Su Rai3 e RaiPlay “Ricordami di te” per riflettere sull’Alzheimer

Un docufilm che racconta la relazione intima, dolce, dolorosa, a tratti anche ironica, tra Elena, malata di Alzheimer, e sua figlia Emanuela che disperatamente cerca di trattenere la madre prima che la “nebbia” della malattia la inghiotta per sempre. Una testimonianza d’amore inteso come cura dell’altro, quella “cura”, come cantava Franco Battiato, che resta forse l’unico vero antidoto per rallentare una malattia crudele che non lascia scampo. In anteprima su RaiPlay da sabato 20 settembre e su Rai 3 il 22 settembre Rai Documentari propone “Ricordami di te”, scritto e diretto da Emanuela Imparato e prodotto da Rosanna Sferrazza per KIPUKA.
Elena si ammala di Alzheimer e in poco tempo una fitta nebbia scende sul suo passato e sul suo presente. La figlia Emanuela, che ha avuto un rapporto appassionato ma anche conflittuale con Elena, tenta di rimanere in contatto con la madre, cercando di intercettare le sue emozioni finite chissà dove. E così si accendono bagliori, riemergono schegge di memoria, “frammenti” con i quali la figlia riesce a “puntellare” le rovine di quella “terra desolata” che è diventato il cervello di sua madre. Lo sforzo di Emanuela, e di questo film documentario, è proprio quello, di fronte all’impossibilità di stabilire una comunicazione cognitiva e verbale con il malato di Alzheimer, di riuscire a recuperare un canale emotivo.
La memoria perduta ha i colori vaghi e bruciati delle immagini in otto millimetri ritrovate in cantina e girate nell’età dell’oro della famiglia: il matrimonio con Francesco nella Chiesa di Assisi, le vacanze al mare in Calabria e sui prati del Trentino Alto Adige, le maschere di Carnevale realizzate da Elena per i suoi figli.
L’autrice attraverso questo lavoro poetico ma anche vero, calato nella difficile quotidianità di chi è costretto a convivere con l’Alzheimer, vuole lanciare un messaggio forte: la maggior parte dei malati vive isolata nelle proprie case assistita dai figli o da altre figure familiari quando sono presenti oppure da badanti e infermieri, quando le finanze familiari lo consentono. Gli strumenti sociali di sostegno sono frammentati, non coprono tutte le esigenze del malato e soprattutto non si attivano automaticamente dopo la diagnosi. Per combattere l’”epidemia silenziosa” dell’Alzheimer che solo nel nostro Paese conterà entro il 2050, oltre 2 milioni di casi (i numeri sono basati su studi di organizzazioni come l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Federazione Alzheimer Italia) è necessaria una responsabilità collettiva: la comunicazione, l’informazione, la cultura possono, anzi devono affiancare la medicina nel promuovere diagnosi precoci, perché ancora oggi la prevenzione rappresenta l’unica vera arma per contrastare e rallentare l’Alzheimer.
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