Intervista con Giulio Scarpati, protagonista del docufilm “Le stanze di Verdi”: “Giuseppe Verdi è un esempio importante per i giovani”

Ottobre 1, 2025 - 23:00
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Intervista con Giulio Scarpati, protagonista del docufilm “Le stanze di Verdi”: “Giuseppe Verdi è un esempio importante per i giovani”

“Nel docufilm sono spettatore e al contempo stimolatore di curiosità su Giuseppe Verdi del quale attraverso le biografie viene sempre restituita un’immagine un po’ chiusa, ma che in realtà ha tanti aspetti inediti e interessanti”. Grande attore della scena teatrale, televisiva e cinematografica, dotato di una rara sensibilità artistica e umana che gli permette di entrare nell’anima nei personaggi e arrivare al cuore della gente, Giulio Scarpati è il protagonista di “Le stanze di Verdi”, diretto da Riccardo Marchesini, a cura di Pupi Avati, al cinema dal 6 ottobre.

Il docufilm è stato realizzato con il sostegno della Regione Emilia-Romagna attraverso Emilia-Romagna Film Commission, da Giorgio Leopardi, sulla base di un soggetto e sceneggiatura di Tommaso Avati e Luca Pallanch, liberamente ispirata al libro “Verdi non è di Parma” (Persiani Editore) di Marco Corradi, che è anche co-protagonista.

Un noto attore, Giulio Scarpati, è a Piacenza per uno spettacolo teatrale e attratto da una gigantografia di Giuseppe Verdi su un palazzo adiacente al suo albergo, chiede informazioni al portiere, avendo letto sui giornali della casa del musicista in vendita. Il portiere lo mette in contatto con l’avvocato Marco Corradi, ex campione di rugby, che sa tutto della vicenda e della vita del Maestro. Inizia così un viaggio, a bordo di una Jaguar d’annata, alla ricerca di luoghi cari al musicista, tra Piacenza, Parma e Milano, alla scoperta di un Verdi inedito, non solo sommo compositore ma agronomo, filantropo, imprenditore agricolo, patriota e benefattore, con un percorso aperto, capace di seguire direzioni impreviste, di accogliere gli incontri e i racconti che via via si presentavano. Nel fare ritorno, Giulio si addormenta e i suoi sogni si intrecciano magicamente con la realtà.

Giulio, cosa l’ha convinta a prendere parte al docufilm “Le stanze di Verdi”?

“Sono entusiasta di aver preso parte a questo docufilm che è un’indagine su Giuseppe Verdi. Finora non mi era capitato di partecipare ad un progetto simile, in cui racconto me stesso, mentre sono a Piacenza per portare in scena Il Misantropo e, incuriosito da un’immagine di Verdi, chiedo se c’è qualcuno che possa farmi da Cicerone. Comincia così questo viaggio con l’avvocato Marco Corradi che mi accompagna nella prima parte della storia. Ne “Le stanze di Verdi” sono dunque spettatore e al contempo stimolatore di curiosità su questo grande personaggio del quale attraverso le biografie viene sempre restituita un’immagine un po’ chiusa, ma che in realtà comprende tanti aspetti inediti e interessanti”.

Quanto è importante raccontare figure come Verdi ai giovani?

“E’ importantissimo. Verdi non era stato ammesso al Conservatorio di Milano ma proprio grazie alle difficoltà che ha incontrato è riuscito a realizzare quello che desiderava, e penso sia un esempio prezioso per i giovani, che devono capire che per arrivare al successo, in qualsiasi campo, dalla musica alla recitazione, non è tutto semplice, ci sono dei sacrifici da fare, possono esserci delle delusioni, però se hai una passione devi andare avanti e provare a realizzare i tuoi sogni. Verdi nella sua vita personale ha dovuto affrontare momenti molto complessi, dalla morte dei due figli, alla prematura scomparsa della prima moglie Margherita Barezzi, allo stare sotto lo stesso tetto senza essere sposato con Giuseppina Strepponi che aveva dei figli da precedenti incontri e non era ben vista all’epoca. Queste vicende private sono poi diventate materia potente anche per le opere che lui ha scritto”.

Quali sono stati i momenti più emozionanti di questo viaggio?

“Ne La forza del destino, in chiusura del secondo atto, c’è un inno alla Vergine degli Angeli che è stato scritto da Verdi traendo ispirazione dalla pala di Francesco Scaramuzza, “La resurrezione di Maria”, in cui la Vergine è portata in cielo dagli angeli, conservata nella Basilica di Cortemaggiore (Pc). E’ stata una grande emozione quando ho assistito dal vivo all’esecuzione di quell’inno con un maestro, un organista, un coro e una soprano proprio all’interno di quella chiesa. Ho fatto una serie di incontri che mi hanno regalato molto a livello umano. Un altro momento che mi ha toccato è stato vedere Villa Verdi a Villanova sull’Arda (Pc) che purtroppo è completamente abbandonata, chiusa al pubblico. Mi è stato raccontato che Maria Callas, che è stata anche un’interprete verdiana, si era commossa quando si era recata in questa villa. E’ un peccato che il luogo in cui ha vissuto per tanto tempo un autore di fama mondiale non venga valorizzato e rispettato come si dovrebbe. Lo stesso discorso vale per l’Albergo San Marco a Piacenza, in cui Verdi si fermava per le soste e che è in uno stato di totale degrado. Speriamo che anche grazie al nostro documentario possa essere ridato il giusto valore a questi tesori in modo che tutti possano godere della loro bellezza”.

Nella foto Giulio Scarpati nella Biblioteca di Busseto

Verdi, tra l’altro, ha avvicinato la musica anche alla gente comune …

“Esattamente, si cantavano le arie per strada, era quella musica popolare che arrivava a tutti e Verdi, in quell’Italia appena unificata, è stato un mediatore culturale. Certe espressioni poi sono state mutuate anche dalle sue opere, da cui sono state tratte frasi che sono entrate nel linguaggio quotidiano”.

Quali aspetti di Verdi che ancora non conosceva ha avuto modo di scoprire?

“Ci sono sempre tante curiosità dietro l’abito di una persona, ho scoperto ad esempio che Verdi era un agronomo, un allevatore, aveva dei caseifici e portava il formaggio da lui prodotto nelle sue tournée in giro per il mondo. E poi ha fatto tanta beneficenza, contribuendo alla costruzione dell’ospedale per i contadini, un’eccellenza all’epoca, e della Casa per i musicisti, arredata come se fosse un teatro in modo che le persone si sentissero a casa. Interessante è anche la storia della famiglia di Verdi: i suoi genitori non erano musicisti, ma erano sicuramente acculturati e avevano una stazione di posta, dove i contadini che non sapevano leggere portavano gli scritti affinchè venissero letti e i cavalli venivano rifocillati nelle stalle prima di riprendere il viaggio, che è poi diventata anche osteria”.

Nella foto Giulio Scarpati nell’Azienda Agricola Ronchi di Fiorenzuola d’Arda (Pc) con il Dott. Piero Carolfi

Il docufilm è curato dal maestro Pupi Avati con cui ha avuto modo di lavorare ad esempio ne Il fulgore di Dony … 

“Ho lavorato sul set con il regista Riccardo Marchesini ma ovviamente il Maestro dava i suoi input relativamente alla storia e mi è parso che abbiamo colto proprio il gusto di Pupi Avati nell’andare a scoprire il quotidiano, nel raccontare i sentimenti ma anche i cambiamenti della società e del contesto in cui operava Verdi”.

Ne “Le stanze di Verdi” afferma che “stimare chiunque è stimare nessuno”, quanto è concorde?

“Totalmente. Oggi si fanno tanti complimenti alle persone ma è un modo per accattivarsele, non sono sinceri fino in fondo. Se tu stimi tutti è come se non stimassi nessuno. E’ una frase tratta da “Il misantropo”, che sceglie di non volere avere rapporti con la mondanità perchè è intrisa di ipocrisia. Nella commedia di Molière c’è un momento in cui il protagonista stronca un nobile che a tutti i costi vuole fargli sentire una poesia e una volta ascoltata gli dice brutalmente che fa schifo. Da quel momento, avendo ricevuto quella critica, il nobile inizia a odiarlo e a non considerare più il misantropo una persona straordinaria. Questo accade perchè è un mondo molto ipocrita in cui le persone dicono quello che l’altro è felice di sentirsi dire. Quando mi è stato proposto di interpretare me stesso nel docufilm ho pensato che Il Misantropo fosse perfetto come spettacolo da mettere in scena sia perché Verdi aveva la fama di essere orso sia perchè il protagonista di quell’opera odia non tutta l’umanità ma quella falsa che popolava le corti del tempo”.

Nella foto Giulio Scarpati al Teatro GiocoVita di Piacenza

L’ipocrisia è un tema sempre attuale nella società, dove oggi si cerca di ottenere più like o più attenzione esaltando ad esempio sui social un personaggio piuttosto che un altro …

“E’ un aspetto proprio di facciata e di apparenza. Io ho delle persone fidate e meravigliose che si occupano dei social con la mia autorizzazione, ma non vado di certo a mettere online il mio privato, preferisco tenere per me certe cose che ho vissuto, certe esperienze, e magari le trasmetterò attraverso il mio mestiere. La vita va vissuta in tutta la sua essenza”.

In quali progetti sarà prossimamente impegnato?

“Quest’estate ho preso parte a vari festival in giro per l’Italia con lo spettacolo “Qualcosa di nuovo nel sole – Pascoli si racconta” che porterò in scena il 7 novembre al Teatro dei Differenti a Barga (Lu), città in cui Pascoli cui ha vissuto negli ultimi anni. La drammaturgia è stata firmata da Giuseppe Grattacaso, che è un amico oltre che poeta ed ex presidente del Teatro Manzoni di Pistoia. Pascoli è un autore molto innovativo, pieno di curiosità. In questo monologo, attraverso un escamotage, io parlo con il suo cane negli ultimi momenti di vita e faccio una sorta di bilancio. Ci sono poi in programma un altro progetto per il teatro e un film di cui non posso ancora parlare”.

La vedremo anche su Rai 1 nella terza stagione della serie “Cuori” …

“Interpreto Gregorio Fois, un sensitivo che ha la capacità di capire le persone, di intuire i malesseri, di vedere in anticipo quello che accadrà, e questo fa sì che a volte dica delle cose anche in maniera brusca. Il mio personaggio finisce in ospedale dove viene curato ma è un paziente poco paziente, indisciplinato. Sul set, scherzando, quando non giravamo facevo come Gregorio, guardavo negli occhi la troupe e i colleghi e loro fuggivano perchè temevano di sentire quello che avrei potuto dire (ride). Insomma mi sono molto divertito a fare un ruolo diverso dal solito. Sul set mi sono trovato bene con i due protagonisti, Pilar Fogliati e Matteo Martari, e sono felice di aver ritrovato alla regia Riccardo Donna con cui avevo lavorato in Un Medico in famiglia”.

di Francesca Monti

credit foto ufficio stampa

Si ringrazia Mauro Caldera

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