Reshoring o Nearshoring: quando conviene riportare la produzione in Italia o Europa

Settembre 24, 2025 - 14:30
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Reshoring o Nearshoring: quando conviene riportare la produzione in Italia o Europa

STRATEGIE

Reshoring o Nearshoring: quando conviene riportare la produzione in Italia o Europa



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Riportare la produzione in patria è possibile? E, soprattutto, conviene? Ecco i costi e i vantaggi delle opzioni di reshoring e nearshoring per rilocalizzare la produzione in Italia o Europa…

Pubblicato il 23 set 2025



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Le interruzioni logistiche e le tensioni geopolitiche degli ultimi anni hanno imposto alle imprese europee una riflessione strategica sulla localizzazione delle proprie attività produttive. Termini come reshoring e nearshoring rappresentano ormai una reale alternativa per riorganizzare le filiere produttive. Ma la scelta tra il rientro della produzione in Italia e la sua rilocalizzazione in paesi vicini richiede un’analisi complessa, che deve ponderare i costi operativi insieme a fattori come la resilienza logistica, il controllo qualitativo e il supporto da parte degli Stati, visto che il tema riguarda anche la sovranità economica dei paesi europei: la capacità di garantire approvvigionamenti sicuri, contenere i rischi geopolitici e mantenere un posizionamento competitivo rispetto a Stati Uniti e Asia.

La nuova mappa della produzione globale

Il biennio 2024-2025 si profila come un periodo di significativi investimenti nella reindustrializzazione del continente. Una recente analisi di Capgemini rivela che il 95% dei dirigenti aziendali considera le pressioni subite dalla supply chain un fattore determinante per le nuove strategie localizzative.

Questa tendenza si articola in diverse modalità: il reshoring, che consiste nel rimpatrio delle attività produttive precedentemente delocalizzate; il nearshoring, ovvero il trasferimento della produzione in paesi limitrofi che offrono un equilibrio tra competitività dei costi e vicinanza geografica; il friendshoring, che privilegia l’allocazione in nazioni politicamente stabili e alleate; e l’onshoring, che implica la completa rilocalizzazione delle filiere all’interno dei confini nazionali.

Alcuni paesi europei hanno già accelerato questa trasformazione: in Germania il settore automotive ha riportato linee produttive dall’Asia centrale, mentre la Francia investe nell’onshoring della farmaceutica per ridurre la dipendenza da India e Cina nei principi attivi. L’Italia, per ora, si muove in modo più selettivo, concentrandosi soprattutto su settori ad alta valenza strategica come tessile, meccanica di precisione e biomedicale.

Circa il 58% dei casi globali di reshoring riguarda stati membri dell’Unione Europea. L’Italia partecipa attivamente a questa dinamica: il 16,5% delle imprese nazionali, in particolare nel settore tessile, ha già avviato processi di rientro di parte della produzione. Inoltre,la volontà di ridurre la dipendenza dall’Asia orientale ha spinto l’80% delle aziende a ricercare partner e fornitori in aree geografiche più vicine, modificando radicalmente le mappe di approvvigionamento consolidate.

Il calcolo economico del reshoring in Italia

La decisione di riportare la produzione sul territorio nazionale si fonda su un’attenta valutazione dei costi e dei benefici. Per le aziende italiane, l’investimento nel reshoring diventa vantaggioso quando i benefici derivanti da un minor costo di supervisione, un controllo diretto sui processi e la valorizzazione del marchio “Made in Italy” riescono a compensare il differenziale del costo del lavoro rispetto ad altre aree geografiche. Settori come il tessile, l’elettronica e il farmaceutico, caratterizzati da elevati standard qualitativi e dalla necessità di una produzione flessibile, sono quelli che maggiormente beneficiano di questa strategia.

Va inoltre considerato che negli ultimi dieci anni il divario del costo del lavoro con l’Asia si è ridotto grazie all’introduzione di robotica e automazione, capaci di abbattere la componente manuale dei processi e di rendere sostenibile il ritorno di attività che in passato sarebbero state impensabili da rilocalizzare.

Un’azienda che abbia delocalizzato la produzione nel Sud-Est asiatico, sfruttando adeguatamente gli incentivi per supportare gli investimenti in tecnologie di automazione avanzata potrebbe abbattere i costi operativi, aumentando la reattività alle richieste del mercato e migliorando la reputazione aziendale in termini di sostenibilità ambientale, un fattore sempre più richiesto dai consumatori europei. Anche investimenti in fonti energetiche rinnovabili e nella digitalizzazione dei processi produttivi possono contribuire a consolidare la posizione delle imprese sul mercato continentale.

Il nearshoring come opzione strategica europea

Quando il rientro completo non è economicamente sostenibile, il nearshoring emerge come una valida alternativa. Paesi come Polonia, Romania e Portogallo stanno diventando poli produttivi attraenti per le imprese europee, offrendo manodopera qualificata a costi competitivi, unita a una maggiore stabilità e prevedibilità logistica. I vantaggi del nearshoring sono tangibili: riduzione dei tempi di consegna, abbattimento dei rischi di interruzione delle forniture e una maggiore flessibilità operativa.

La logistica rappresenta un fattore decisivo: tempi di trasporto inferiori, minori costi di assicurazione e maggiore prevedibilità delle forniture spiegano perché molte aziende, soprattutto nei comparti elettronica e automotive, preferiscano ormai il nearshoring al rischio di interruzioni dovute a rotte marittime sempre più instabili.

Anche l’Italia può essere però meta di nearshoring. Le previsioni indicano che entro il 2025 il nearshoring in Italia crescerà del 9%. Molte aziende europee, soprattutto nei settori automotive e aerospaziale, scelgono di centralizzare la loro catena di fornitura nel nostro paese o in nazioni confinanti. La prossimità geografica dei fornitori, in questi comparti ad alta intensità tecnologica, facilita infatti una gestione più efficiente dei processi qualitativi e produttivi.

Fattori decisionali e supporto istituzionale

La scelta tra reshoring e nearshoring non può basarsi unicamente sul costo del lavoro. La variabile determinante è il costo totale di gestione, che include gli investimenti in automazione, l’efficienza energetica degli impianti e la formazione del personale. L’adozione di tecnologie abilitanti come la robotica e la digitalizzazione permette di ridurre l’intensità del lavoro manuale, attenuando l’impatto dei salari sui costi complessivi di produzione anche in un paese come l’Italia.

Un confronto con altri Paesi europei mette in evidenza come l’Italia giochi una partita delicata: la Germania e la Francia hanno varato fondi diretti e programmi di credito agevolato specifici per il reshoring, mentre il nostro Paese concentra il supporto sugli incentivi trasversali legati alla doppia transizione. La sfida sarà capire se questo approccio sarà sufficiente a non perdere terreno nel confronto competitivo intraeuropeo.

Il supporto delle istituzioni assume quindi un ruolo fondamentale. Incentivi come il piano Transizione 4.0 o il piano Transizione 5.0 o il prossimo nuovo piano unico per la doppia transizione sono pensati per sostenere le imprese nel duplice percorso della transizione digitale e verde e indirettamente a rafforzare la resilienza industriale e a garantire la competitività del sistema produttivo nazionale ed europeo.

La decisione di rilocalizzare la produzione richiede un’analisi multidimensionale e una pianificazione strategica. Le imprese devono valutare con attenzione gli scenari di rischio, la propria preparazione tecnologica e la capacità logistica. Un approccio graduale, basato sulla sperimentazione di piccoli lotti produttivi, è spesso la pratica migliore per minimizzare le criticità operative e contenere gli investimenti iniziali.

Le scelte dei prossimi anni determineranno quindi non solo la solidità delle singole imprese, ma la collocazione dell’intero tessuto produttivo italiano all’interno della catena del valore europea. Un rischio concreto è che l’Italia diventi prevalentemente fornitore di subcomponenti per altri paesi, se non riuscirà a integrare innovazione, capitale umano e politiche industriali in una visione di lungo periodo.

La riconfigurazione delle filiere produttive non è un processo privo di complessità, ma rappresenta un’opportunità per costruire un sistema industriale più robusto, innovativo e sostenibile.

L'articolo Reshoring o Nearshoring: quando conviene riportare la produzione in Italia o Europa proviene da Innovation Post.

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