Strage di Paderno Dugnano, le motivazioni della sentenza per il 17enne che sterminò la famiglia: “Era lucido e manipolatore”

Settembre 30, 2025 - 09:00
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Strage di Paderno Dugnano, le motivazioni della sentenza per il 17enne che sterminò la famiglia: “Era lucido e manipolatore”

Riccardo Chiaroni era lucido quando sterminò la usa famiglia nella villa di Paderno Dugnano nella notte tra il 31 agosto e il primo settembre del 2024. Un massacro con 108 coltellate inferte al padre, alla madre e a fratello minore di 12 anni.

Riccardo all’epoca aveva 17 anni, per questo fu giudicato dal Tribunale per i minori di Milano: il 27 giugno scorso è stato condannato a 20 anni di reclusione, il massimo previsto con rito abbreviato.

Nelle 51 pagine di motivazioni depositate dal Tribunale e firmate dalla giudice Paola Ghezzi viene circostanziata la distanza tra sentenza e perizia dello psichiatra Franco Martelli, che aveva accertato un vizio parziale di mente.

Quest’ultimo infatti in fase processuale aveva rilevato come Riccardo vivesse sospeso tra realtà e “fantasia”, con il desiderio di rifugiarsi in un mondo immaginario, cioè quello dell’”immortalità” e nella convinzione di doversi liberare di tutti gli affetti per raggiungerlo, evidenziano inoltre “aspetti personologici disfunzionali quali un elevato grado di alessitimia” e una “divisione psichica della personalità”.

Una conclusione respinta dalla giudice Ghezzi che, analizzando il comportamento tenuto da Riccardo Chiaroni prima, durante e dopo la strage familiare, non aveva invece riscontrato “alcuna evidenza di una condizione psichica di instabilità e di ingovernabilità”. Al contrario, il giovane oggi 19enne avrebbe “distinto la realtà dall’immaginazione” e soprattutto “lucidamente programmato, attuato, variato secondo il bisogno le proprie azioni”.

Un “manipolatore”, scrive il giudice, che ha progettato gli omicidi dei familiari “nei minimi dettagli”, tanto da “tendere la trappola per uccidere i genitori nella sua cameretta e non nella camera matrimoniale” dopo aver già colpito il fratellino. Una condotta che Riccardo Chiaroni ha tenuto anche dopo i delitti, orientata a “eludere le investigazioni per garantirsi l’impunità: dapprima il piano prevedeva di far ricadere la colpa sulla madre, poi sul padre ed infine su di sé, ma soltanto dopo aver avuto la certezza, attraverso il nonno, che gli investigatori non avessero creduto alla versione fornita in prima battuta ai soccorritori”.

Confermata, come era già emersa in fase di indagine, la “fascinazione” del ragazzo per l’universo nazi-fascista: Chiaroni possedeva una foto del “Mein Kampf”, architrave ideologica del nazismo pubblicata nel 1925 da Adolf Hitler, ma sono state accertate anche “esternazioni di pensiero comprovanti la sua inclinazione verso l’ideologia fascista”.

Contro la sentenza di primo grado è stato annunciato ricorso in Appello. Per l’avvocato difensore di Chiaroni, Amedeo Rizza, “il giudice non ha preso atto della concreta incidenza e del nesso di causalità che c’è tra la patologia di Riccardo e il reato commesso”.

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia