Papa Leone XIV: “Nel momento del buio Dio non ci lascia soli”

“Condividere la consolazione di Dio con tanti fratelli e sorelle che vivono situazioni di debolezza, di tristezza, di dolore”. È l’invito con cui il Papa ha cominciato l’omelia della veglia del Giubileo della consolazione, presieduta nella basilica di San Pietro. “Nel momento del buio, anche contro ogni evidenza, Dio non ci lascia soli; anzi, proprio in questi frangenti siamo chiamati più che mai a sperare nella sua vicinanza di Salvatore che non abbandona mai”, ha assicurato Leone XIV: “Cerchiamo chi ci consoli e spesso non lo troviamo. Talvolta ci diventa persino insopportabile la voce di quanti, con sincerità, intendono partecipare al nostro dolore”.
Il linguaggio delle lacrime
“È vero, ci sono situazioni in cui le parole non servono e diventano quasi superflue”, ha ammesso il Papa: “In questi momenti rimangono, forse, solo le lacrime del pianto, se pure queste non si sono esaurite. Papa Francesco ricordava le lacrime di Maria Maddalena, disorientata e sola, presso il sepolcro vuoto di Gesù. Piange semplicemente – diceva –. Vedete, alle volte nella nostra vita gli occhiali per vedere Gesù sono le lacrime. C’è un momento nella nostra vita in cui solo le lacrime ci preparano a vedere Gesù. E quale è il messaggio di questa donna? ‘Ho visto il Signore’”. “Non bisogna vergognarsi di piangere; è un modo per esprimere la nostra tristezza e il bisogno di un mondo nuovo; è un linguaggio che parla della nostra umanità debole e messa alla prova, ma chiamata alla gioia”. Lo ha detto il Papa, nell’omelia della veglia del Giubileo della consolazione, presieduta nella basilica di San Pietro. “Le lacrime sono un linguaggio, che esprime sentimenti profondi del cuore ferito”, ha osservato Leone IV: “Le lacrime sono un grido muto che implora compassione e conforto. Ma prima ancora sono liberazione e purificazione degli occhi, del sentire, del pensare”.
Le domande
“Dove c’è il dolore sorge inevitabile l’interrogativo: perché tutto questo male? Da dove proviene? Perché è dovuto capitare proprio a me?”, ha affermato il Pontefice, citando Sant’Agostino, che nelle sue Confessioni scrive: “Se Dio che è buono ha creato buone tutte le cose, allora da dove ha origine il male? Tali erano i pensieri che io manipolavo nel mio misero cuore … Tuttavia, salda e stabile rimaneva nel mio cuore la fede nella Chiesa cattolica del suo Cristo, nostro Signore e Salvatore; fede che non intendevo abbandonare, benché su molti punti fosse vaga e fluttuante”. “Il passaggio dalle domande alla fede è quello a cui ci educa la Sacra Scrittura”, ha spiegato Leone: “Vi sono infatti domande che ci ripiegano su noi stessi e ci dividono interiormente e dalla realtà. Vi sono pensieri da cui non può nascere nulla. Se ci isolano e ci disperano, umiliano anche l’intelligenza. Meglio, come nei Salmi, che la domanda sia protesta, lamento, invocazione di quella giustizia e di quella pace che Dio ci ha promesso. Allora gettiamo un ponte verso il cielo, anche quando sembra muto”.
Mai da soli
“Mai da soli”. Perché “dove profondo è il dolore, ancora più forte dev’essere la speranza che nasce dalla comunione. E questa speranza non delude”. È l’invito del Papa, nell’omelia della veglia del Giubileo della consolazione, presieduta nella basilica di San Pietro. “Nella Chiesa cerchiamo il cielo aperto, che è Gesù, il ponte di Dio verso di noi”, ha detto Leone XIV, secondo il quale “esiste una consolazione che allora ci raggiunge, quando salda e stabile rimane quella fede che ci pare vaga e fluttuante come una barca nella tempesta”. “Dove c’è il male, là dobbiamo ricercare il conforto e la consolazione che lo vincono e non gli danno tregua”, la proposta del Papa: “Nella Chiesa significa: mai da soli. Poggiare il capo su una spalla che ti consola, che piange con te e ti dà forza, è una medicina di cui nessuno può privarsi perché è il segno dell’amore. Dove profondo è il dolore, ancora più forte dev’essere la speranza che nasce dalla comunione. E questa speranza non delude”.
La liberazione del perdono
“Il dolore non deve generare violenza; la violenza non è l’ultima parola, perché viene vinta dall’amore che sa perdonare”. Ad assicurarlo è stato il Papa, nell’omelia della veglia del Giubileo della consolazione, presieduta nella basilica di San Pietro. “Quale liberazione più grande possiamo sperare di raggiungere, se non quella che proviene dal perdono, che per grazia può aprire il cuore nonostante abbia subito ogni sorta di brutalità?”, si è chiesto Leone, che ha spiegato: “La violenza patita non può essere cancellata, ma il perdono concesso a quanti l’hanno generata è un’anticipazione sulla terra del Regno di Dio, è il frutto della sua azione che pone termine al male e stabilisce la giustizia. La redenzione è misericordia e può rendere migliore il nostro futuro, mentre ancora attendiamo il ritorno del Signore. Lui solo asciugherà ogni lacrima e aprirà il libro della storia consentendoci di leggere le pagine che oggi non possiamo giustificare né comprendere”.
Le vittime di abusi
Nell’omelia della veglia del Giubileo della consolazione, presieduta nella basilica di San Pietro, il Papa si è rivolto alle vittime di violenza e di abusi. “Anche a voi, fratelli e sorelle che avete subito l’ingiustizia e la violenza dell’abuso, Maria ripete oggi: ‘Io sono tua madre’”, le sue parole: “E il Signore, nel segreto del cuore, vi dice: ‘Tu sei mio figlio, tu sei mia figlia’. Nessuno può togliere questo dono personale offerto a ciascuno”. “E la Chiesa, di cui alcuni membri purtroppo vi hanno ferito, oggi si inginocchia insieme a voi davanti alla Madre”, il mea culpa di Leone XIV: “Che tutti possiamo imparare da lei a custodire i più piccoli e fragili con tenerezza! Che impariamo ad ascoltare le vostre ferite, a camminare insieme. Che possiamo ricevere da Maria Addolorata la forza di riconoscere che la vita non è definita solo dal male patito, ma dall’amore di Dio che mai ci abbandona e che guida tutta la Chiesa”.
Fonte Agensir
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