Femminicidio di Aurora Tila, le sue ultime parole prima di esser spinta dal balcone: “Ti amo, non puoi farmi questo”

Lei gli diceva “Ti amo, non puoi farmi questo”, mentre lui la spingeva già dal terrazzo del palazzo, provocando il suo decesso.
Questa le parole che Aurora Tila, la ragazzina di 13 anni morta dopo essere precipitata dal terrazzo del palazzo in cui abitava a Piacenza il 25 ottobre 2024, avrebbe pronunciato al 16enne in carcere e accusato dell’omicidio della sua “fidanzatina”.
A raccontarle nell’aula del Tribunale per i minorenni di Bologna, dove è in corso il processo nei confronti dell’imputato per la morte di Aurora, è stato un ex compagno di cella del giovane accusato di omicidio. “Il testimone ha detto esattamente che l’imputato gli ha confessato di aver buttato giù la ragazza dal balcone, mentre lei gli diceva ‘ti amo, non puoi farmi questo’”, ha spiegato all’uscita dal Tribunale l’avvocata Anna Ferraris, che insieme al collega Mario Caccuri assiste la madre di Aurora Tila, parlando con i cronisti.
Processo che si sta svolgendo con la formula del rito abbreviato condizionato all’ascolto di due consulenti medici della difesa, che sono stati sentiti la scorsa udienza, mentre oggi è stato sentito il consulente della Procura. “Il testimone ci ha detto che l’imputato gli ha rilasciato chiaramente una confessione piena, mentre erano in cella, all’arrivo in carcere, quando gli ha chiesto per quale motivo era finito dentro”, ha spiegato la madre di Aurora, Morena Corbellini, come riferisce l’Ansa.
“Anche oggi l’imputato era in aula, non ha detto una parola, ed era molto molto seccato durante il racconto del suo ex compagno di cella“, ha spiegato ancora l’avvocata Anna Ferraris. “Il testimone ha detto la verità in modo preciso e accurato, raccontando anche i particolari che gli sono stati riferiti – ha aggiunto Corbellini – L’imputato l’ho guardato in faccia, era molto nervoso, è andato via sbattendo contro qualcosa. Siamo molto fiduciosi ora, è la svolta che ci aspettavamo”.
Processo ormai ad un passo dalla conclusione. Nella prossima udienza, fissata per il 3 novembre prossimo, ci sarà la discussione e poi probabilmente la sentenza.
Secondo l’ipotesi accusatoria, il ragazzo avrebbe spinto la 13enne dal balcone del settimo piano del palazzo, colpendola poi alle mani per farla cadere dopo che si era aggrappata alla ringhiera. Ipotesi rafforzata dall’autopsia, che aveva escluso l’ipotesi del suicidio ritenendo le lesioni riscontrate sul corpo di Aurora incompatibili con un gesto volontario: la caduta all’indietro suggeriva infatti una spinta, più che un lancio deliberato.
Alle parole dell’ex compagno di cella si aggiungono le testimonianze di due persone, che hanno assistito seppur a distanza alla scena: una terza persona aveva invece udito le grida disperate di Aurora.
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