Clima, lo stile di vita italiano è 8 volte più impattante rispetto al necessario per restare entro +1,5°C

L’intensivo uso dell’auto e dei viaggi aerei; l’elevato consumo di carne bovina, suina e formaggio; la climatizzazione degli edifici soddisfatta tramite un alto consumo di combustibili fossili. Sono questi i tre principali aspetti dello stile di vita italiano che cozzano contro gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti dall’Accordo sul clima di Parigi, per non superare la soglia di 1,5 °C di riscaldamento globale rispetto all’era pre-industriale. Di fatto, oggi lo stile di vita dell’italiano medio comporta emissioni 8 volte superiori a quelle necessarie per rispettare l’obiettivo climatico: è quanto emerge dall’aggiornamento del rapporto A climate for sufficiency: 1.5-degree lifestyles, appena pubblicato dal think tank berlinese Hot or Cool Institute.
Basandosi sui dati di 25 paesi, il rapporto fornisce un'analisi completa dei modelli attuali e delle traiettorie future delle impronte di carbonio legate allo stile di vita. I risultati sono chiari: per rimanere in linea con gli obiettivi dell'Accordo di Parigi, le emissioni globali legate allo stile di vita devono diminuire dell'85% entro il 2035. Per i paesi ad alto reddito, dove i livelli di consumo sono significativamente più elevati, questa cifra è ancora più alta (94%) sottolineando la portata del cambiamento sistemico e comportamentale necessario nel prossimo decennio.
«Le crisi climatiche e sociali sono inseparabili, con l'aumento delle emissioni e l'ampliamento delle disuguaglianze che si rafforzano a vicenda», spiega Lewis Akenji, direttore esecutivo dell'Hot or Cool Institute e autore principale del rapporto. Basti osservare che lo stile di vita dello statunitense medio supera di 17 volte l’obiettivo climatico di contenere il surriscaldamento globale a +1,5°C, il dato peggiore a livello globale tra i 25 Paesi esaminati; seguono Australia (12 volte) e Canada (11 volte), per poi emergere a pari merito (8 volte) Corea del sud, Italia, Germania e Portogallo, mentre in coda alla classifica spiccano Nigeria (1,4 volte), Kenya (1,7 volte), Indonesia e India (3 volte), con la Cina al 18esimo posto su 25 in classifica (5 volte).
Di fatto l'impronta di carbonio media dello stile di vita internazionale è più di sette volte superiore all'obiettivo di 1,5 °C, e sarà praticamente impossibile raggiungere gli obiettivi climatici del 2035 senza affrontare anche le disuguaglianze e il consumo eccessivo: il rapporto chiarisce come le disuguaglianze sia tra i paesi che all'interno degli stessi stiano alimentando la crisi climatica, e questa disparità si traduce in una responsabilità diseguale per la crisi climatica, poiché il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di circa il 50% dei gas che causano il riscaldamento climatico attraverso i propri investimenti e consumi.
«Il bilancio di carbonio rimanente è ora così ridotto che i governi nazionali di tutto il mondo si troveranno di fronte a una scelta difficile: concentrarsi sul soddisfacimento dei bisogni della società o affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, a meno che non vengano adottate misure drastiche con urgenza – argomenta Akenji – Mentre i leader mondiali si preparano a riunirsi per la conferenza annuale sui cambiamenti climatici (Cop) che si terrà in Brasile a novembre, i negoziati devono riflettere l'urgente necessità di evitare il superamento dell'1,5 °C e le significative implicazioni che questa soglia avrebbe sulla vita quotidiana delle persone. Ogni ulteriore incremento superiore all'1,5°C aumenta il rischio di conseguenze dannose e irreversibili. I governi devono impegnarsi con urgenza a tornare alla soglia di 1,5°C, con piani concreti, verificabili e vincolanti dal punto di vista giuridico, che includano riduzioni obbligatorie per le imprese. Dato che il pianeta è destinato a superare una soglia critica di riscaldamento, sono necessarie misure più radicali di quelle attuate finora per garantire un futuro equo, sicuro e prospero per tutti entro la soglia di 1,5 °C».
L’inazione non è un’opzione, e soprattutto non è a costo zero. Secondo i dati messi recentemente in fila dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea), soltanto gli eventi meteo estremi sono costati già alla sola Italia, nel periodo 1980-2023, 135 miliardi di euro, insieme a 38mila morti dal 1993. Come insegna uno dei fondatori dell’economia ecologica, Karl William Kapp, ci troviamo oggi a scegliere se minimizzare la sofferenza dei molti o a massimizzare il piacere – e i profitti – di pochi.
Oltre a un passaggio globale a uno stile di vita basato sulla sufficienza, il rapporto raccomanda anche di combinare cambiamenti nello stile di vita, un rapido sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio e riforme sistemiche. Le raccomandazioni chiave includono l'attuazione di imposte progressive coordinate a livello globale e limiti alla ricchezza per affrontare il consumo eccessivo e la disuguaglianza, la promozione di uno stile di vita basato sulla sufficienza attraverso politiche di modifica delle scelte che rendano ampiamente disponibili e accessibili opzioni di stile di vita a basse emissioni di carbonio, scoraggiando o eliminando i prodotti altamente inquinanti e non essenziali: si tratta infatti di mettere in campo un cambio rotta a livello sociale, e dunque politico, perché modificare gli stili di vita è essenziale ma per essere efficace la responsabilità non può ricadere sulle spalle dei singoli.
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