FunGhetto: “A silent Caress” apre la porta dell’altrove | Intervista

L’arte è un sistema complesso con il quale l’uomo entra in contatto per esplorare nuove dimensione che possono sfuggire dal proprio controllo, mutando forma a seconda del tempo o del punto di vista dal quale si sceglie di osservare.
Il progetto di FunGhetto è senza dubbio ambizioso perché vuole mescolare musica, poesia scrivendo un testo profondo, arte, letteratura e le nuove tecnologie digitali. Il viaggio interiore di Antonello Aversa, chitarrista, bassista, compositore, arrangiatore e produttore. Il progetto nasce dall’esigenza di esplorare suoni e atmosfere che raccontano esperienze di vita, emozioni profonde e riflessioni intime.
Da questo esperimento artistico nasce “A Silent Caress”, un brano che mette in lotta l’intimità dell’individuo con la forza e l’esigenza del mondo esterno. Ispirato al libro “L’Idiota” di Dostoevskij, si scava dentro le scelte dell’essere umano, incapace di prevedere se la ragione ha davvero ragione o, se in alcune occasioni, è meglio cogliere il momento e sfruttare l’istinto, scegliendo così nuove direzioni.
INTERVISTANDO FunGhetto
Il progetto FunGhetto che storia racconta? :
FunGhetto racconta innanzitutto un viaggio interiore, il mio. È la storia di un percorso fatto di esperienze, di luoghi che ho vissuto e di emozioni che mi hanno attraversato. Dentro FunGhetto c’è il bisogno di trasformare paure, speranze e conflitti in suono, di dare voce a quelle parti di me che spesso non trovano spazio nelle parole. È un progetto che si nutre di incontri, collaborazioni e contaminazioni, e che cerca sempre di costruire paesaggi sonori capaci di trasportare l’ascoltatore in una dimensione sospesa tra realtà e sogno.
In fondo, la storia che racconta FunGhetto è quella di una continua ricerca di autenticità e di rinascita.
Troppo spesso le mie intime sequenze vengono disturbate da fatti clamorosi che accadono all’esterno. Viviamo un periodo folle, e restare in silenzio è impossibile. Denunciare, prendere posizione, gridare il proprio dissenso è fondamentale. Non ci sono scuse: ciò che accade a Gaza è un genocidio, e l’arte non può sottrarsi al dovere di testimoniare. Può sembrare banale, scontato o in linea con i tempi populisti, ma non importa: la voce che grida contro l’ingiustizia resta più importante di tutto. Ed è anche in questa tensione che nasce la mia musica.
Per incuriosire chi non conosce L’idiota di Fëdor Dostoevskij come puoi descriverlo brevemente in relazione al tuo nuovo brano?
Amo particolarmente questo romanzo perché è l’unico caso in cui mi ritrovo, di volta in volta, in tutti i personaggi. Ognuno di loro porta con sé un apparente ambiguità che costringe a riflettere, a scavare più a fondo, a cercare la verità dietro le loro contraddizioni.
Nel mio nuovo brano mi sono lasciato ispirare da questa tensione: la distanza tra la purezza interiore e la violenza della realtà esterna. È un contrasto che sento mio, e che diventa musica, trasformandosi in un viaggio sonoro tra vulnerabilità e resistenza.
Quando ho iniziato a scrivere il testo di A Silent Caress mi sono chiesto: alla fine di tutta la sua storia, cosa avrebbe voluto dire il principe Myškin? Come avrebbe voluto che si concludesse il suo viaggio interiore? Da questa domanda è nata una frase che per me racchiude la sua essenza e la mia visione:
Ora sono altrove,
sono dove ero,
sono dove resterò per sempre.
E anche in questo caso mi interrogo: è una forma di resa? È il ripudio verso la normalità? O semplicemente una presa di coscienza?
L’altrove può essere una dimensione dell’uomo?
Sì, l’altrove può essere una dimensione dell’uomo. Non è un luogo fisico, ma uno spazio interiore dove ci si rifugia e ci si ritrova, fatto di memoria, sogno e desiderio. Gianluca Grignani cantava: ‘io vivo un metro più in là, da quel che tu chiami realtà’, e parlava proprio di questo altrove. È quella distanza minima ma infinita che ti permette di guardare oltre, di non fermarti alla superficie.
Ti piacerebbe esplorare il cosmo?
(Ride) Ma è quello che sto facendo! il mio viaggio interiore è un viaggio nel cosmo!
” Tuffiamoci nel cosmo, non chiedermi nulla. Torniamo a casa, non ti basta?” mi sono veramente divertito nel registrare il brano e girare il videoclip di We are the cosmos!
L’amore vive nel momento perfetto o lo riesce anche a creare?
L’Amore, inteso con la A maiuscola, non lo si può racchiudere in un concetto. È qualcosa che sfugge alle definizioni, che non si lascia imprigionare dalle parole. Possiamo provare a descriverlo attraverso esperienze, gesti, suoni, ma resta sempre oltre: è forza creativa, trasformazione, vita stessa.
Basta pensare all’amore di una madre verso il figlio: non può vivere nel momento perfetto, perché non ha bisogno di condizioni ideali per esistere. È un amore che precede e supera tutto: la fatica, il dolore, le difficoltà, persino le imperfezioni della vita. Non attende l’attimo giusto, ma lo crea e lo riempie di senso. È la forma più pura di amore incondizionato, capace di trasformare anche i momenti più difficili in qualcosa di eterno.
L’Italia e l’estero hanno modi diversi di concepire e dare il giusto valore alla musica?
Sì, ci sono differenze evidenti. In Italia la musica spesso viene percepita più come intrattenimento che come linguaggio universale o forma di ricerca artistica. All’estero, soprattutto in alcuni paesi del Nord Europa o negli Stati Uniti, ho trovato maggiore apertura, più attenzione alla sperimentazione e al valore culturale della musica, anche quando non è immediatamente ‘commerciale’.
Il problema in Italia è che i musicisti troppo spesso sono costretti a prostituirsi pur di guadagnare 50 euro, tra vincoli assurdi e richieste paradossali come dover garantire un proprio seguito per poter suonare live. È una condizione svilente, che allontana dalla vera essenza della musica.
Per restare fuori da tutta questa spazzatura ho un credo che mi guida: vivere per sempre con la musica e non di musica. Solo così posso continuare a darle il valore che merita, senza compromessi.
La tecnologia sta cambiando l’arte?
Questa è davvero una brutta gatta da pelare! Conosco persone che non hanno nulla a che vedere con la musica o con l’arte e che riescono a generare decine di canzoni al giorno, per poi scaraventarle su Spotify. Questo dimostra che la tecnologia, se usata male, rischia di svuotare il senso dell’arte. Io credo invece che debba essere un mezzo utile per aiutare l’artista a esprimere la propria visione, non a sostituirla.
Per esempio, ci sono voluti tre mesi per realizzare il video di A Silent Caress: senza l’intelligenza artificiale non avrei mai potuto crearlo, ma anche in quel caso è stato faticoso, complesso, e dietro c’è sempre tanto studio. La tecnologia può amplificare un’idea, ma non può generarla: l’anima resta sempre dell’artista. Altrimenti non parliamo più di arte, ma di plastica.
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