Università UK: tagliare i corsi, finanziare gli apprendistati

Il dibattito sull’istruzione universitaria nel Regno Unito è tornato al centro della scena politica con l’annuncio di Kemi Badenoch, leader del Partito Conservatore, che propone di tagliare i posti universitari nei corsi con scarsi risultati economici per reindirizzare i fondi verso apprendistati e formazione tecnica. Una misura che ha immediatamente sollevato proteste nel mondo accademico e che ricorda, in modo quasi speculare, una promessa simile fatta appena un anno prima dall’allora ministra dell’Istruzione Gillian Keegan. Ma dietro questa apparente “riciclatura” politica si nasconde una questione più profonda: quale deve essere oggi il valore di un titolo universitario in un Paese che vuole ridurre il debito pubblico e rilanciare la produttività?
Una promessa che torna: dal piano Keegan alla strategia Badenoch
Nel maggio del 2024, a poche settimane dalle elezioni generali, Gillian Keegan, allora segretaria all’Istruzione nel governo Sunak, aveva annunciato un piano per eliminare i corsi universitari “Mickey Mouse” – un termine dispregiativo usato per indicare lauree considerate “inutili” o “non redditizie”. L’obiettivo dichiarato era quello di chiudere i percorsi con basso tasso di occupazione e stipendi medi inferiori, destinando i fondi risparmiati alla creazione di 100.000 nuovi apprendistati.
Il piano fece discutere, ma non arrivò mai a concretizzarsi: non venne inserito nel manifesto elettorale conservatore e si dissolse con la sconfitta del partito alle urne. Ora, nell’autunno 2025, Kemi Badenoch rilancia la stessa idea, presentandola come una nuova linea di politica economica per un partito che tenta di ricostruire la propria identità dopo anni di crisi interna.
Durante il Tory Conference di Manchester, Badenoch ha affermato che “troppi giovani vengono spinti verso corsi che non offrono reali opportunità di carriera”, aggiungendo che “non serve una laurea per ogni lavoro” e che “è tempo di premiare le competenze pratiche tanto quanto quelle accademiche”.
Secondo i piani esposti, il governo conservatore taglierebbe circa 100.000 posti universitari ogni anno nei corsi “a basso valore” e investirebbe i risparmi in programmi di apprendistato e formazione tecnica.
Corsi “a basso valore”: una definizione controversa
Il punto più dibattuto della proposta riguarda la definizione di low value degree, o corso a basso valore. Ma chi decide cosa lo è? Il riferimento implicito è a un rapporto dell’Institute for Fiscal Studies (IFS), secondo cui circa il 30% dei laureati nel Regno Unito non ottiene un ritorno economico significativo dal proprio titolo, soprattutto in discipline umanistiche e artistiche.
Tuttavia, lo stesso rapporto riconosce che i laureati guadagnano mediamente di più e hanno tassi di occupazione più alti rispetto a chi non ha un’istruzione universitaria. Ciò significa che, pur esistendo disparità tra corsi, l’istruzione superiore rimane uno dei principali strumenti di mobilità sociale.
Molti esperti criticano quindi la logica economica della proposta. “Ridurre l’università a un calcolo di profitto individuale è una distorsione del suo ruolo sociale e culturale”, afferma la professoressa Mary Stuart, ex vice-cancelliera della Lincoln University. Anche l’University and College Union (UCU) ha definito il piano “economicamente analfabeta” e “socialmente regressivo”.
L’idea di Badenoch di legare i finanziamenti universitari agli stipendi dei laureati, spiegano gli analisti, rischia di penalizzare le discipline artistiche e sociali, ma anche le università regionali, dove il reddito medio post-laurea è naturalmente più basso.
La promessa degli apprendistati: opportunità o illusione?
Badenoch ha dichiarato che il denaro risparmiato dai tagli universitari servirà a finanziare un “grande piano di rilancio degli apprendistati”, raddoppiando il budget attuale. L’intenzione, almeno sulla carta, è quella di colmare la carenza di competenze tecniche in settori come edilizia, ingegneria, sanità e digitale, dove il Regno Unito soffre da anni di un gap strutturale.
Ma gli esperti avvertono che il sistema degli apprendistati britannici è in crisi da tempo. Secondo il House of Commons Education Committee, il numero di apprendisti è sceso del 40% dal 2016, e molte aziende non utilizzano i fondi messi a disposizione per formarli.
Un rapporto del Learning and Work Institute sottolinea inoltre che le opportunità di apprendistato rimangono concentrate nei livelli più bassi, con pochi percorsi di alta qualificazione.
Il timore è che, senza una riforma profonda del sistema, spostare fondi dall’università agli apprendistati significhi solo sottrarre risorse a un settore funzionante per investirle in uno inefficiente.
Un messaggio politico più che educativo
La proposta di Badenoch va letta anche in chiave politica. Dopo la sconfitta del 2024, il Partito Conservatore sta cercando di riconquistare la fiducia degli elettori più giovani e delle classi lavoratrici, tradizionalmente attratte da Labour e Liberal Democrats.
Il messaggio è chiaro: “non tutti devono andare all’università”. Una frase che, sotto la superficie pragmatica, parla a un elettorato disilluso dal costo crescente delle tasse universitarie e dal peso dei debiti studenteschi. In un Paese dove le tuition fees raggiungono £9.250 l’anno e il debito medio dei laureati supera le £45.000, il richiamo a percorsi alternativi sembra una mossa di consenso più che una strategia educativa.
L’analista politico James Forsyth, sul Financial Times, ha definito la proposta “una manovra di posizionamento culturale più che una riforma strutturale”. Secondo Forsyth, Badenoch punta a ridefinire i Conservatori come “il partito della produttività”, spostando il discorso pubblico dal welfare alla meritocrazia economica.
Il nodo del valore dell’università britannica
Al di là del calcolo politico, la proposta riapre un dibattito antico: a cosa serve l’università nel XXI secolo? È solo un mezzo per ottenere un lavoro meglio pagato, o ha ancora un ruolo nella formazione del pensiero critico e civico?
Molti rettori hanno espresso preoccupazione per il rischio di “snaturare” l’essenza stessa dell’educazione superiore. La vicecancelliera della University of the Arts London, James Purnell, ha sottolineato che “i laureati in arte, design e comunicazione sono tra i più innovativi e creativi del Paese. Misurare il loro valore in termini di stipendio iniziale significa non capire la funzione dell’università in un’economia creativa come quella britannica.”
Anche l’Institute for Fiscal Studies, la fonte dei dati usati dai Conservatori, ha preso le distanze da un’interpretazione eccessivamente semplificata dei suoi studi: “Non abbiamo mai suggerito di chiudere corsi basandosi esclusivamente sugli stipendi dei laureati.”
Tra tagli e retorica: l’educazione come battaglia ideologica
L’istruzione è da tempo terreno di scontro politico nel Regno Unito. Dal governo Blair in poi, l’obiettivo è sempre stato quello di ampliare l’accesso universitario, con il traguardo di portare il 50% dei giovani a un titolo di laurea.
I Conservatori, invece, hanno progressivamente spostato l’accento sul contenimento dei costi e sull’idea che troppi laureati “non trovino lavori adeguati”.
La proposta di Badenoch, quindi, si inserisce in una battaglia ideologica più ampia: da un lato, chi vede l’università come un diritto e un investimento pubblico; dall’altro, chi la considera un bene privato che deve dimostrare il proprio valore economico.
In mezzo, ci sono milioni di studenti che cercano di orientarsi in un sistema sempre più costoso e competitivo.
Le reazioni: università in allarme, opposizioni compatte
La risposta del mondo accademico è stata immediata e compatta. L’UCU ha parlato di “una guerra culturale mascherata da politica economica”.
Molti rettori hanno espresso preoccupazione per i possibili effetti sulle iscrizioni, soprattutto nei settori umanistici. Alcune università regionali temono di perdere fino al 20% dei finanziamenti se il criterio di valutazione sarà puramente economico.
L’opposizione laburista ha accusato Badenoch di “strumentalizzare l’istruzione per fini propagandistici”, ricordando che “le vere cause della crisi universitaria sono i tagli ai fondi pubblici e l’aumento del debito studentesco”.
Perfino alcuni esponenti moderati del partito conservatore hanno espresso riserve: secondo Robert Halfon, ex ministro dell’istruzione tecnica, “non si può parlare di apprendistati senza prima riformare il modo in cui vengono gestiti. Semplicemente spostare fondi non risolve il problema.”
Quale futuro per l’università britannica?
Se la proposta di Badenoch dovesse diventare legge, si aprirebbe una nuova fase per l’istruzione superiore britannica. Le università sarebbero costrette a rendere pubblici i dati sui risultati economici dei loro corsi, e il finanziamento potrebbe essere collegato direttamente a tali risultati.
Un simile modello esiste già negli Stati Uniti, ma ha prodotto effetti controversi: le università hanno iniziato a chiudere corsi di nicchia o non redditizi, concentrandosi su business, economia e STEM, a scapito di discipline umanistiche e sociali.
Molti temono che il Regno Unito stia imboccando la stessa strada. Come scrive il Guardian, “tagliare i corsi che non producono alti stipendi significa anche tagliare la cultura, la creatività e il pensiero critico che hanno fatto grande l’università britannica”.
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