Giuseppe e quella «autostrada» verso il diaconato

Ottobre 4, 2025 - 09:00
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Giuseppe e quella «autostrada» verso il diaconato
Giuseppe Bianchi

Se, metaforicamente parlando, per tutti noi la vita è un grande cantiere, per Giuseppe Bianchi lo è stato per davvero, almeno per un certo periodo di tempo. Trentacinquenne, originario della Comunità pastorale Sant’Antonio Abate di Varese, è entrato in Seminario dopo essersi laureato in Ingegneria civile e aver lavorato. «La tesi magistrale l’ho svolta in Florida – racconta -, un’esperienza all’estero bellissima per me che amo viaggiare e non solo da turista».

Con la laurea in tasca, ha trovato il primo impiego in un grande cantiere infrastrutturale, venendo assunto come consulente di un’azienda che lavorava per la Società Autostrade. «Ho contribuito alla realizzazione dell’Autostrada A1 Variante di Valico, tra Bologna e Firenze», afferma con una certa fierezza, ed è proprio durante questa esperienza lavorativa che qualcosa turba i suoi pensieri e smuove il suo cuore.

Cresciuto in una famiglia praticante, che gli ha fatto compiere i primi passi in parrocchia e in oratorio, sin da bambino ha svolto con passione il servizio liturgico nella Basilica di Varese; poi, crescendo, si è inserito nel mondo Scout e di Comunione e liberazione, facendo parte di Gioventù studentesca. «Vivendo tante dimensioni educative, come capo Scout e come educatore in oratorio – spiega Giuseppe -, pian piano maturavo in me l’intuizione che spendermi per gli altri, in particolare per i ragazzi, poteva essere la mia vocazione».

Giuseppe Bianchi

Ma la scintilla si è innescata osservando, dalle vetrate del suo ufficio, il cantiere dell’autostrada in costruzione: «Me lo ricordo bene quel giorno – racconta l’ormai prossimo diacono -, quando mi sono chiesto che senso avesse costruire un’opera così importante per il Paese, per facilitare lo spostamento di persone, molte delle quali non sanno perché corrono avanti e indietro con le auto. Forse, mi sono chiesto, più che per costruire strade, è meglio impegnarsi per “costruire” le persone e far capire loro perché e per chi vale la pena vivere».

Questa riflessione e questo desiderio gli sono rimaste nell’animo per un po’. Nel frattempo Giuseppe ha cambiato lavoro, venendo assunto da un’azienda meccanotessile di Busto Arsizio. «Per quattro anni ho girato il mondo: Vietnam, Bangladesh, Malesia, Turchia, Messico, Egitto, Honduras. La mia vita sembrava andasse a gonfie vele, ero contento», dice.

Un giorno gli si presenta il suggerimento discreto di don Giovanni Buga, mancato un anno fa: perché non entri in Seminario? «A quella domanda ho risposto categoricamente no – ricorda Giuseppe -. Poi però sono successe cose che mi hanno convinto a prendere in considerazione questa ipotesi». Così, nel settembre 2020, Giuseppe è entrato in Seminario, «in pieno Covid – aggiunge-, con tutte le restrizioni del caso, che certo non facilitano l’inizio di una vita di comunità».

Oggi si avvicina all’ordinazione diaconale con un’attesa carica di trepidazione e di senso di inadeguatezza: «Mi rendo conto che qualcosa di più grande di me sta accadendo – conclude – e mi sento più spettatore che protagonista, perché, pur essendo ingegnere, questa volta non sono stato io a progettare e costruire, ma il Signore che, chiamandomi, mi ha fatto il dono della vocazione».

 

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