Sanità in crisi: il caso Emilia Romagna

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Anche la virtuosa Emilia Romagna vacilla alla prova dei conti: la crisi della sanità italiana colpisce anche una delle Regioni più efficienti, analizziamone nel dettaglio il caso.
Anche da una delle Regioni solitamente nota per la propria virtù, trapelano notizie che allarmano, mentre la politica locale, appena qualche mese fa, negava ogni criticità. Proprio all’inizio di settembre il direttore generale dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, Andrea Rossi, ha presentato ai direttori dei Dipartimenti e a tutti i primari un piano definito da più parti choccante. Stop a tutta l’attività chirurgica programmata dal 12 dicembre 2025 al 7 gennaio 2026.
Ridotta l’attività dell’Istituto Rizzoli
L’attività del Rizzoli, ritenuta tra le eccellenze Italiane, un vero e proprio fiore all’occhiello per efficienza e livello delle prestazioni, dovrebbe venire ridotta alla sola chirurgia di emergenza. Una risposta in termini di prestazioni che potrebbe soddisfare solo i soli traumi urgenti. Una criticità importante, tenuto conto del fatto che, allo stato attuale risultano in lista d’attesa per un intervento circa 27mila pazienti che arrivano da tutta Italia, oltre che da Paesi esteri. Già oggi i tempi di attesa sono mediamente di 18 mesi ed il plesso ospedaliero è ritenuto un’eccellenza riconosciuta a livello mondiale.
Tante le Regioni in difficoltà sul fronte sanitario
Il piano per far pronte alle criticità economiche della sanità in Regione Emilia Romagna, applicato all’Istituto ortopedico Rizzoli, ha scatenato moltissime polemiche a tutti i livelli e allertato le sigle sindacali. Un panorama sul quale già si era innalzata l’attenzione, visto che da viale Aldo Moro era già stato più volte denunciato come il finanziamento statale fosse al di sotto delle necessità il che, unito all’alto livello delle prestazioni offerte, dimostrava una difficile criticità nel far quadrare i conti.
Liste d’attesa che si dilatano
Secondo le dichiarazioni rese alla stampa dal professor Cesare Faldini, a capo del Dipartimento Patologie Complesse il rischio è di far pagare le ‘spese’ del disavanzo regionale ai pazienti, condannandoli a liste d’attesa già lunghe, ma che diverrebbero insostenibili. Sulla stessa linea la posizione del Dipartimento Patologie Specialistiche, sollevate a latere dell’incontro insieme a tutti i direttori delle Unità operative del Rizzoli. È sempre il prof. Faldini a far notare come “l’attività elettiva, al Rizzoli, fu sospesa solo in tre occasioni: durante le due Guerre Mondiali e nel periodo del Covid” e come la chiusura della programmazione dal 12 dicembre, e fino al 7 gennaio, graverebbe ulteriormente sui già 27.000 pazienti in lista d’attesa.
Ancora al palo l’azione sui medici di famiglia
La vicenda del Rizzoli è un problema Regionale che però ben rappresenta la situazione nazionale e le criticità, anche peggiori, che si stanno vivendo in molti territori, a corto di risorse. Sembra ancora non decollare, né funzionare, la tanto sbandierata azione da concertare con i medici di famiglia, che dovrebbe portare ad un progetto di aggregazioni funzionali territoriali e ad un cambio di prospettiva sul versante dell’appropriatezza della prescrizione’ da parte dei medici di medicina generale, vale a dire un minore ricorso alla medicina d’urgenza e una migliore programmazione degli interventi specialistici, con la crescita delle azioni di prevenzione. Su questo fronte manca in Emilia Romagna, come in altre Regioni, un accordo integrativo, una disputa aperta ormai da mesi che non vede una convergenza tra assessorato alla Salute e sindacati.
La riorganizzazione dei CAU
Altra criticità è rappresentata dalla azione, anche questa avviata su molte regioni, finalizzata alla riorganizzazione dei Cau, i Centri Assistenza e Urgenza, che in Emilia Romagna dovevano essere ridotti alle unità che registrano il numero più alto di accessi. Un panorama complesso e complicato, in questa Regione, da ticket non riscossi per oltre 50 milioni di euro che le Aziende Usl dell’Emilia Romagna cercano di incassare orma da mesi con poco successo. La carenza, comune a tantissimi distretti sanitari, di personale sanitario soprattutto infermieristico, che la sanità pubblica non riesce più ad attirare a causa degli stipendi bassi e delle aggressioni sul lavoro sempre più frequenti in tutto il Paese.
La politica locale minimizza
Solo qualche mese fa, in piena estate, l’assessore regionale alla Sanità aveva però negato l’emergenza, ed aveva parlato di bilanci “senza buchi” di situazioni solo ‘previsionali’ e di disavanzi non reali ma frutto di stime prudenziali e attente. Sempre l’Assessore in alcune dichiarazioni alla stampa aveva ribadito come i documenti pubblicati a metà luglio dalle Aziende Sanitarie dell’Emilia-Romagna non dovessero allarmare, rassicurando i cittadini e ribadendo come si tratterebbe solo di bilanci previsionali.
I sindacati FIALS denunciano le criticità
Proprio su queste dichiarazioni si erano, però, scatenati i sindacati, che avevano presentato i dati in possesso della FIALS raccontando un’altra verità che parlava di oltre 980 milioni di disavanzo strutturale, che avrebbero potuto mettere a rischio la tenuta del sistema sanitario regionale. Sul banco degli imputati secondo le sigle sindacali una serie di operazioni che hanno portato a tagli strutturali, aumento dei costi energetici e mancato adeguamento dei trasferimenti statali.
In crisi la ‘vocazione’ di medici e infermieri
Non allarmi infondati o di interpretazioni contabili dunque, ma di cifre reali certificate da atti e documenti aziendali. È dunque tutto da rivedere per un sistema, che da sud a nord dichiara crisi profonda, anche nelle stesse ‘vocazioni’ di medici e infermieri, grave un po’ ovunque la carenza di personale che porta spesso al blocco del turnover e al rischio burnout per medici e infermieri, un sistema secondo le sigle sindacali che rischia di collassare, con operatori allo stremo e prestazioni sempre meno numerose e di minore qualità per i cittadini.
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