Cinque cose che (forse) non sai su Jane Goodall

Ottobre 3, 2025 - 12:00
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Cinque cose che (forse) non sai su Jane Goodall
È conosciuta come la prima ricercatrice ad averci posto di fronte alla domanda: cosa ci rende umani? Jane Goodall è morta il 1° ottobre 2025, all'età di 91 anni, dopo aver dedicato una vita intera allo studio degli scimpanzé. Ha scoperto, tra le altre cose, che costruivano e utilizzavano utensili, sviluppavano una cultura, eseguivano rituali e ciascun individuo manifestava una personalità propria. Caratteristiche che fino a quel momento si ritenevano quasi esclusive dell'essere umano.. Sarà ricordata per aver indotto una generazione di ricercatori a mettere da parte i libri e ad addentrarsi nella giungla, o nella savana, per osservare gli animali da vicino. Goodall, in realtà, non si limitava a guardarli e a prendere appunti: entrava in empatia con loro, ne apprendeva e riproduceva il linguaggio, si affezionava alle loro storie. È stata lei stessa a raccontare come alcuni approcci alla crescita di suo figlio li avesse desunti proprio dalle madri scimpanzé. E non è questa l'unica curiosità legata alla sua vita e al suo lavoro, in questo articolo ne abbiamo raccolte cinque.... Tutto iniziò grazie a due cani in fuga. Qualche settimana fa, in un'intervista che uscirà sul numero di Focus in edicola dal 21 ottobre (e che non ci saremmo mai immaginati sarebbe stata una delle ultime) ci raccontava come si fosse guadagnata la stima del noto paleontologo Louis Leakey grazie a due dalmata scappati. I cani appartenevano alla moglie, Mary Leakey, anche lei studiosa di antropologia ed evoluzione umana.. Il gruppo, composto anche da una quarta ragazza, Gillian, si trovava alla Gola di Olduvai, in Tanzania. Gillian e Jane Goodall dovevano portare a spasso i dalmata, Toots e Bottom Biter, ai quali mrs. Leakey era molto affezionata. Durante la passeggiata, però, i cani partirono all'inseguimento di un topolino e sparirono dalla vista delle due donne. Un altro animale catturò invece lo sguardo di Goodall: un leone maschio adulto che seguiva la scena con apparente curiosità. Spaventata, Gillian suggerì di nascondersi, ma Goodall intuì un dettaglio non scontato: "Se ci nascondiamo, lui saprà dove siamo noi ma noi non sapremo più dov'è lui". Riuscirono dunque a richiamare i cani e risalire sul pianoro, dove il leone non avrebbe potuto vederli. Louis Leakey si complimentò con Goodall per la scelta corretta e si convinse in quel momento che la futura collega era adatta allo studio degli scimpanzé.. Ha imparato il metodo scientifico nel cortile di casa. Jane Godall è nata nel 1934 e ha trascorso una buona parte della sua vita a sentirsi dire che era meglio se lasciava perdere lo studio degli scimpanzé, troppo complicato per una ragazza. Ma queste affermazioni non avevano senso per una persona cresciuta in una casa di donne, tra madre, nonna, bisnonna e zie. Da tutte loro è stata incoraggiata a seguire le proprie ambizioni e a impegnarsi per ottenere i risultati che desiderava.. La madre infatti non la rimproverò quando un giorno rientrò a casa tardi e con il vestito sporco di terra. Ascoltò piuttosto con molta attenzione il resoconto dettagliato di come le galline deponessero le uova. Per scoprirlo, Goodall era rimasta per ore immobile in un pollaio a osservare i volatili da vicino. All'età di soli quattro anni aveva intuito che, per approfondire i meccanismi del mondo animale, era necessario seguirli con i propri occhi mentre si verificavano nel loro ambiente. Il primo passaggio del metodo scientifico.. Scrisse il primo necrologio non dedicato a un essere umano. A partire dal 1960, Jane Goodall si immerse completamente nello studio del gruppo di scimpanzé che viveva all'interno della riserva del Gombe Stream, in Tanzania. Per ben 30 anni, trascorrerà la maggior parte del tempo in loro compagnia e imparerà a conoscerne i singoli esemplari, a cui diede un nome. David Greybeard, per esempio, fu quello che le mostrò per la prima volta l'uso degli utensili per stanare le termiti. E poi c'era Flo, la matriarca e una delle scimmie a cui si affezionò di più.. Da lei apprese come gli scimpanzé potessero dare alla luce un figlio ogni quattro o sei anni e come nascessero al massimo due cuccioli all'anno all'interno del gruppo. Proprio quando scoprì che Flo era diventata madre, Goodall volle interrompere la luna di miele con il neosposo, il fotografo naturalista Hugo van Lawick, e correre subito a Gombe. Nel 1972, la scimmia purtroppo morì. La ricercatrice scrisse per lei un annuncio da pubblicare sul Sunday Times: fu il primo necrologio della storia dedicato a un animale non umano a comparire su un giornale.. L'accusa: si era guadagnata i fondi per le ricerche grazie alle sue gambe. Per riassumere i pregiudizi con cui ha dovuto fare i conti per tutta la vita, in quanto donna, Goodall amava raccontare un aneddoto, ricordato anche da Catrin Einhorn del New York Times, che la intervistò nel 2016. Trascorrendo la maggior parte del tempo in Africa, Goodall era abituata a indossare pantaloni corti. Non ci volle molto perché l'attenzione dei media passasse dalle ricerche alle sue gambe, descritte come molto attraenti.. Alcuni scienziati uomini, alimentati forse dall'invidia per non aver ricevuto lo stesso supporto alle loro ricerche, si lamentarono del fatto che fosse diventata famosa e dunque ottenesse finanziamenti soprattutto grazie alle sue gambe. «Se qualcuno lo dicesse oggi, verrebbe denunciato. Allora, però, tutto quello che volevo era tornare dagli scimpanzé. Quindi se le mie gambe mi davano i soldi per farlo, bè, grazie gambe!».. Anche i migliori sbagliano (e chiedono scusa). Jane Goodall è stata una pioniera non solo della ricerca sul comportamento animale, ma anche della divulgazione scientifica a cui ha dedicato soprattutto gli ultimi anni della sua vita. Come tutti, però, anche lei ha dovuto accorgersi di alcuni errori commessi nel corso della sua carriera e chiedere scusa. Il più celebre è quello legato all'uscita del suo libro: Seeds of Hope: Wisdom and Wonder from the World of Plants ("Semi di speranza: saggezza e meraviglia dal mondo delle piante"). Nel 2013 ha dovuto ammettere, e scusarsi, per aver copiato senza citare le fonti alcuni passaggi tratti da siti web.. Più interessante per il nostro rapporto con gli animali, però, sono le riflessioni rispetto ai modi in cui ha provato a stabilire un contatto con gli scimpanzé di Gombe. Uno di questi è stato regalar loro delle banane. Si è, però, accorta presto come quel gesto ritenuto innocuo scatenasse lotte tra scimpanzé e babbuini per la contesa del cibo. Ricevere la frutta, inoltre, sembrava aver reso gli scimpanzé di Gombe più aggressivi rispetto a gruppi residenti in aree più distanti. Oggi siamo consapevoli che avvicinare animali selvatici attraverso il cibo è un comportamento sbagliato: tra le altre cose, potrebbe rendere questi ultimi più dipendenti dall'uomo e abituarli a una dieta non corretta. .

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Redazione Redazione Eventi e News