Ambrosiani testimoni di speranza nell’Ucraina sotto le bombe

Ottobre 6, 2025 - 22:30
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Ambrosiani testimoni di speranza nell’Ucraina sotto le bombe
Dalla sala del Circolo Diplomatico di Kharkiv

«Se non ci fosse stato un attacco nessuno avrebbe saputo di questa missione». È quanto si sono detti, rientrando dall’Ucraina, i membri delle 35 associazioni che nei giorni scorsi hanno partecipato con il Mean (Movimento europeo di azione non violenta) alla decima missione di pace. Domenica mattina la delegazione, che viaggiava su un treno verso la Polonia per rientrare in Italia, ha vissuto momenti di paura quando a poca distanza l’esercito russo ha colpito la città di Leopoli. Lo stesso presidente del Mean, Angelo Moretti, ha commentato che l’attacco, pur nella sua drammaticità, è servito «non tanto per porre l’attenzione su quello che facciamo noi, ma sull’Ucraina, sui disagi e tutto ciò che gli abitanti stanno vivendo in questi ultimi anni».

Alla missione, in occasione del Giubileo della speranza, hanno partecipato 110 italiani in rappresentanza dell’Azione Cattolica, Acli, Agesci, Mo-Vi, Sale della terra… anche se per ciascuno la scelta è stata personale. A rappresentare l’Ac ambrosiana, quattro donne: Anna Rosa Moro (già presidente della Sezione giovani), Roberta Osculati (vicepresidente del Consiglio comunale di Milano), Daniela Osculati ed Elisa Mascellani.

«La missione è stata un’esperienza molto forte – commenta oggi Anna Rosa Moro -. Mi ha molto colpito il desiderio degli ucraini di vivere normalmente, nonostante la guerra». La comitiva si è sempre spostata utilizzando i mezzi pubblici e il primo impatto è stato proprio in metropolitana. «Quando siamo arrivati a Kyiv dovevamo raggiungere piazza Majdan, poi in cattedrale avremmo celebrato la messa con il Nunzio apostolico. Ma quello che mi ha colpito è che c’era tantissima gente in metropolitana, poi abbiamo capito che c’era un allarme in corso e che le metropolitane vengono utilizzate anche come rifugio».

I partecipanti alla missione a Kharkiv

Molte case e alberghi dispongono di rifugi antiaerei e ora tutti gli abitanti hanno un’applicazione sul cellulare, non solo per ricevere messaggi di allarme, ma anche per sapere dove si trova il rifugio più vicino. «Una maestra mi diceva che ogni tanto lo stacca perché dice che altrimenti non vive. Ormai gli ucraini si sono abituati agli allarmi e ci convivono, a volte non cercano neppure di rifugiarsi».

Dopo la Messa in Cattedrale con monsignor Visvaldas Kulbokas (ambasciatore della Santa Sede in Ucraina), sono seguiti diversi incontri e appuntamenti: «Ci ha colpito molto l’accoglienza che abbiamo avuto, erano molto contenti di parlarci della loro situazione, di come stanno affrontando tutte le difficoltà».

La sera stessa, la missione è ripartita alla volta di Kharkiv, al confine con la Russia, con un treno di linea. «Arrivati in città ci siamo divisi: c’è chi ha incontrato gli amministratori locali, chi società sportive, chi altre situazioni ancora, poi tutti insieme abbiamo conosciuto esperienze di giustizia riparativa, associazioni contro la corruzione».

Residui di una bomba

È una società civile molto viva e la gente è contenta di raccontare quello che fa, anche molti progetti di gemellaggio. Anna Rosa ha incontrato una maestra che le ha spiegato che i bambini di Kharkiv, ma forse è così in tutta l’Ucraina, vanno a scuola un’ora alla settimana in presenza, per il resto seguono le lezioni online da quattro anni. «Per questo ogni tanto organizzano iniziativa nel bunker per i bambini della primaria dove svolgono lavoretti con le maestre».

Altro incontro significativo è stato quello con una donna, Liliya (86 anni), che ha perso un figlio nel 2023 mentre da volontario aiutava delle famiglie a lasciare Kharkiv. Liliya è stata un’olimpionica, per questo ha organizzato una palestra di arrampicata per i bambini. Ambienti fatiscenti con vetri rotti, pannelli in legno alle finestre e segni dei bombardamenti alle pareti, «sembrava più un deposito che una palestra».

Al centro dell’edificio c’è un lungo e stretto corridoio dove i bambini stavano in fila. «Abbiamo capito che era il loro punto di rifugio perché era in corso un allarme – racconta Rosa -, poi dopo sono ritornati a fare le loro attività. Anche le stanze al secondo piano erano buie, ma erano tranquilli e tutti felici, volevano farsi fotografare mentre arrampicavano».

Ragazzi nella palestra

Una domenica mattina un missile è caduto nelle vicinanze e non ha fatto vittime perché la palestra era vuota. «Kharkiv non è una grande città, ma ci sono diversi quartieri e questo è uno dei più martoriati perché vicino al confine e qui sono arrivati i russi con i carri armati». Può capitare di vedere un palazzo in perfetto stato e a fianco un edificio raso al suolo.

È stato colpito anche l’ospedale, che adesso è chiuso, e la stessa palestra era stata distrutta, ma Liliya con tanta gente del quartiere è riuscita ha ripulirla e tornare a utilizzarla per i bambini. Un luogo di attività sportiva e di aggregazione cui tengono molto.

Un’esperienza toccante per Anna Rosa, che questa sera torna al lavoro – lavora come psichiatra all’ospedale di Treviglio -, ma ora vuole «comunicare quello che ho visto, forse portare altra gente, perché solo toccando con mano ci si rende conto di quello che avviene in Ucraina. C’è anche l’orgoglio di voler essere comunque una nazione autonoma, di portare avanti le loro idee in maniera pacifica». Quando parlano dei loro caduti in guerra non usano la parola «soldato», ma «difensore», anche al femminile, perché si stanno difendendo da attacchi esterni. «Per loro la guerra non è iniziata nel 2022, ma si è solo allargata, perché da anni la Russia cercava di prendersi spazi, territori, per cui i loro soldati sono morti per difendere l’Ucraina, non perché hanno attaccato».

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Redazione Eventi e News Redazione Eventi e News in Italia