“Il cinema mi serve per raccontare eroi dimenticati e storie vere”

Angelina Jolie non è solo una delle attrici più affascinanti del cinema, ma anche una figura di grande sensibilità, in particolare quando si tratta di storie che meritano di essere raccontate. Oltre a interpretazioni in film come Changeling di Clint Eastwood o il recente Maria di Pablo Larraín, dove veste i panni di Maria Callas, si è affermata anche come regista e produttrice impegnata.
Il ruolo che l’ha consacrata a livello internazionale è stato quello in Ragazze interrotte (1999), che le è valso un Oscar come miglior attrice non protagonista. Ma fin dall’inizio della sua carriera, Jolie ha dimostrato di voler dare un senso più profondo al proprio percorso artistico e umano. Accanto ai successi commerciali – come Lara Croft, l’anticonvenzionale Maleficent o Eternals nel mondo Marvel – ha scelto ruoli più impegnati, come in Gia – Una donna oltre ogni limite o Il collezionista di ossa con Denzel Washington.
Angelina Jolie, la svolta alla regia
Negli anni ha deciso sempre più spesso di mettersi dietro la macchina da presa, per raccontare storie che le stanno davvero a cuore. Il suo cinema, infatti, è spesso attraversato da tematiche forti, legate all’attivismo, ai diritti umani e a emozioni autentiche.
Ha esordito alla regia nel 2011 con Nella terra del sangue e del miele, un film ambientato durante la guerra in Bosnia, che denuncia le violenze subite dalle donne in quel contesto. Due anni dopo ha diretto e prodotto Unbroken, basato sulla storia vera dell’olimpionico Louis “Louie” Zamperini, fatto prigioniero durante la Seconda guerra mondiale. Il film ha ricevuto tre nomination agli Oscar. “Volevo raccontare la storia di un uomo straordinario che rischiava di essere dimenticato”, ha spiegato.
Nel 2016 ha firmato Per primo hanno ucciso mio padre, distribuito da Netflix, incentrato sulla vita della scrittrice cambogiana Loung Ung durante il regime dei Khmer rossi. Più di recente, nel 2024, ha scritto, diretto e co-prodotto Senza Sangue, tratto dal romanzo di Alessandro Baricco, con Salma Hayek protagonista. “All’inizio non volevo accettare il ruolo, ma Angelina ha insistito molto, fino a convincermi che potevo farcela”, ha raccontato Hayek. Jolie commenta: “Quando credo in qualcosa, non mollo facilmente”.
I progetti a cui lavora riflettono il suo modo di essere: diretto, deciso, poco incline ai compromessi. “Non sono mai stata una persona superficiale, anche se per anni la gente ha giudicato solo il mio aspetto o dato più peso ai gossip sulla mia vita privata. Quello che conta per me sono i miei figli, quello che pensano loro, e l’autenticità. È su questo che baso ogni scelta, personale e professionale”.
È madre di sei figli: tre adottati e tre biologici, avuti con Pitt. “Ho sempre voluto una famiglia numerosa. I miei genitori divorziarono quando ero piccola, e ho cercato di proteggere i miei figli da quella stessa esperienza, finché ho potuto. Ma la mia priorità sono sempre stati loro: sono la mia vera famiglia”, ha detto.
Il 2025 è un altro anno ricco di progetti. Ha appena presentato al Toronto Film Festival il film Couture, diretto da Alice Winocour, con Louis Garrel e prodotto – tra gli altri – dalla maison Chanel.
Cosa rappresenta Couture per lei?
Prima di tutto è una storia di donne. Narra le vite di tre di loro, tra cui una modella che arriva dall’Africa per guadagnare denaro per supportare la sua famiglia e lavorare a Parigi, una make-up artist freelance e io, che interpreto una regista americana che, finalmente, sta per sfondare, ma scopre di avere il cancro al seno. Questo tema (abbassa gli occhi commossa, n.d.r.) mi riguarda personalmente, dato che mia madre è morta di cancro alle ovaie e al seno e ha passato lo stesso doloroso percorso. Nel film non si vede nulla ancora della sofferenza fisica del mio personaggio, che, molto presa dal lavoro e da un’incredibile opportunità, cerca di continuare per la sua strada, come se nulla fosse. Ma tutti, prima o poi, ci dobbiamo confrontare con le nostre fragilità.
Il film tocca questa tematica con una sensibilità incredibile…
Il mio personaggio ha atteso per tanto tempo di sfondare nel suo lavoro e di raggiungere una certa sicurezza economica. A casa, a Los Angeles, ha una figlia adolescente che aspetta che ritorni e che sta ancora crescendo e ha bisogno di lei. Ora si trova a Parigi, a essere protagonista della Fashion Week, ma, improvvisamente, scopre di essere malata. Tutto il suo mondo cade, ma, allo stesso tempo, si rende conto di quali siano i valori davvero importanti nell’esistenza. E, incontra un uomo. Non voglio svelare troppo, ma è davvero una storia stupenda, pur non cadendo nel melodramma.
È al suo primo film francese: come si è trovata?
L’ambiente era molto intimo e introspettivo, ho conosciuto una familiarità che non avevo provato sugli altri set, ma che mi è piaciuta. E, poi, anche la lingua era personale per me. Mia madre poi parlava francese (era franco-canadese, n.d.r.) e quindi mi sono immersa totalmente nel mio ruolo, come nella lingua che ora parlo bene.
Al Toronto Film Festival è una veterana, ha spesso presentato tanti nuovi film.
Mi piace qui, perché la gente ama veramente tanto i film. Il glamour non conta, sono le storie e i film e i documentari a essere le “star” di tutto. Toronto è anche una città davvero interessante, molto vibrante e accogliete, ci si sente facilmente a casa. È sempre attenta alle arti e alla cultura, vi si girano anche tantissimi film. Ho avuto solo buone e produttive esperienze qui e continuerò a tornarci. La consiglio vivamente a chi è in questo business.
Cosa le piace di fare la regista?
Amo fare la regista e stare dietro la telecamera. Credo mi piaccia avere il controllo di tutto…
Da dove viene il suo impegno nel sociale?
Il mio impegno per aiutare gli altri ha radici profonde. Sono sempre stata, fin da quando ero una ragazzina dark e ribelle, molto sensibile a tutto quello che accadeva intorno a me. Penso di avere preso questa forte empatia da mia madre, che era una persona davvero buona e generosa. In fondo, abbandonò una carriera da attrice per dedicarsi a crescere me e mio fratello. Quando girammo Lara Croft: Tomb Raider in Cambogia, vidi con i miei occhi le condizioni di miseria e povertà del Paese e avvertii la responsabilità di fare qualcosa. Così contattai l’Onu e l’Unhcr. Si resero subito conto che facevo sul serio e il mio impegno era concreto e motivato. Con loro visitai diversi campi profughi sparsi per tutto il mondo. Andai in missione in Sierra Leone e Tanzania, e mi recai in Pakistan, dove conobbi rifugiati afghani, Thailandia, Ecuador, Kenya, Sudan, Sri Lanka, Russia, Iraq, Siria, Turchia, ad Haiti. E, perfino quando lavoravo, mi interessavo alle persone intorno a me, come quando girammo Amore senza confini in Namibia e incontrai i rifugiati angolani. Da quando sono diventata mamma, ho avuto meno tempo di viaggiare tanto, ma il mio attivismo non si fermerà mai. E sto crescendo pure tutti i miei figli con lo stesso spirito.
Sta coinvolgendo i suoi figli nel mondo del cinema?
I miei figli adorano il cinema, ma paiono per ora essere più interessati a essere dietro le telecamere che di fronte. I miei figli Maddox e Pax hanno lavorato come assistenti registi e sono appassionati di fotografia. Vivienne ha co-prodotto lo show di Broadway The Outsider, a New York, ed ha fatto la sua prima esperienza comparendo con me in Maleficent. Shiloh ha doppiato un personaggio di Kung Fu Panda 3 e ama ballare. Ma non spingo i miei figli a seguire la mia carriera, voglio che scoprano da soli la loro strada.
L’articolo “Il cinema mi serve per raccontare eroi dimenticati e storie vere” è tratto da Forbes Italia.
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