Pedaggi stradali, il governo non recepisce il principio «chi inquina paga» e l’Italia ora rischia una maxi-multa

«Chi inquina paga» è un principio semplice, di immediata comprensione, oltre che giusto quando applicato ai settori maggiormente responsabili dell’emissione di gas climalteranti, compreso quello dei trasporti. Ma il nostro governo fatica a recepirlo, in più di un senso. E per questo motivo ora pende sulla testa dell’Italia l’obbligo di pagare una multa salata.
La vicenda, in sintesi, è presto detta: siamo finiti davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea per la gestione dei pedaggi stradali. Una nota diramata da Bruxelles informa che la Commissione europea ha deciso di deferire il nostro Paese per il mancato recepimento della direttiva comunitaria 2022/362, che introduce nuove e più stringenti regole sulla tariffazione per l’uso delle infrastrutture stradali. Comunemente chiamata «Eurovignette» o «Eurobollo», la direttiva modifica precedenti norme e in particolare prevede il rafforzamento di due principi fondamentali: «chi usa paga» (gli utenti coprono i costi delle infrastrutture) e «chi inquina paga» (chi inquina copre i costi esterni quali CO₂, inquinamento atmosferico e acustico e congestione). L’obiettivo delle nuove norme è quello legare in modo più equo e trasparente i costi dei pedaggi autostradali non solo all’usura delle infrastrutture, ma anche ai costi esterni generati dai veicoli che le percorrono, come appunto le emissioni di gas climalteranti e inquinanti.
Si tratta di disposizioni che riguardano soprattutto i mezzi pesanti per il trasporto di merci e i furgoni, ma anche le automobili più inquinanti, i bus turistici e i piccoli autocarri, con deroghe che termineranno entro il 2027. La direttiva prevede anche l’eliminazione gradualmente delle tariffe basate sul tempo per i veicoli pesanti, introduce costi basati sulle emissioni di CO₂ e su altri agenti inquinanti a partire dal 2026. I camion a emissioni zero possono essere esentati o beneficiare di tariffe notevolmente ridotte. Una nuova tassa sulla congestione del traffico – spiegano sempre da Bruxelles – «segna un passo importante verso una tariffazione stradale più equa e più verde in tutta l’Ue».
Il termine per l’attuazione delle nuove norme era stato fissato dai vertici comunitari al 25 marzo 2024, ma al contrario di molti altri partner europei, l’Italia ha saltato la data limite. Non solo: due richiami erano già partiti all’indirizzo di Roma nei mesi scorsi, ma il governo li ha fatti cadere nel vuoto. Scrive la Commissione Ue motivando la decisione di portare il nostro Paese davanti alla Corte di giustizia europea: «Nonostante la lettera di costituzione in mora inviata dalla Commissione il 23 maggio 2024 e il parere motivato del 16 dicembre 2024, le autorità italiane non hanno notificato alla Commissione il recepimento completo della direttiva di modifica». Sebbene il governo abbia finora notificato due misure di recepimento relative ad alcuni punti della direttiva, aggiungono da Bruxelles, «la Commissione ritiene che gli sforzi compiuti finora dalle autorità italiane per adottare le misure necessarie siano insufficienti e deferisce pertanto l’Italia alla Corte di giustizia dell’Unione europea, chiedendo l’imposizione di sanzioni pecuniarie».
Fonti governative spiegano che un decreto di recepimento della direttiva comunitaria è pronto. Ma resta il fatto che non è stato discusso e tantomeno varato dal Consiglio dei ministri della scorsa settimana. Da qui la decisione di Bruxelles. E ora la parola sta alla Corte di giustizia Ue, che dovrà decidere l’ammontare della sanzione nei nostri confronti.
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