Nessuno deve sapere cosa accade nei CPR

Sotto il profilo giuridico un centro di detenzione amministrativa (al di là dell’aberrazione di tale nozione su cui ora non mi soffermo) non è una struttura di espiazione penale, né tanto meno un luogo dove vengono rinchiuse persone pericolose i cui legami con l’esterno vanno ridotti al minimo. Nel diritto dell’Unione Europea la funzione del trattenimento in un CPR è esclusivamente limitata a impedire l’allontanamento di una persona da espellere; il trattenimento deve avere “la durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio“ (Direttiva 115/CE/20008 art. 15 par. 1) mentre “i pertinenti e competenti organismi ed organizzazioni nazionali, internazionali e non governativi hanno la possibilità di accedere ai centri di permanenza temporanea (…). Tali visite possono essere soggette ad autorizzazione” (Direttiva, art. 16 par.4). L’accesso ai centri deve pertanto sempre essere garantito e le eventuali procedure autorizzative devono essere snelle e non possono essere usate quali strumenti per ostacolare il diritto di accesso.
Eppure è tristemente nota l’assoluta opacità che avvolge il sistema dei CPR (centri per il rimpatrio). Chiunque (amministratore locale, giornalista, ricercatore, membro di un’associazione diversa dall’ente gestore etc.) abbia cercato di accedere per qualunque legittima ragione a questi luoghi ha avuto l’esperienza di un muro alzato dall’Amministrazione, fatto innanzitutto di strategie dissuasive e dilatorie, di tempi infiniti, di sempre nuove richieste irragionevoli, di rinvii dell’ultimo minuto, ed infine di dinieghi all’accesso. L’opacità dei CPR non è un fatto episodico ma risponde a una strategia per limitare la conoscenza delle condizioni interne ai Centri. Degrado strutturale, condizioni inumane e degradanti, uso massiccio di psicofarmaci, è infatti il quadro che emerge, pressoché immutato nei decenni, da ogni rapporto che sia stato condotto con rigore scientifico e onestà intellettuale, chiunque ne sia stato l’autore, con ruoli istituzionali o meno. Da ultimo, solo in termini temporali, il rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e dei trattamenti o punizioni inumani o degradanti (CPT) del 13.12.2024 le cui conclusioni sono agghiaccianti “Le condizioni di detenzione osservate in tutti i CPR visitati al momento della visita del 2024 potrebbero essere considerate simili a quelle esistenti all’interno delle unità di detenzione sotto il regime speciale dell’articolo 41-bis dell’ordinamento penitenziario italiano”.
La gravità della situazione emerge ancor più chiaramente alla luce della sentenza 96/2025 con la quale la Corte Costituzionale riconosce i gravissimi vizi di costituzionalità della detenzione amministrativa in quanto i “modi” del trattenimento sono infatti attualmente impropriamente disciplinati (o non disciplinati affatto) da fonti regolamentari non aventi forza di legge e spesso solo da semplici disposizioni amministrative. La scarna normativa vigente è dunque “del tutto inidonea a definire, in modo sufficientemente preciso, quali siano i diritti delle persone trattenute nel periodo – che potrebbe anche essere non breve – in cui sono private della libertà personale” (10). La sentenza, pur nella sua rilevanza, è certamente insoddisfacente nelle sue conclusioni (solo un forte monito all’Esecutivo a provvedere immediatamente all’emanazione di una disciplina del trattenimento). Come ha fatto giustamente osservare Francesco Pallante, la Corte “avrebbe potuto prendere a modello, in vista di una pronuncia additiva, la disciplina dell’ordinamento penitenziario, in modo da renderla, sia pure in via provvisoria, applicabile anche al caso della detenzione nei Cpr”. (“L’incerta questione della legalità costituzionale nel caso degli stranieri irregolari”, in Questione Giustizia, 25.07.25)
Invece di dare esecuzione alle richieste di cambiamento poste dal Comitato UE (le cui raccomandazioni sono vincolanti per gli Stati) e di dare seguito al monito della Corte Costituzionale, l’unica iniziativa che sembra sia stata posta in essere finora dal Ministero dell’Interno è stata quella di emanare in data 18.04.25, a cura del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, una circolare dal testo francamente incredibile nella quale si cerca in tutti i modi di ostacolare il monitoraggio dei CPR persino a coloro che in applicazione, per analogia, dell’art. 67 della legge n. 354/1975 (ordinamento penitenziario), in combinato disposto con l’art. 19, c.3, del decreto legge n. 13/2017, possono accedere ai CPR senza autorizzazione preventiva del Prefetto territorialmente competente, ovvero i membri del Parlamento, nazionale ed europeo, i consiglieri regionali, nonché coloro che li accompagnano “per ragioni del loro ufficio” (La stessa formulazione si ritrova correttamente riportata anche nella cosiddetta direttiva Lamorgese sui CPR del 19.05.2022). Secondo la circolare invece quelli che accompagnano coloro che hanno il diritto di accesso ai CPR senza autorizzazione possono essere solamente “soggetti che seguono la personalità in quanto funzionalmente incardinati nel loro ufficio” (la stessa tesi è stata più volte sostenuta anche nel corso delle visite, vigorosamente ostacolate, al centro di Gjader in Albania). La lettura che la circolare pretende di imporre è chiaramente infondata in quanto l’espressione “per ragioni del loro ufficio” opera un rinvio generale al fatto che i parlamentari o gli europarlamentari o i consiglieri regionali hanno piena facoltà di avvalersi di esperti (giuridici, medici, mediatori linguistici) che ritengono utili nella data circostanza per potere leggere e comprendere pienamente ciò che intende monitorare, senza che ciò abbia nulla a che fare con il fatto che lo stesso parlamentare si avvale, per l’ordinario svolgimento delle sue funzioni, di uno staff strutturato di collaboratori. L’obiettivo è chiaro: ostacolare i parlamentari nelle loro visite, le quali se non possono essere impedite, devono almeno avvenire senza supporti tecnici, così da limitarne gli effetti.
Non solo: secondo la citata circolare la finalità dell’accesso da parte dei parlamentari “deve limitarsi a una visita essendo riservato un ruolo ispettivo ai soli Garanti in base alle attribuzioni conferite dal loro incarico”. La norma dispone ben diversamente: i membri del Parlamento, nazionale ed europeo, i consiglieri regionali sono riportati nell’art. 67 della L. 354/1975 nella stessa lista insieme, tra l’altro, agli ispettori dell’amministrazione penitenziaria e ai garanti dei diritti dei detenuti, altri (art. 67, l. 354/1975), senza distinzione di funzioni e di poteri. La circolare richiede altresì di “disciplinare i tempi di durata di tali visite” e prevede che, anche a prescindere da questioni di sicurezza “il responsabile del servizio di vigilanza valuti se le visite dei soggetti che accedono senza autorizzazione possano comprendere colloqui con gli stranieri che ne diano disponibilità o che ne facciano richiesta” configurando in tal modo un potere di limitazione dei colloqui tra parlamentari e trattenuti da parte del responsabile del servizio di vigilanza. Si tratta anche in questo caso di una lettura tanto confusa quanto priva di fondamento, oltre che mortificante l’azione parlamentare. La parola “visita” non può certo essere intesa come visita di curiosità o di cortesia, sopportabile solo nella misura in cui le stesse “non determinino ritardi nell’espletamento dei compiti d’ufficio da parte delle autorità di Polizia che operano all’interno dei CPR ne da parte degli enti gestori”.
Nelle istruzioni impartite dalla circolare i visitatori “sono assistiti dal personale dell’Ente gestore per tutta la durata della visita” e in ogni modo la visita non deve “determinare un intralcio alle attività che il gestore svolge ordinariamente”. Si chiede altresì che “il colloquio (non) travalichi tematiche che gli stranieri possono approfondire tramite i colloqui con i propri difensori”. La circolare pretende dunque di limitare persino gli argomenti oggetto dei colloqui con i trattenuti, cercando di impedire ai parlamentari e ai loro collaboratori di approfondire proprio le questioni legate al trattenimento degli stranieri nel centro e alle modalità di attuazione dello stesso.
Confido che il lettore abbia colto sia i chiari profili di illegittimità giuridica, che la gravità, sul piano sociale e politico, di un’impostazione che ha un sapore così esplicitamente autoritario. Spetterà ai parlamentari far valere le disposizioni di legge e non le arroganti pretese della circolare, anche già durante le visite di monitoraggio che fino a ottobre verranno svolte insieme al TAI (Tavolo Asilo e Immigrazione) insieme al viaggio nei CPR italiani di Marco Cavallo promosso dal Forum per la salute mentale (di cui ho scritto nell’edizione del 04.09.25) portando in ogni caso il caso dell’inaudita circolare all’attenzione del Parlamento con il rilievo che la questione merita.
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