Edith Cavell, l’infermiera eroina delle cartoline di Tito Corbella

Ottobre 11, 2025 - 07:30
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Edith Cavell, l’infermiera eroina delle cartoline di Tito Corbella

AGI - Il suo destino si era compiuto all’alba del 12 ottobre 1915 davanti ai fucili spianati del plotone d’esecuzione tedescoEdith Louise Cavell era un’infermiera, non una spia, e aveva seguito la voce della coscienza e non gli ordini dei tempi di guerra. Per lei non c’era stata pietà, nonostante gli appelli dei Paesi neutrali all’Impero tedesco affinché le fosse risparmiata la vita. Il giorno prima un tribunale militare del Kaiser l’aveva condannata alla pena capitale perché ritenuta colpevole di far parte di una rete che proteggeva e aiutava i soldati inglesi, francesi e belgi a riparare nei neutrali Paesi Bassi, sottraendoli alla cattura.

 

 

Una rete di assistenza di cui faceva parte anche una principessa

Cavell aveva 49 anni ed era tornata nel Belgio invaso dai tedeschi il 4 agosto 1914 violandone la neutralità, per convertire l’Istituto Berkendael di Bruxelles - dove come capo della farmacia aveva già messo in mostra le sue straordinarie qualità professionali e umane e una formidabile innovazione delle scienze infermieristiche - in un ospedale della Croce Rossa dove venivano curati i feriti di qualsiasi esercito in guerra. Con la conquista della capitale belga, il 20 agosto, gli occupanti requisirono la struttura per i loro soldati e rispedirono in patria le infermiere di nazionalità britannica, ma Cavell e la sua assistente capo decisero di rimanere. Il territorio del Belgio era stato raggiunto anche dagli inglesi del British Expeditionary Force, ma la rapida avanzata degli imperiali con la manovra a tenaglia prevista dal Piano Schlieffen per prendere la Francia alle spalle aveva lasciato molti militari dell’Intesa tagliati fuori dai reparti. I primi a raggiungere l’ospedale erano stati in autunno due soldati britannici che erano stati nascosti per qualche giorno e poi aiutati a raggiungere il territorio olandese. Ben presto prese corpo un’articolata rete di assistenza che si attivava per inglesi, francesi e belgi. Un’organizzazione spontanea e ben ramificata, di cui faceva parte anche la principessa Marie de Croÿ. I tedeschi, pur avendo confermato Cavell nel ruolo di responsabile, anche perché le cure prestate ai soldati erano di livello, la tenevano comunque sotto sorveglianza in quanto inglese. E quando iniziarono a giungere notizie dal controspionaggio che diversi militari ricoverati a Berkendael erano esfiltrati nei Paesi Bassi, ci misero poco a ricostruire i fatti e a smantellare quella rete di una trentina di persone.

L’arresto, la prigione e le risposte alle gravissime accuse

Il 15 agosto 1915 Edith Cavell veniva arrestata con l’accusa di aver aiutato a fuggire sbandati e prigionieri feriti, e incarcerata per otto settimane alle quali ne vennero aggiunte due in totale isolamento nella prigione di Saint-Gilles. Durante la detenzione sia le autorità britanniche sia quelle statunitensi e spagnole esercitarono pressioni sul governo tedesco per evitarle la corte marziale e la prevedibile condanna a morte, ma senza alcun successo. Nonostante quello che l’accusa sosterrà al processo per motivare la condanna, l’infermiera non aveva affatto confessato, ma aveva rivelato candidamente di aver ricevuto tramite la Croce Rossa Internazionale lettere di ringraziamento dall’Inghilterra. Il dibattimento fu quasi una formalità, la difesa non ebbe nessuna concreta possibilità di articolare una linea valida e probabilmente ci furono anche equivoci nella traduzione dal francese al tedesco e viceversa. Nella sua visione disincantata e utopistica della missione infermieristica, Cavell non si rese conto della gravità del reato di cui era accusata e neppure avrebbe potuto comprenderlo dalle carte processuali perché al suo difensore non venne fornito il capo d’imputazione scritto. Lei stessa, di fronte alla contestazione di aver dato asilo e aiuto ai soldati inglesi rimasti isolati dopo le battaglie di Mons e di Charleroi, aveva replicato con naturalezza che loro erano inglesi e anche lei lo era; e quando i giudici militari l’avevano imputata di averne aiutati venti lei aveva risposto che erano stati duecento, per poi produrre alcune lettere di ringraziamento. Un’onestà intellettuale che sconfinava nell’ingenuità, perché questo gesto aggravava la sua posizione e la rendeva senza via d’uscita: un conto era aiutare a raggiungere un Paese neutrale, dove il militare sarebbe stato internato, un conto a rientrare in madrepatria per riprendere le armi.

 

 

Il verdetto della Corte marziale e gli appelli alla clemenza caduti nel vuoto

La corte marziale emise sentenza di condanna a morte da effettuarsi tramite fucilazione per l’infermiera Cavell, l’architetto Philippe Baucq, la maestra Louise Thuliez, il farmacista Louis Severin, la contessa Jeanne de BellevilleDieci anni di lavori forzati furono comminati alla fiera principessa Marie de Croÿ, sia per la contiguità alla corte belga sia per un ramo familiare tedesco, deportata nella prigione di Siegburg da cui rifiutò di essere liberata dal Kaiser Guglielmo II su intercessione del re di Spagna Alfonso XIII e del nunzio apostolico Eugenio Pacelli, futuro papa Pio XII. Per risparmiare la pena capitale a Edith Cavell si erano mobilitati il console spagnolo e il primo segretario dell’Ambasciata statunitense Hugh S. Gibson, il quale non aveva mancato di evidenziare che l’uccisione dell’infermiera avrebbe grandemente nuociuto alla reputazione della Germania e dei suoi soldati che già venivano chiamati “Unni” per le violenze sui civili di cui si erano macchiati in Belgio. Ma la donna che ripeteva spesso la frase «non riesco a smettere quando ci sono vite da salvare» non poté essere salvata.

Lo sdegno nell’opinione pubblica mondiale

All’alba del 12 ottobre, nonostante l’imbarazzo dei soldati del plotone d’esecuzione nel dover sparare a una donna, per di più di quella levatura, Edith Cavell veniva giustiziata a Schaerbeek. Aveva ricevuto i conforti religiosi ed era serena, anche se poi si dirà persino che era svenuta prima della scarica mortale e che avevano dovuto ucciderla mentre lei era a terra priva di sensi. Aveva lasciato alcune lettere da consegnare alla madre e ai suoi cari, che le autorità tedesche trattennero per timore dei giudizi negativi che avrebbero suscitato nell’opinione pubblica nei confronti della Germania. Un’ondata di sdegno attraversò comunque la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, e poi l’Europa in guerra dove la sua figura divenne popolarissima, così come in Italia. Apparvero per mesi articoli, fotografie, disegni, commenti, cartoline, sulla barbarie nei confronti di una donna straordinaria, raffinata, colta e protagonista instancabile di una missione umanitaria portata avanti per quasi trenta anni.

Il ritorno in patria delle spoglie a cura del capitano Montgomery e gli onori a Westminster

Le opposte propagande ne strumentalizzarono la figura e l’immagine di Edith Cavell fu utilizzata pure su una locandina per reclutare soldati. Gli inglesi chiamarono un artista italiano assai noto, Tito Corbella, per realizzare una serie di sei cartoline illustrate sull’eroica morte dell’infermiera, il cui corpo era stato pietosamente sepolto vicino alla prigione di Saint-Gilles. Il 19 marzo 1919 i suoi resti furono esumati per essere riportati in Inghilterra dove, dopo una messa solenne nell’abbazia di Westminster alla presenza dei reali, il 15 maggio, furono inumati nella natia Norwich secondo i desideri della famiglia. In sua memoria è stata eretta una statua vicino a Trafalgar Square, a St. Martin’s Place. Della traslazione e degli onori militari fu incaricato il capitano Bernard Law Montgomery, che sarebbe diventato famosissimo nella seconda guerra mondiale e in seguito pure comandante in capo della Nato.

 

 

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Redazione Redazione Eventi e News