Addio a Blondie: il maestoso leone è stato ucciso dai bracconieri

Blondie, giovane leone, incantava turisti e studiosi nello Zimbabwe: simbolo di forza e bellezza, era seguito dall’Università di Oxford.
Aveva appena cinque anni, eppure era già diventato una leggenda. La sua criniera chiara lo rendeva inconfondibile, tanto che tutti lo chiamavano Blondie.
Viveva nei pressi del parco nazionale di Hwange, in Zimbabwe, dove incantava turisti da ogni parte del mondo e allo stesso tempo era parte di un importante studio dell’Università di Oxford, che lo seguiva passo dopo passo per capire meglio la vita dei leoni. A fine giugno, però, la sua vita è stata spezzata da un colpo di fucile: Blondie è stato ucciso durante una battuta di caccia ai trofei.
Addio Blondie: la sua vita presa da bracconieri senza cuore
Blondie non era un leone qualsiasi. Portava un collare GPS che permetteva ai ricercatori del Wildlife Conservation Research Unit di Oxford di studiarne i movimenti e il comportamento.
A lui era affidata la guida di un branco composto da tre femmine adulte e dieci cuccioli. Era un maschio riproduttivo nel pieno delle sue forze, un esemplare essenziale per l’equilibrio del gruppo e per la continuità della specie nella zona.
Nonostante il collare fosse ben visibile, questo non ha impedito che venisse offerto come preda a un cliente della caccia ai trofei. Da Africa Geographic è arrivato un commento duro: l’episodio è stato definito “profondamente non etico”, con l’accusa che Blondie sia stato attirato fuori dalla sua area protetta con delle esche.
Le autorità locali però difendono l’accaduto. Il portavoce dell’ente parchi dello Zimbabwe ha spiegato che i ranger erano presenti, i documenti erano in regola e che la caccia,per quanto crudele possa sembrare, è avvenuta in modo legale.
Gli organizzatori, la società Victoria Falls Safari Services, hanno ribadito lo stesso: permessi in ordine e procedura “etica”. Una versione che non convince associazioni e attivisti, che vedono nella morte di Blondie l’ennesima dimostrazione delle contraddizioni di questo sistema.
La notizia ha fatto rapidamente il giro del mondo, evocando un ricordo doloroso: quello di Cecil, il leone ucciso nel 2015 in circostanze simili, sempre nello stesso parco e sempre sotto monitoraggio dell’Università di Oxford. Allora l’indignazione fu tale da sollevare un dibattito globale sulla caccia ai trofei. Eppure, dieci anni dopo, poco sembra essere cambiato.
Associazioni come Born Free e World Animal Protection hanno espresso rabbia e amarezza. C’è chi propone soluzioni concrete, come una tassa per i turisti destinata alla protezione dei leoni, per dare un valore diverso a questi animali: quello della vita, non della morte.
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Con la morte di Blondie il suo branco non ha più una guida
La perdita di Blondie non è solo una tragedia. Il suo branco ora è esposto al rischio di scontri con maschi rivali, con la possibile uccisione dei cuccioli. Blondie era l’ultimo discendente del celebre Somadada pride, e con lui scompare un pezzo di storia naturale dello Zimbabwe.
Negli ultimi dieci anni, solo in quell’area, sono stati abbattuti ventiquattro leoni per la caccia ai trofei. Una cifra che lascia l’amaro in bocca e apre una domanda: quanto tempo resta prima che immagini come quella di Blondie diventino solo un ricordo nei libri di biologia?
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