Da Venezia parte l’impegno per l’armonizzazione delle norme per la filiera
 
                                La quarta edizione del Venice Sustainable Fashion Forum si è aperta ieri con un impegno concreto sul fronte della tutela della filiera della moda e dell’armonizzazione delle norme. In apertura di convegno il presidente di Confindustria Moda, Luca Sburlati ha espresso soddisfazione per l’approvazione in Senato del ddl sulle Pmi sottolineando come questa approvazione rappresenti un segnale dell’attenzione della politica alle problematiche di un sistema moda che è sotto attacco.
“Ho detto che la moda italiana e il made in Italy sono sotto attacco. Mi sbagliavo. Non è solo il nostro sistema a essere in difficoltà: lo è tutto l’ecosistema europeo”, ricordando poi come è tempo che arrivino risposte rapide anche su altri temi chiave come il fast fashion e l’Epr.
Su quest’ultimo fronte Laura D’Aprile, capo del dipartimento per la transizione ecologica e gli investimenti verdi, ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, ha anticipato che è previsto per il primo trimestre del 2026 l’elaborazione e lo sviluppo dell’Epr tessile in Italia. “All’interno dello schema di regolamento abbiamo una serie di adempimenti che dobbiamo anticiparci a preparare con i consorzi che al momento non possono essere riconosciuti ma ci sono e lavorano”, ha proseguito, ricordando come al momento in Italia ci sia una criticità nella raccolta del tessile, limitata al 12% dell’immesso al consumo. D’Aprile ha inoltre aggiunto come il ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica sia al lavoro insieme al Mimit sul dossier per l’ultra fast fashion prendendo come riferimento quanto fatto dal governo francese.
L’intervento del presidente di Confindustria Moda ha aperto le danze della nuova edizione dell’evento promosso insieme a The European House – Ambrosetti (TEHA) e Confindustria Veneto Est – Area Metropolitana Venezia Padova Rovigo Treviso nella cornice della Fondazione Giorgio Cini e che si chiuderà oggi. ‘Harmonizing Values‘ è il titolo scelto per l’appuntamento che ha riunito istituzioni, brand, imprese della filiera, esperti e stakeholder internazionali per confrontarsi su temi chiave come la difesa del made in Italy e made in Europa, il tema della sostenibilità e dell’armonizzazione sulle norme con una collaborazione concreta tra i diversi attori sia in Italia sia all’estero.
E a conferma della necessità di un dialogo non più solo nazionalistico ma europeo sul tema, sono stati ospitati quest’anno anche il presidente esecutivo della Federazione Francese della Moda, Pascal Morand, e il presidente dell’Unione francese delle industrie della moda e dell’abbigliamento, Pierre–Francois Le Louet.
Sul fronte della creazione di un univoco sistema di certificazione, Sburlati ha inoltre dichiarato che sarà lanciato un sistema open source per armonizzare i controlli lungo la filiera, un tema che rappresenta uno dei cavalli di battaglia del presidente di Confindustria Moda. “Non stiamo costruendo una struttura illegale, come qualcuno ha detto ma stiamo lavorando per garantire i lavoratori e tutelare le imprese serie”.
Insieme a Confindustria Moda, nel corso della mattinata i rappresentanti della sostenibilità di Kering, Prada e Zegna hanno parlato dei passi in avanti nel loro progetto di creare un protocollo unico per acquisire informazioni filiera nell’ambito del programma European accelerator. Con l’obiettivo di raggiungere la decarbonizzazione della filiera, otto aziende del lusso (tra le quali quelle presenti al Venice Sustainable Forum) hanno lavorato di di un unico questionario da consegnare alle aziende della supply chain per raccogliere informazioni sul loro impatto ambientale in termini di energia, acqua e rifiuti che sarà disponibile nei prossimi giorni.
Secondo quanto emerso nel corso dell’evento, sarebbe allo studio anche la creazione di un comitato tecnico per dare rilevanza scientifica al questionario. Si tratta di progetti che al momento stanno viaggiando in parallelo ma che, come sottolinea Luca Sburlati, “è necessario ora armonizzare”, facendo riferimento anche a quello della Camera nazionale della moda italiana insieme alla controparte francese. “Lo faremo dal 2026”, ha anticipato.
Nel corso della giornata è stato inoltre presentato il nuovo studio Just Fashion Transition di Thea Group sul settore che si fonda su tre pilastri concettuali: pragmatismo equo, soluzioni prima di tutto e l’importanza delle narrazioni. L’evoluzione appunto di queste narrazioni sulla moda, che a lungo hanno caratterizzato i Paesi “Brand-of-Origin” e “Produttori”, oggi pone i secondi come leader d’innovazione. I Paesi “Brand-of-Origin”, da tempo associati a patrimonio culturale e artigianalità, stanno perdendo forza e cedendo terreno ai Paesi “Produttori” come la Cina, che consolidano la loro immagine attraverso l’innovazione. In questo quadro, spiega Carlo Cici, partner e head of Sustainability Practices di Thea Group che ha presentato lo studio, si inserisce anche l’Italia dove, peraltro, le aziende stanno migliorando sensibilmente le performance sul fronte Esg di circa 13 punti percentuali, spinte soprattutto dalla finanza che ha trainato prima le grandi aziende e ora anche le piccole.
C’è però un problema di prontezza che rischia di far tenere il freno tirato alla realtà industriale italiana. In questo quadro, la finanza è una degli strumenti a disposizione delle aziende che non possono permettersi da sole gli investimenti necessari per la decarbonizzazione. Il raggiungimento degli obiettivi climatici fissati per il 2030 richiederà almeno 4,4 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi, sebbene il calo della marginalità nel settore però, renda tali investimenti attualmente insostenibili per quasi il 60% delle aziende italiane della moda.
Infine, Luca Solca di Bernstein ha dato una lettura moderatamente positiva per la ripresa dei consumi della moda. Secondo una analisi condotta insieme a Confindustria Moda, sebbene il primo semestre abbia visto un calo a doppia cifra, nella seconda metà dell’anno le stime registrano un sensibile miglioramento con un calo compreso tra il -1 e -3% per i tessuti e una forbice compresa tra il -5 e -9% per le confezioni.
“Durante l’estate abbiamo visto segnali importanti dalla Cina”, ha raccontato l’analista, “per quanto gli Stati Uniti c’è un forte interesse da parte degli investitori sul settore del lusso e il consumatore di alto livello resta tonico”. Per il 2026, secondo Solca, “dovremmo essere usciti dal digerire la sbornia post Covid. Inoltre ci aspettiamo che il consumatore cinese segua il percorso graduale e che si assesti su una crescita del 2-3 per cento”.
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