Kering pronta al cambio della guardia con de Meo. Il cda al voto per il nuovo CEO

Settembre 10, 2025 - 12:30
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Kering pronta al cambio della guardia con de Meo. Il cda al voto per il nuovo CEO
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“Non spetta all’azienda adattarsi alla famiglia che la controlla, spetta alla famiglia adattarsi alle esigenze dell’azienda. È il momento giusto per Kering di avere un nuovo CEO, di avere una nuova prospettiva, una nuova visione”. A parlare è François-Henri Pinault, patron del colosso numero due del lusso mondiale, che ha raccontato a Wwd quale sfida rappresenti l’imminente cambio della guardia – con la nomina di Luca de Meo nel ruolo di nuovo CEO – e riflettuto su eventi ed evoluzioni che hanno costellato i suoi vent’anni al timone del gruppo.

Quella di oggi è una data chiave per il giro di poltrone che vedrà Pinault, nell’ambito di una struttura di governance rinnovata, mantenere solo il ruolo di presidente del cda, lasciando quello di amministratore delegato a un manager, de Meo, che con il lusso in senso stretto fino a qualche mese fa aveva poco a che fare. Il nuovo assetto riceverà la delibera definitiva proprio oggi, 9 settembre, con la convocazione del board di Kering per l’assemblea generale che vedrà approvata anche la remunerazione corrispondente al nuovo ménage (e che prevedrebbe per il nuovo arrivato un bonus d’ingaggio di 20 milioni di euro, che si sommano a uno stipendio annuale complessivo di quasi 9 milioni). Il voto non dovrebbe sorprendere, considerato che la famiglia Pinault, attraverso la sua holding Artémis, possiede il 42,3% del capitale di Kering e il 59,3% dei diritti di voto. Il mandato decorrerà poi operativamente a partire da lunedì 15 settembre.

Un punto di svolta ampiamente dibattuto negli ultimi mesi da investitori e addetti ai lavori, per via dell’alterità un manager che è un vero e proprio outsider del lusso: de Meo è infatti a tutti gli effetti un veterano dell’universo automotive, con una carriera iniziata in Renault nel 1992, a cui era poi tornato nel 2020 dopo essere passato per Toyota Europe, Fiat e Volkswagen. Proprio in Renault il suo ruolo ha coinciso con l’era della ristrutturazione, significando riduzione dei costi e riorganizzazione strategica. Un ruolo chiave, dunque, che gli è evidentemente valso l’ingresso dalla porta principale nel dorato comparto luxury, il quale non si è lasciato spaventare dalla sua estraneità al settore. Quella stessa estraneità rappresenta proprio il nodo nevralgico della sua nomina: è il segno che serve ormai una visione non condizionata da consolidati vizi di forma? E, ancora, incarna una tendenza, quella di guardare fuori anziché dentro i confini del settore per risolverne la crisi o rappresenta invece un unicum legato alla necessità di risanamento dei conti?

Nell’analizzare la portata della novità, che fa riflettere sull’intera questione successioni e ricambi generazionali nel lusso, è bene fare un passo indietro e mettere sotto la lente d’ingrandimento la situazione dei colossi francesi del lusso, alle prese con le vicende delle proprie famiglie fondatrici. A mettere in luce il fil rouge che lega Hermès, Lvmh e la stessa Kering è Bernstein, nel report ‘Global Luxury Goods: A Review of Controlling Shareholders’. Tutti e tre i colossi sono caratterizzati da un assetto di controllo familiare molto forte, ma è il gruppo di Pinault (rimasto ora solo presidente della società) a mostrare più evidenti segni di cedimento. Kering ha infatti visto lievitare il proprio debito netto – passato da circa 3,5 miliardi di euro nel 2022 a oltre 6 miliardi nel 2023 – in seguito a investimenti immobiliari, fusioni e acquisizioni (questi ultimi invece arrivati a 10,5 miliardi nel 2024, dai 2,8 nel 2019), proprio mentre le sue performance finanziarie attraversano una fase calante. A fare da zavorra c’è Gucci, che rappresenterà una delle sfide più ambiziose del ‘mandato de Meo’.

Hermès al momento continua a navigare in acque tranquille dal punto di vista dei risultati economici, mentre il tema cruciale è stato piuttosto quello di mettere al sicuro la società. La famiglia fondatrice di Hermès è riuscita a blindare il proprio controllo sul gruppo dopo il tentativo, sventato, di acquisizione da parte di Lvmh avvenuto nel 2010, ricorda il report, attraverso la creazione della holding H51, che oggi detiene la maggioranza dei diritti di voto. Inoltre, la holding gode di un diritto di prelazione sull’acquisto di un’ulteriore quota del 12,3% detenuta da altri membri della famiglia, il che elimina di fatto la possibilità di ulteriori tentativi di acquisizione ostile.

Lvmh, intanto, è alle prese con la preparazione del passaggio generazionale, con i cinque figli del patron Bernard Arnault già impegnati con incarichi di primo piano; su tutti, Antoine Arnault, CEO di Berluti oltre che presidente di Loro Piana e head of communication, image and environment di Lvmh, e la secondogenita, Delphine Arnault, a capo di Christian Dior Couture. Ma il patriarca per il momento non ci pensa nemmeno a mollare la presa, tanto che ha fatto in modo di spostare da 75 a 80 anni il limite di età per ricoprire la carica di CEO del gruppo. È verosimile pronosticare, ad ogni modo, che quando sarà il momento di fare un passo indietro, sarà di tipo familiare la successione che avverrà, a dimostrazione che questo tipo di governance non è di certo al tramonto”.

La stessa famiglia Pinault – ha spiegato a Pambianco Magazine Mario Ortelli, managing partner di Ortelli&Co – ha chiamato un CEO esterno esperto di turnaround per supportarli in un momento complesso per il gruppo, ma in futuro non si esclude che un membro della famiglia torni alla guida operativa”. Proprio perché, aggiunge, “i grandi brand europei del lusso, con pochissime eccezioni come ad esempio Burberry, sono controllati da famiglie che hanno una visione a lungo termine e gestiscono direttamente il business”. E riguardo all’estraneità di de Meo non solo alla famiglia ma al settore del lusso tout court, Ortelli aggiunge che quest’ultimo “negli anni si è espanso e sta fronteggiando sempre nuove complessità, ed è dunque molto probabile che i brand ricerchino competenze e professionalità anche in settori adiacenti come automotive, fmcg (beni di largo consumo, ndr) e technology, i quali vantano eccellenze in come gestire aspetti industriali, di marketing e tecnologici, sempre più rilevanti per le aziende del lusso”.

Anche Luca Solca, global luxury goods analyst per Bernstein, riconosce che “Kering con de Meo sembra avere fatto una scelta di campo coraggiosa, cercando il migliore talento anche al di fuori del settore. Tenere la famiglia al vertice dell’azienda non è necessariamente una garanzia di successo: abbiamo esempi di un tipo e dell’altro: dipende dalle circostanze e dalle persone coinvolte”. Aggiungendo anche, però, che la sua alterità di settore non è poi così disruptive: “Non si tratta certo del primo ad arrivare da un’altra industria, si pensi a Belloni, Beccari o ancora prima a Polet”. Una scelta non inedita, dunque, ma ad ogni modo deviante rispetto al tracciato più convenzionale e quindi potenzialmente sorprendente nei risultati.

 

L’approfondimento completo sul tema della successione nelle maison del lusso, con un focus sulla ‘familiarità’ di quelle italiane, è all’interno dell’ultimo numero di Pambianco Magazine

 

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Redazione Redazione Eventi e News