Caritas Ambrosiana, la sinodalità indica la direzione


L’emozione inevitabile, la gratitudine per l’importante incarico ricevuto, ma anche un senso di «serenità perché non siamo soli, come abbiamo potuto constatare da tante parole di amicizia e stima che ci sono giunte e perché si cammina insieme con l’intera équipe di Caritas». A esprimere così i sentimenti di questi giorni è Erica Tossani, 44 anni, originaria di Bologna, direttrice di Caritas ambrosiana insieme a don Paolo Selmi, 59 anni, dal 1991 sacerdote ambrosiano, entrati ufficialmente in carica l’1 settembre.
Scegliere una donna – per la prima volta – laica e un sacerdote per guidare un ente così articolato e complesso va nel senso della sinodalità, come chiave interpretativa del cammino della nostra Chiesa, secondo quanto indica la Proposta pastorale per l’anno 2025-2026 dell’Arcivescovo: «Certamente – risponde Tossani -. L’intenzione è proprio quella di scommettere e di investire sulla possibilità di procedere insieme nella differenza e di ripensare anche il servizio dell’autorità in quest’ottica. La Chiesa universale ci sta chiedendo di imparare, passo dopo passo, a vivere tale atteggiamento e noi con gioia abbiamo accettato questo tentativo, convinti che le differenze di esperienze, di età, di stati di vita, di vocazione, possano veramente contribuire ad arricchire il cammino». «È uno “sguardo in avanti” – aggiunge Selmi – che, peraltro, recupera una storia antica, nel coinvolgimento che, nel Vangelo, Gesù offre alle donne e agli ultimi. Io vengo da un’esperienza di 32 anni vissuti in parrocchia, e devo dire che anche nelle realtà in cui ho svolto il mio ministero pastorale ho condiviso tanto. Vedo in questo nuovo incarico in Caritas, voluto dall’Arcivescovo, un segno che recupera comunque la buona notizia del Vangelo».
Oltre all’aver fatto il parroco in realtà di “confine”, come nel quartiere Barona e a Bruzzano, don Paolo è anche presidente della Fondazione Casa della Carità, uno dei luoghi “forti” nell’ambito caritativo nella nostra Diocesi. Tutto questo sviluppa sinergia? «Certamente. Casa della Carità, che ha uno sguardo specifico sulla grave emarginazione e sull’accoglienza degli ultimi degli ultimi, secondo la linea voluta da don Virginio Colmegna per 20 anni, ci permette di non distogliere mai lo sguardo a 360° – anche se in diverse realtà – sui bisogni più veri e complessivi».
Erica Tossani ha coordinato il settore giovani e volontariato di Caritas, ma soprattutto ha avuto ruoli importanti nel Sinodo della Chiesa universale e nelle Assemblee della Chiesa italiana. Anche questo può essere considerato un “valore aggiunto” per svolgere la condirezione di Caritas… «Sì, nella XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, sono stata facilitatrice, con la funzione, anzitutto, di far rispettare il metodo e i tempi di lavoro. Inoltre, il facilitatore è quella figura che cerca di creare, diciamo così, un clima tale per cui ognuno si senta libero di parlare e di esprimere la propria posizione, aiutando il gruppo a individuare quelle convergenze che rendono possibile immaginare passi condivisi, ma facendo emergere e dando un nome anche alle legittime differenze. È stata un’esperienza preziosa, che certamente porterò in Caritas, così come quella di far parte della Presidenza del Comitato dell’Assemblea sinodale italiana, in rappresentanza del mondo Caritas».
Recentemente l’Arcivescovo è tornato a sottolineare il ruolo educativo della Caritas, che deve aiutare i poveri nelle necessità immediate, ma anche a uscire dalla loro condizione per essere, a loro volta, capaci di dare aiuto ad altri. Riflette Tossani: «Questa tensione generativa, per cui l’intenzione è quella di far sì che l’altro cresca e noi diminuiamo, è fondamentale. In fondo, è il grande sogno, e per me non è utopia, ma una prospettiva a cui tendere: non quella che la povertà sparisca, ma che la comunità tutta sia “capace” di accorgersi, intervenire, accompagnare». «Mi piace descrivere quella che può sembrare un’utopia – fa eco don Selmi – con il termine che usa Luciano Manicardi della Comunità di Bose: la parola “eutopia”, che indica un orizzonte a cui continuamente tendere, un luogo bello, la possibilità di poter sempre cercare e trovare un luogo, qualcosa di buono. Mi pare che sia anche la prospettiva che papa Francesco fa emergere in Evangelii Gaudium: finché guardiamo l’altro solo come a un portatore di bisogni, non riusciamo a vedere in lui o in lei, un fratello o una sorella. Dobbiamo guardare l’altro in maniera diversa».
C’è qualcosa che, comunque, in questi 50 anni di vita fecondissima, andrebbe migliorato, pur nella fedeltà alla radice ispiratrice voluta da Paolo VI nell’istituire la Caritas? «Probabilmente ciò che ci chiedono questi tempi, questo mondo e il contesto anche diocesano, è di tornare a investire con forza sull’aspetto appunto pedagogico. Forse, le tante emergenze che continuano a susseguirsi, hanno un poco affievolito e tolto risorse alla riflessione sulla nostra missione principale», conclude Tossani. «La carità è come un profumo – ricorda infine don Paolo -. Ce lo insegna il Vangelo della donna che rompe il vaso di profumo sui piedi di Gesù. Questo profumo unisce, non puoi fermarlo, non puoi contenerlo. Come scriveva il cardinale Martini nella sua prima lettera pastorale, La dimensione contemplativa della vita, tutto deve portare alla carità».
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