Meloni al Quirinale, dall’elezione all’acclamazione diretta

Luca Bizzarri, che di mestiere fa il comico, lo ha detto con una battuta: «Tenuto conto del fatto che, prima o poi, questa destra dovrà e potrà (è la democrazia) esprimere un Presidente della Repubblica, secondo me dovremmo sperare tutti, anche il Quirinale, che sia Meloni. Non so se avete presente gli altri». La battuta è divertente e paradossale, ma esprime una convinzione piuttosto diffusa. Il problema sono quelli che lo dicono seriamente, e mica in un tweet, ma in lunghe, dotte e articolate analisi, sui giornali e in tv. Alla fin fine, siamo sempre dalle parti del buon vecchio «lui sarebbe tanto bravo, è solo che si circonda delle persone sbagliate», tratto tipico del dibattito pubblico nella disgraziata stagione della Seconda Repubblica e della personalizzazione della politica, che infatti va a ripescare il suo materiale tra i peggiori tic del nostro periodo più buio, quando al potere c’era un altro che era bravissimo e non sbagliava mai; al massimo, di nuovo, si circondava delle persone sbagliate. Ragion per cui vale sempre la pena di ripetere la regola aurea: un leader che si circonda delle persone sbagliate è il leader sbagliato.
Tanto più se parliamo di un ruolo fondamentale e di garanzia come quello del presidente della Repubblica. Del resto, in un sistema politico praticamente immobile da almeno trent’anni, in cui stiamo ancora discutendo della riforma del «premierato» (avanzata già nella bicamerale del 1997), per non parlare del ponte di Messina (di cui si discute dai tempi di Cavour), cosa rimane di più importante del potere di nominare, promuovere, piazzare o allontanare persone adeguate ai propri incarichi? In altre parole, è proprio perché abbiamo presente «gli altri» che dovremmo pensarci dieci volte prima di invocare Meloni al Quirinale. Del resto, il corposo antipasto che ci ha offerto già da Palazzo Chigi dà un’idea piuttosto precisa di quello che ci aspetta. E ancor di più i metodi con cui, non da ora, tenta di spianarsi la strada verso la presidenza della Repubblica, passando dall’elezione all’acclamazione diretta.
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