Perché dopo le elezioni regionali si parla di nuovo di legge elettorale

Novembre 26, 2025 - 03:00
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Perché dopo le elezioni regionali si parla di nuovo di legge elettorale

Quando lunedì sera ancora non era finito lo scrutinio delle elezioni regionali in Veneto, Campania e Puglia, già si parlava di legge elettorale nazionale. La evocava il centrodestra, con il capo organizzazione di FdI Giovanni Donzelli che diceva: "Noi riteniamo sia necessario garantire la stabilità che c'è oggi e che se si votasse oggi non sarebbe garantita". La sventolava come una prova di un tentato colpo di mano il centrosinistra, con Matteo Renzi: "Meloni proverà a cambiare legge elettorale perché con quella attuale non torna più a Palazzo Chigi" ed Elly Schlein che rincarava: "La destra ha paura di perdere". Con argomenti opposti, in ogni caso, l'argomento legge elettorale è tornato al centro del dibattito politico. Per la sinistra "perché Meloni ora ha paura di perdere", per il centrodestra "perché con l'attuale legge elettorale non si riesce a garantire governabilità e stabilità". Una governabilità che, dicono con una certa convinzione Meloni e soci, ha permesso all'Italia di abbassare drasticamente lo spread sui titoli di stato, ridurre quindi il costo del debito pubblico e migliorare il ranking emesso dalle principali agenzie di rating sul nostro paese e ad avere una maggiore credibilità all'interno dei consessi internazionali. Insomma, una stabilità che consente all'Italia di stare un po' più tranquilla. E non solo sui mercati finanziari.

 

Eppure, potrebbe obiettare qualcuno, la stabilità oggi è proprio garantita da quella legge elettorale che ora Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d'Italia vogliono cambiare e con la quale il centrodestra nel 2022 ha vinto le elezioni. Chi ha ragione dunque? Schlein e Renzi o Meloni e Donzelli? A ben vedere hanno ragione sia la maggioranza, sia l'opposizione. Oggi infatti con l'attuale legge elettorale il centrodestra potrebbe non vincere le elezioni (e dunque ha ragione la sinistra a dire che "Meloni ha paura di non vincere"), ma è anche vero quello che dicono a destra, ovvero che il Rosatellum, l'attuale legge elettorale, potrebbe non garantire la governabilità. La "non vittoria di Meloni" infatti non si tradurrebbe automaticamente nella vittoria del campo largo. E in questo rischio di stasi per la destra torna il solito incubo, evocato e subito in passato, quello dei "governi non eletti dal popolo".

 

Come mai dunque l'attuale legge elettorale, quel meccanismo che traduce in seggi i voti espressi dagli elettori, potrebbe comportare questo scenario politico di stallo alla messicana? C'entra un po' il suo funzionamento, un po' il cambio dell'alleanze politiche rispetto al 2022. L'attuale legge elettorale, il rosatellum, è un sistema misto. Significa che un po' meno dei due terzi dei parlamentari vengono eletti attraverso un sistema elettorale proporzionale (con una soglia di sbarramento al 3 per cento e del 10 per le coalizioni), mentre un po' più di un terzo viene eletto attraverso collegi uninominali, e dunque con un sistema maggioritario (anche se il voto è espresso su un'unica scheda). Per la parte proporzionale i partiti preparano dei listini bloccati con i candidati senatori e deputati per ogni circoscrizione elettorale (che sono 28 per Montecitorio, mentre per Palazzo Madama coincidono con le regioni come stabilito dalla costituzione). Proporzionalmente ogni partito elegge i suoi parlamentari. Per quella maggioritaria, invece, il territorio nazionale viene suddiviso in 147 collegi uninominali per la Camera e 74 per il Senato. In ciascun collegio la coalizione o il partito che esprime il candidato che prende più voti ottiene il seggio, creando così l'effetto maggioritario.

 

E qui entra in gioco quanto accaduto alle elezioni dell'autunno del 2022, quando la mancata alleanza del Pd sia con il M5s, sia con il Terzo polo di Renzi e Calenda ha fatto sì che in un numero elevatissimo di collegi uninominale vincesse il centrodestra (alla Camera ben 121 su 147) . Nei singoli collegi infatti i tre schieramenti del centrosinistra avevano ciascuno un proprio candidato, e questo ha concesso a FdI, Lega e Forza Italia - che presentavano invece insieme un unico candidato - di vincere quasi ovunque. Anche in gran parte del sud dove in realtà, invece, il centrosinistra sarebbe stato maggioritario. Le elezioni regionali in Puglia e Campania lunedì hanno mostrato plasticamente come l'unità del campo largo - dal M5s e Avs fino alla Casa riformista dei renziani - potrebbe portare invece il centrosinistra nel 2027 a vincere in molti collegi al sud, rendendo la vittoria del centrodestra molto più complicata. In uno scenario del genere non sarebbe improbabile ritrovarsi senza un vero vincitore: al nord e al centro nei collegi il centrodestra dovrebbe invece vincere più della sinistra, mentre sulla parte proporzionale le due coalizioni in questo momento hanno, secondo i sondaggi, numeri molto simili.

 

Dice Lorenzo Pregliasco di YouTrend: "Nel 2022 la frammentazione costò carissima al centrosinistra e rese possibile l'ampia vittoria elettorale del centrodestra guidato da Giorgia Meloni, che con il 43 per cento dei voti portò a casa l'82 per cento dei collegi. Ma queste regionali lo confermano: se il campo largo sarà unito, il centrodestra potrebbe fare fatica a riconfermarsi in un certo numero di uninominali, soprattutto al centro-sud e nelle isole dove il M5s è più radicato e porta quindi più valore aggiunto alla coalizione di centrosinistra". E l'effetto potrebbe essere decisivo soprattutto al Senato, dove ci sono meno parlamentari e meno collegi. E' di questo che da ieri parlano senza sosta leader dei partiti e addetti ai lavori. Dice ancora Pregliasco: "Le stime elaborate da Youtrend individuano ben otto collegi 'contendibili' al Senato solo tra Puglia e Campania, a cui se ne aggiungono circa altrettanti nel resto del Mezzogiorno: quanti bastano per fare la differenza tra una vittoria netta del centrodestra e una non-maggioranza a Palazzo Madama, con un concreto rischio di ingovernabilità". Le sue parole sono confermate anche da uno studio pubblicato dall'Istituto Cattaneo che ha calcolato quello che potrebbe essere l'esito nei collegi uninominali di Montecitorio, utilizzando i dati di tutte le ultime elezioni regionali (dal 2023 a oggi) e sommando i voti ottenuti dai candidati a presidente di regione in ciascuno dei collegi uninominali della Camera, ipotizzando che i futuri candidati comuni al Parlamento delle principali coalizioni possano contare sulla stessa base di consensi.  "Nel nord e nel centro, con l’eccezione dei grandi centri urbani - scrive l'istituto diretto dal professor Salvatore Vassallo - il vantaggio del centrodestra rimane solido, anche di fronte a un centrosinistra unito. Nell’ex zona rossa e al sud il centrosinistra  ha invece un notevole margine di recupero". I dati dello studio dicono che, se nel 2022 a Montecitorio il centrodestra conquistò 98 seggi in più degli avversari, con i numeri delle regionali più recenti questo scarto si ridurebbe a 34 (con 89 colleggi al centrodestra e 55 al campo largo). "La tendenza - conclude dunque l'Istituto - è abbastanza chiara. La dimostrata possibilità di far confluire i voti dei partiti del centrosinistra unito  su candidati comuni, soprattutto nel sud, riapre la competizione anche a livello nazionale".

 

 

È per questa ragione che la legge elettorale immaginata da FdI (e sostenuta per ora almeno anche da Forza Italia)  ha delle caratteristiche diverse. La base sarà una legge proporzionale pura con una soglia di sbarramento del 3 per cento. A questo si aggiungerebbe un premio di maggioranza che garantirebbe alla coalizione che riesce a raggiungere almeno il 40 per cento il 55 per cento dei seggi, che diventerebbe il 60, in caso del raggiungimento del 45 per cento dei voti espressi. La soglia è stata inserita per evitare che su una legge del genere possa calare la scure della Corte costituzionale che già in passato aveva bocciato il porcellum, la legge elettorale ideata dal leghista Roberto Calderoli con cui in Italia si è votato dal 2006 al 2013 (quindi alle elezioni politiche del 2006, del 2008 e del 2013), e che prevedeva un premio ma senza una soglia elettorale da raggiungere affinché il premio scattasse. A questo FdI vorrebbe aggiungere altre due cose: il ripristino delle preferenze, con l'eliminazione dei listini bloccati stilati dalle segreterie dei partiti e l'indicazione sulla scheda del candidato premier della coalizione. Su questi due punti però a oggi non c'è un accordo con i due alleati, Forza Italia e Lega.

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Redazione Redazione Eventi e News