaprono le indagini su di un presunto innocente per lo stesso omicidio che a furor di spettatori si vorrebbe in galera pure lui.

In questo abisso della civiltà, la separazione delle carriere è inutile ai fini della “giustizia meno ingiusta possibile”, almeno quanto le sempre invocate risorse per la giustizia – che oltretutto non basteranno mai in un sistema moltiplicatore di azioni penali. La riforma non oppone alcun argine al rischio che un innocente venga ingiustamente colpevolizzato né garantisce una non puramente formale equità tra le parti – i soli obiettivi che una giustizia meno ingiusta possibile dovrebbe porsi ma che invece non si pone, purtroppo, né chi vuole la riforma né chi vi si oppone.

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