Infezioni fungine invasive urge una messa a punto della risposta sanitaria


Un confronto tra clinici e pazienti, promosso da IHPB, su un’emergenza sanitaria in forte crescita: la diagnosi tardiva è una delle prime cause – C’è poi una scarsa attenzione clinica nell’ambito della medicina generale e negli ospedali – Le resistenze ne complicano la gestione – L’importanza di innalzare la cultura in materia dei medici e dell’impiego diffuso di strumenti diagnostici molecolari e rapidi, con una maggior integrazione tra ospedali e territorio dalla quale deriverebbero risultati anche in termini di sensibilizzazione e prevenzione.
Oggi, per regalare sei mesi di vita di sopravvivenza in più a un paziente oncologico si investono ingenti risorse, sia per i farmaci di ultima generazione, sia in termini di cure erogate dal personale medico sanitario.
Ma se, durante questa fase – quando il paziente è immunosopresso – sopraggiunge allo stesso un’infezione fungina, che per le condizioni cliniche del malato è dunque spesso fatale, tutto quell’investimento si riduce a zero, oltre ad aver altresì azzerato la speranza di vita in più promessa dalla terapia antitumorale.
È questo l’esempio con cui Matteo Bassetti, medico infettivologo e ricercatore, primario del reparto di malattie infettive all’ospedale San Martino di Genova, ha esordito durante la sua presentazione al dialogue meeting sul tema “Prevenzione e presa in carico delle infezioni fungine invasive”.
Organizzato dalla rivista di politica sanitaria Italian Health Policy Brief (IHPB), presso la biblioteca Giovanni Spadolini del Senato a Roma, è stata un’occasione di confronto e indirizzo clinico, politico e sociale nata da un percorso di analisi – promosso nei mesi scorsi sempre da IHPB – frutto delle riflessioni e del lavoro di uno scientific and advocacy network al quale hanno contribuito autorevoli esponenti della comunità medico-scientifica e rappresentanti delle associazioni di pazienti, con l’obiettivo di formulare raccomandazioni concrete per l’innalzamento della risposta sanitaria in questo ambito.
Le infezioni fungine invasive, infatti, stanno emergendo come una minaccia crescente per la salute pubblica, particolarmente in ambito ospedaliero.
“La candida è considerata ‘figlia di un Dio minore’, ma è la quarta causa di infezione”, ha proseguito l’infettivologo.
“I nostri ospedali, al momento, sono sotto attacco da parte, tra le altre, di Candida auris e Candida parapsilosis, che mostrano un’altissima resistenza agli antimicrobici, con percentuali di resistenza che vanno dal 60% fino al 90%”.
Per dare un’idea della dimensione del problema basti pensare che la candidiasi invasiva (IC) è una grave infezione sistemica da Candida che si manifesta a livello ematico o dei tessuti viscerali profondi, il cui tasso di mortalità, nonostante le opzioni terapeutiche ad oggi disponibili, è pari al 31,4% nella popolazione generale e al 49% negli adulti ricoverati in terapia intensiva (ICU) dopo un intervento chirurgico.
“Il problema è che i clinici non infettivologi non sono sensibili al problema”, sottolinea Bassetti, “specialmente in abito come la medicina interna e quella generale”,
“Pertanto, non sempre si usano i farmaci in modo appropriato e al meglio e ciò contribuisce alla resistenza delle infezioni fungine agli stessi”.
“Oggi però, rispetto a 30 anni fa quando esisteva un sol antifungino, abbiamo nuove armi, nuovi farmaci che devono essere impiegati con responsabilità”.
Negli ultimi 15 anni, quest’ambito sanitario non ha visto significativi progressi terapeutici, questo nonostante le molteplici esigenze sanitarie generate da queste patologie fungine invasive e l’emergere di resistenze che ne complicano ulteriormente la gestione abbiano assunto una dimensione molto preoccupante.
“La mortalità dovuta a queste infezioni può variare dal 43% fino al 78%, oltre che per la già citata scarsa consapevolezza da parte dei clinici, anche per la diagnosi tardiva, dovuta all’uso di metodiche superate o alla carenza di reagenti e tecnologie adeguate nei laboratori ospedalieri”, ha sottolineato il Prof. Paolo Antonio Grossi, ordinario di Malattie infettive all’Università dell’Insubria e Direttore clinico delle Malattie infettive e tropicali di Asst – Sette Laghi di Varese.
“Questo si traduce dunque in interventi tardivi, con aumento del rischio di mortalità: oltre alla Candida parapsilosis, diventata resistente ai farmaci, la istoplasmosi è un grave problema, essendo diventata endemica nel nord Italia”.
Che fare quindi?
“I laboratori di microbiologia dovrebbero rafforzare le proprie capacità diagnostiche, considerando che non tutti dispongono di un’esperienza micologica avanzata”.
“L’impiego di strumenti diagnostici molecolari e rapidi consentirebbe diagnosi tempestive anche in contesti meno specializzati, permettendo così di avviare precocemente i trattamenti e ridurre significativamente la mortalità”.
“Migliorare il percorso diagnostico ed offrire una maggiore integrazione tra ospedali e territorio sono altre vie da percorrere al più presto”.
Altro elemento alla base della spesso inadeguata risposta sanitaria è la scarsa attenzione clinica verso le infezioni fungine sia nella medicina generale che in ospedale: “…la principale problematica a livello italiano in tema di infezioni fungine invasive e antimicrobico-resistenza è la carenza di un’adeguata cultura tra i medici e di una sufficiente consapevolezza tra i cittadini – ha rilevato il Prof. Marco Falcone, Membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicale e Coordinatore del Comitato Tecnico Scientifico dell’Intergruppo parlamentare per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive e delle malattie tropicali.
“I farmaci antinfettivi – ha proseguito – sono spesso prescritti in maniera inappropriata, sia sul territorio che in ospedale; inoltre, tra gli stessi medici, troppo spesso manca la consapevolezza delle gravi conseguenze legate ad un loro utilizzo scorretto”.
Altro elemento carente nel contrasto delle infezioni fungine invasive è l’insufficiente integrazione tra ospedale e territorio che, se fosse più diffusa, potrebbe sia produrre importanti risultati anche in termini di prevenzione e sensibilizzazione (aspetti, questi ultimi, ancora inadeguati), sia rendere possibile una gestione più efficace dei percorsi diagnostico-terapeutici dei pazienti.
Prevenzione e sensibilizzazione sono strettamente interconnesse e dovrebbero trovare maggior attenzione anche nella formazione universitaria, ponendo al centro dell’attenzione la cultura dell’antimicrobico-resistenza.
Un ruolo chiave nel contrasto dell’antimicrobico-resistenza e in materia di prevenzione compete anche alle associazioni dei pazienti e alle organizzazioni civiche: “… il nostro impegno in questo campo viene da lontano – ha sottolineato la Dott.ssa Valeria Fava, Responsabile coordinamento politiche per la salute di Cittadinanzattiva – per innescare un cambiamento culturale è fondamentale che i cittadini/pazienti sviluppino un maggior senso di responsabilità, collaborando attivamente con le istituzioni il cui impegno sull’antimicrobico-resistenza si sta rafforzando. Il nostro più recente contributo è venuto dalla realizzazione del Manifesto dal titolo “Antimicrobico-resistenza: insieme ai pazienti per conoscerla e contrastarla”.
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