Qual è il Comune più ricco d'Italia?

Settembre 16, 2025 - 23:00
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Qual è il Comune più ricco d'Italia?

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Scopriamo qual è il Comune eleggibile come più ricco d’Italia in base alle elaborazioni più recenti del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), aggiornate con le dichiarazioni dei redditi.


Si tratta di una statistica curiosa, ma che mette in evidenza anche diverse criticità: un risultato che riflette sia la presenza di residenti con redditi molto elevati, sia caratteristiche specifiche del territorio, ma che tuttavia evidenzia una spaccatura costante.

Colmare questo divario richiede politiche che non si limitino a trasferimenti finanziari, ma investano in infrastrutture, istruzione, sanità, innovazione digitale, accesso al lavoro e mobilità.

Qual è il Comune più ricco d’Italia?

I numeri emergono da una classifica ampia, che mette a confronto migliaia di comuni italiani secondo il reddito medio dichiarato per abitante.

Portofino (in provincia di Genova, Liguria) detiene il primato: è il comune con il reddito medio pro capite imponibile più alto d’Italia, pari a 94.505 euro.

Dietro a Portofino si collocano altri due comuni popolati da gente facoltosa: al secondo posto Lajatico (Pisa, Toscana) con circa 61.980 euro, e al terzo Basiglio (Milano, Lombardia) con 50.807 euro.

Ricordiamo che il reddito medio nazionale pro capite delle dichiarazioni è stagnante, ma in lieve crescita nominale: circa 24.830 euro nel 2024 (dichiarazioni dell’anno fiscale 2023), con un aumento del 5% rispetto all’anno precedente.

I comuni “più poveri”: il rovescio della medaglia

Sul fondo della graduatoria non compaiono grandi centri urbani, ma località di piccole dimensioni, spesso isolate o collocate vicino ai confini nazionali.

Il caso più emblematico è Cavargna, in provincia di Como, dove il reddito medio pro capite dichiarato si aggira attorno ai 6-7 mila euro annui, ben lontano dalla media nazionale. Situazioni simili si registrano a Gurro e Valle Cannobina, nel Verbano-Cusio-Ossola, comuni montani che soffrono di spopolamento, scarse opportunità occupazionali e servizi ridotti.

Questi dati non descrivono soltanto una differenza statistica, ma raccontano il divario strutturale che separa i piccoli centri periferici dalle aree più dinamiche del Paese.

Le disuguaglianze territoriali

I dati mostrano chiaramente che il Nord Italia domina la graduatoria dei comuni più ricchi. Liguria, Lombardia, Piemonte e Toscana settentrionale sono le regioni che appaiono con maggiore frequenza nei primi posti.

Nessun comune del Sud o delle isole figura nella top 20 dei redditi più elevati pro capite.

Sul fronte regionale, la Lombardia risulta essere la regione con il reddito medio più alto (circa 29.120 euro) mentre la Calabria è quella con il reddito medio più basso (direttamente, intorno ai 18-19 mila euro). Anche la Sicilia e la Sardegna si trovano in fondo alla classifica.

Le ragioni del divario

Per capire perché alcuni comuni italiani guidano la classifica dei redditi mentre altri restano indietro è necessario osservare diversi fattori. Innanzitutto, a incidere è la dimensione demografica: i centri che compaiono ai primi posti sono spesso molto piccoli, con poche centinaia o al massimo qualche migliaio di abitanti. Si tratta di luoghi prestigiosi o rinomati, caratterizzati da un forte richiamo turistico o dalla presenza di seconde case di lusso. In realtà così ridotte, la residenza di pochi contribuenti con redditi elevatissimi può spostare in modo significativo la media complessiva.

Un altro elemento determinante è la presenza dei cosiddetti “super-contribuenti”. A Portofino, ad esempio, il primato nei redditi dichiarati è stato legato anche al trasferimento di residenza di Pier Silvio Berlusconi, mentre a Lajatico il dato è stato influenzato dal celebre tenore Andrea Bocelli. Singoli contribuenti di altissimo profilo sono quindi in grado di cambiare il volto fiscale di interi territori.

Non va trascurato poi il ruolo dell’economia locale e delle infrastrutture. I comuni che si distinguono per ricchezza godono in genere di buoni collegamenti, servizi efficienti e una vicinanza strategica a grandi poli urbani. A questo si aggiunge un tessuto produttivo dinamico e la capacità di attrarre turismo e investimenti. Al contrario, i territori più poveri scontano spesso isolamento geografico, scarse opportunità lavorative, carenze strutturali e un’emigrazione costante dei giovani.

Un ulteriore aspetto riguarda gli effetti della fiscalità. I redditi dichiarati non sempre rispecchiano quelli effettivi: in alcuni casi pesano l’evasione, il lavoro autonomo con entrate poco tracciabili o la condizione dei frontalieri che versano le imposte all’estero. Questo fa sì che la fotografia dei dati non rifletta sempre la reale ricchezza prodotta in loco.

Le conseguenze sul territorio

Le differenze nei redditi non sono solo numeri, ma hanno impatti diretti sulla vita delle comunità. Nei comuni più ricchi, le amministrazioni possono contare su maggiori entrate fiscali e finanziare con più facilità servizi, manutenzione urbana, attività culturali e infrastrutture. I centri con bilanci più fragili, invece, dipendono in larga parte dai trasferimenti statali o regionali, che non sempre risultano sufficienti a coprire le necessità quotidiane.

Anche i servizi essenziali risentono del divario. Nei territori periferici o montani si registrano spesso carenze nei trasporti, ritardi nell’accesso alla sanità, scarsa digitalizzazione e infrastrutture obsolete. Questo limita la qualità della vita e rende difficile attrarre nuove imprese o residenti.

La disparità incide anche sulla demografia: i giovani tendono a spostarsi verso aree più sviluppate, alimentando un circolo vizioso per cui le zone povere perdono capitale umano e capacità di sviluppo.

Sul piano fiscale, infine, emerge un tema di equità e redistribuzione. Nonostante la progressività del sistema italiano, la concentrazione della ricchezza in pochi territori evidenzia come la maggior parte dei contribuenti viva con redditi modesti, spesso insufficienti a sostenere il costo crescente della vita.

Alcune considerazioni critiche

Alla luce di questi dati, è importante sottolineare che il primato di comuni come Portofino non deve essere letto come un indicatore assoluto di benessere diffuso. La presenza di pochi contribuenti molto facoltosi può infatti innalzare la media senza riflettere le reali condizioni di tutti i residenti. Per misurare il livello di prosperità di un’area è quindi necessario guardare non solo alla media dei redditi, ma anche alla mediana, alla distribuzione interna, al costo della vita e alla qualità dei servizi.

Nei centri di piccolissima dimensione, inoltre, basta il trasferimento di un singolo contribuente ad alto reddito per cambiare drasticamente la posizione in classifica. Questo fenomeno, noto come “effetto piccolo numero”, rende i dati più instabili e meno rappresentativi.

C’è poi la questione del potere d’acquisto: anche laddove i redditi nominali crescono, spesso i cittadini non percepiscono un miglioramento tangibile, a causa dell’inflazione, dell’aumento dei prezzi delle abitazioni e della pressione fiscale.

Infine, il divario non riguarda soltanto le entrate economiche, ma anche le opportunità e i servizi. Un comune con redditi medi contenuti ma con buoni collegamenti, scuole funzionanti e accesso ai servizi digitali può offrire più prospettive di crescita rispetto a un territorio ricco ma mal gestito. In questo senso, la vera sfida è ridurre non solo le distanze economiche, ma anche quelle legate alla qualità della vita.

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