Qualcuno vuole il bis?

Questa settimana il nostro giro del mondo enogastronomico arriva davvero con l’idea di un “bis”: i temi ritornano, cambiano forma, si intrecciano. Dal lancio del Beaujolais Nouveau nel suo tradizionale terzo giovedì di novembre alla crisi della nocciola italiana, dalle ostriche che diventano ancora di resilienza nelle comunità oceaniche al tacchino del Thanksgiving in calo di prezzo, fino alla passata di pomodoro che si accumula nei depositi cinesi. Un quadro che mostra come, nel cibo come nei mercati, nulla si ripresenti mai davvero allo stesso modo: dietro temi che sembrano familiari emergono sempre nuove fragilità, nuovi equilibri e nuovi spostamenti globali.
Il nostro viaggio comincia proprio dal Beaujolais, protagonista della settimana. Le Progrès ricorda che il terzo giovedì di novembre segna ogni anno l’uscita ufficiale del Beaujolais Nouveau, ma oggi la festa ha un’eco soprattutto lontano dalla Francia. Il vino primeur vola in Asia — il Giappone assorbe più di un quinto di tutto l’export — e cresce anche in Canada, Stati Uniti e Cina. In un contesto di rese in calo, è la domanda estera a sostenere il rito, trasformando una tradizione regionale in un appuntamento globale.
Dalla celebrazione del vino al nervo scoperto della pasticceria italiana, il passo è breve. El País racconta una crisi senza precedenti nei noccioleti nazionali, falcidiati da parassiti, oscillazioni climatiche e rese scese del 40–50 per cento. Con i prezzi oltre i 500 euro al quintale e un raccolto che non raggiunge le 70.000 tonnellate, le grandi aziende ricorrono a forniture da Stati Uniti e Cile. Ne risente l’intera filiera: dalla crema spalmabile simbolo del made in Italy fino alle denominazioni più iconiche del Piemonte, costrette a ripensare approvvigionamenti e margini.
Poi il mondo cambia latitudine e approda alle Figi, dove Al Jazeera racconta un modello di adattamento che nasce dall’acqua. Nelle comunità costiere di Vanua Levu, l’ostricoltura sta diventando un’ancora di resilienza: le ostriche filtrano e migliorano la qualità marina, offrono un reddito più stabile della pesca di sussistenza (da cui dipende il 40 per cento delle famiglie) e danno lavoro soprattutto a donne coinvolte nell’AQUA-Pearl Project. Ma non è una favola: restano problemi di certificazioni sanitarie, accesso ai mercati e cicloni sempre più violenti.
Dalle isole del Pacifico ai tavoli americani del Thanksgiving, il quadro si fa più contraddittorio. Secondo il Washington Post, il costo della cena tradizionale per dieci persone scende a 55,18 dollari, trainato dal crollo del prezzo del tacchino (-16 per cento). Ma il sollievo dura poco: patate dolci e verdure affettate aumentano rispettivamente del 37 per cento e del 60 per cento, segnale di una filiera colpita da logistica complessa e danni climatici. Il risultato è un menù che costa meno solo in apparenza, specchio di un paese con margini ridotti e sostegni pubblici intermittenti.
La chiusura arriva dalla Cina, dove il Financial Times fotografa un accumulo che pesa più di qualsiasi metafora: una “montagna” di passata di pomodoro invenduta dopo il crollo delle esportazioni verso l’Italia, frenate dalle accuse di lavoro forzato nello Xinjiang e da casi di etichettatura ingannevole. Le scorte ferme rischiano di influenzare i prezzi globali, mentre la filiera italiana osserva con attenzione un mercato che si rimescola sotto la pressione geopolitica. Un promemoria di quanto i flussi alimentari siano vulnerabili a tensioni che superano di molto il perimetro agricolo.
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