Il caso di Giusi Bartolozzi è la conferma che è in corso una guerra tra governo e Pm

Come prevedibile – e previsto – il Tribunale dei ministri ha iscritto Giusi Bartolozzi, capo di gabinetto del Ministero della Giustizia nel registro degli indagati con l’accusa di aver reso false informazioni al pubblico ministero (art. 371 bis c.p.) nel corso della sua testimonianza del 31 marzo scorso sulla vicenda Almasri. Già il fatto che la notizia è stata resa pubblica ora, nonostante l’iscrizione risalga, a quanto pare, già ad agosto, e quindi pochi giorni dopo il suo interrogatorio, lascia perplessi, tanto più se si consideri che proprio ieri pomeriggio la Giunta per le autorizzazioni della Camera ha iniziato l’esame della domanda di autorizzazione a procedere nei confronti dei ministri Nordio e Piantedosi e del sottosegretario Mantovano con la relazione generale del deputato Gianassi (Pd). Per inciso: per prassi il presidente della Giunta e il relatore sono dell’opposizione ai fini di un più efficace esercizio di tale attività di controllo.
Ma ciò che lascia maggiormente perplessi è l’evidente intento dell’autorità giudiziaria procedente di separare il più possibile la posizione processuale della Bartolozzi da quella degli altri membri del governo. Mentre, infatti, a questi ultimi sono stati contestati i reati di omissione di atti d’ufficio e di favoreggiamento, al capo dipartimento, come detto, è stato contestato il reato di false informazioni per aver negato, agendo d’iniziativa, di aver sottoposto al ministro il provvedimento di conferma dell’arresto di Almasri disposto dalla Corte penale internazionale. Un’autonoma ipotesi di reato, quindi, che, secondo la Procura, giustificherebbe il motivo per cui nei confronti della Bartolozzi non sia stata chiesta l’autorizzazione a procedere prevista dall’art. 96 Cost. con quella nei confronti del ministro Nordio.
Tale tentativo di separare la sorte della Bartolozzi dagli altri membri del governo indagati già si scontra sotto il profilo politico con la ribadita piena e incondizionata solidarietà espressa nei confronti del suo capo di gabinetto da parte del ministro della Giustizia che in più occasioni ha ribadito di assumersi l’intera responsabilità politica e giuridica della vicenda, smentendo qualsiasi ipotesi tesa ad accreditare un ruolo autonomo della Bartolozzi nella gestione della vicenda. Quel che però preme più evidenziare, anche per le conseguenze giuridiche che qui maggiormente interessano, è che il ruolo non marginale svolto dalla Bartolozzi nella gestione della vicenda Almasri è ammesso dalla stessa Procura nella richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dei tre membri del Governo, dove – tanto per dire – il suo nominativo ricorre ben sedici volte! Ruolo non marginale, del resto, implicitamente ammesso quando si sostiene che la Bartolozzi abbia in realtà spinto per il fermo di Almasri. Quindi, per la Procura, è come se il capo dipartimento fosse stato il vero perno centrale di tutta la vicenda però, di contro, si tiene distinta la sua posizione dagli altri ministri, indagandola solo per false informazioni. Tutto ciò all’evidente scopo di non dover chiedere anche nei suoi confronti l’autorizzazione a procedere, nel timore del (peraltro prevedibilissimo) suo rifiuto.
Peccato però che la decisione della Procura di non chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti della Bartolozzi si scontri frontalmente con quanto previsto dalla normativa vigente nei casi in cui soggetti terzi siano coinvolti nei reati che si ipotizza i ministri abbiano commesso nell’esercizio delle loro funzioni. In tali ipotesi di concorso di reato, infatti, il Tribunale dei ministri deve chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti di tutti i soggetti coinvolti, siano essi membri del governo oppure terzi (c.d. imputati laici). Sostenere, come ha fatto ieri il presidente della Giunta per le autorizzazioni Dori, che non occorra chiedere l’autorizzazione a procedere nei confronti della Bartolozzi perché il reato ipotizzato a suo carico è stato commesso in modo autonomo, per cui sarebbe solo “connesso”, anziché “in concorso” come richiede la legge, significa voler formalisticamente recidere ciò che nella realtà dei fatti fa parte di una complessa vicenda gestita in modo unitario. Sarà poi la Camera di competenza a decidere, tra tali soggetti, quelli per cui si potrà procedere penalmente e quelli per cui invece l’autorizzazione a procedere va negata (art. 4, comma 2, legge n. 219/1989) per aver “agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico” (art. 9.3 l. cost. 1/1989).
Tutto ciò presuppone però che la Camera sia messa in condizione di operare tale distinzione e quindi che la richiesta di autorizzazione a procedere formulata dal Tribunale dei ministri coinvolga tutti i soggetti coinvolti nella fattispecie penale ipotizzata. In tal senso ci sono numerosi precedenti (v. ad esempio la richiesta di autorizzazione a procedere formulata nei confronti dell’allora ministro delle Politiche agricole Alemanno nonché di Callisto Tanzi e Romano Bernardoni per l’ipotizzato reato di finanziamento illecito ai partiti). Nel nostro caso, per le ragioni sopra esposte, tutto lascia supporre che la Procura non chiederà l’autorizzazione a procedere nei confronti della Bartolozzi, così da poterla processare autonomamente e, magari, chiamando in quel processo a testimoniare i membri del Governo i quali, nonostante come detto il prevedibile rifiuto all’autorizzazione a procedere nei loro confronti, si troverebbero comunque coinvolti nella vicenda, con evidente clamorosa eco mediatica e possibili conseguenze politiche sull’intero governo.
Contro tale illegittimo stratagemma, la stessa Bartolozzi potrebbe reagire in sede processuale, eccependo la mancata autorizzazione a procedere nei suoi confronti. Ma a reagire potrebbe essere la stessa Camera dei deputati. Innanzi tutto, la Giunta per le autorizzazioni a procedere potrebbe chiedere al Tribunale dei ministri ragione della mancata richiesta di autorizzazione della Bartolozzi; anzi, riprendendo un precedente del settembre 2010 (caso Lunardi-Sepe), potrebbe rimandare indietro la richiesta di autorizzazione, senza nemmeno prenderla in considerazione, perché non comprendente anche la Bartolozzi. Al limite, come ipotizzato ieri in Giunta per le autorizzazioni dagli esponenti di Fratelli d’Italia, la Camera potrebbe sollevare conflitto di attribuzioni nei confronti del Tribunale dei ministri, per aver quest’ultimo, stralciando la posizione della Bartolozzi, impedito ad essa di poter esercitare le prerogative previste dalla Costituzione.
Non ci sono precedenti specifici sul punto ma già in occasioni simili, allorquando cioè la Procura della Repubblica ha agito nei confronti di ministri senza chiedere l’autorizzazione parlamentare, ritenendo che avessero compiuti reati a titolo personale e non nell’esercizio delle loro funzioni, la Corte costituzionale ha affermato che la Camera di competenza ha il diritto: sia di essere informata al fine di valutare la natura ministeriale o no del reato oggetto di indagine; sia, ove non condivida la conclusione negativa del Tribunale dei ministri, di sollevare contro i giudici conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale, per essere stata menomata, per effetto della decisione giudiziaria, del potere ad essa riconosciuto di valutare se il ministro e gli altri soggetti coinvolti hanno agito in nome di un superiore interesse pubblico (sentenze nn. 241/2009 caso Matteoli, 87/2012 caso Ruby-Berlusconi, 88/2012 caso Mastella). Insomma, dietro la decisione di iscrivere la Bartolozzi nel registro degli indagati non è difficile intravvedere la volontà di innescare un ennesimo conflitto, stavolta di tono costituzionale, tra magistratura e politica in vista, magari strumentalmente in vista del prossimo referendum sulla separazione delle carriere.
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