Udienza Generale, Papa Leone XIV: “La nostra speranza può gridare”

Nel corso dell’udienza generale, Papa Leone XIV ha offerto una riflessione intensa e toccante sulla morte in croce di Gesù, ponendo al centro il grido finale del Cristo. Il Santo Padre ha sottolineato come quel grido non sia segno di disperazione, ma di amore, fede e speranza estrema. Un invito a riscoprire il valore del dolore espresso con sincerità, come gesto spirituale e atto di fiducia. Parole profonde che interrogano la coscienza e indicano una via per affrontare il silenzio di Dio senza perdere la speranza.
Le parole del Santo Padre
È dedicata alla morte in croce di Gesù l’udienza generale di stamane, presieduta da Papa Leone XIV. “Sulla croce – ha osservato il Papa – Gesù non muore in silenzio. Non si spegne lentamente, come una luce che si consuma, ma lascia la vita con un grido. Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta. Non è solo la voce di un corpo che cede, ma il segno ultimo di una vita che si consegna”. Prima di gridare però Gesù si chiede “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. “Sulle labbra di Gesù assume un peso unico. Il Figlio, che ha sempre vissuto in intima comunione con il Padre, sperimenta ora il silenzio, l’assenza, l’abisso. Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace”.
Il volto di Dio
Il volto di Dio – ha aggiunto – “è ora pienamente visibile nel Crocifisso. È lì, in quell’uomo straziato, che si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore. Il centurione, un pagano, lo capisce. Non perché ha ascoltato un discorso, ma perché ha visto morire Gesù in quel modo”. “A volte – ha sottolineato il Santo Padre – ciò che non riusciamo a dire a parole lo esprimiamo con la voce. Quando il cuore è pieno, grida. E questo non è sempre un segno di debolezza, può essere un atto profondo di umanità. Noi siamo abituati a pensare al grido come a qualcosa di scomposto, da reprimere. Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna. Addirittura, può essere la forma estrema della preghiera, quando non ci restano più parole. In quel grido, Gesù ha messo tutto ciò che gli restava: tutto il suo amore, tutta la sua speranza”.
Un grido di speranza
Nel grido – ha detto ancora Papa Leone – “c’è una speranza che non si rassegna. Si grida quando si crede che qualcuno possa ancora ascoltare. Si grida non per disperazione, ma per desiderio. Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto”. “Gridare – ha concluso – diventa allora un gesto spirituale. Non è solo il primo atto della nostra nascita: è anche un modo per restare vivi. Si grida quando si soffre, ma pure quando si ama, si chiama, si invoca. Gridare è dire che ci siamo, che non vogliamo spegnerci nel silenzio, che abbiamo ancora qualcosa da offrire. Gesù ci insegna a non avere paura del grido, purché sia sincero, umile, orientato al Padre. Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio. È una via per non cedere al cinismo, per continuare a credere che un altro mondo è possibile”.
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